In equilibrio tra iperrealismo e distopia, il romanzo della Lorelli si muove con fare allegorico e costanti rimandi tra piano letterale e metaforico seguendo le vicende di un’eclettica serie di personaggi di varia natura, umani ed androidi, polarizzandosi tra due universi contigui e al tempo stesso distanti, il Cerchio e Nexus, collegati tra loro da brainet, rete neuro-sociale che si fa sistema proiettivo di pensieri ed esperienze virtuali (peraltro sempre più concretizzata da protesi e marchingegni).
In quest’epoca imprecisata che condensa fenomeni lontani e altri invece già a noi in qualche modo familiari, l’amore stesso o istituzioni basilari come la famiglia o la scuola – estremizzando taluni meccanismi della società tecnoliquida – si sfaldano, un semplice download oggettivizza una sorta di metempsicosi e il potenziale immateriale di gradimento social ha di fatto sostituito il denaro come apice dell’aspirazione umana. Il mondo e le persone vivono secondo un correlativo oggettivo di quantificazioni, sintetizzato da una social card in cui si vede il minaccioso approdo degli algoritmi che regolano le statistiche e i ranking odierni, dai grandi dati macroeconomici a condivisioni e followers individuali.
I vincoli costrittivi di questo Grande Fratello – entità ormai quasi sottintesa in tale scenario semi-apocalittico, dove il controllo mentale prevale su quello logistico e pratico – sono appena mitigati da una tensione quasi nostalgica verso spunti libertari, dato che chiave di congiunzione delle esperienze umane e umanoidi rimane una sorta di affettività, pur se delineata secondo strategie di “marketing empatico”.
Quest’èra (molto) post-globalizzazione è segnata, come sinistro contrappasso, da promiscuità degradate e frequentazioni fisiche rarefatte, rispetto a cui è consolazione assai elitaria la remota aspirazione ai privilegi di Nexus, sistema parallelo che “promette un mondo a propria immagine […] conforme alla natura dei desideri” di ognuno: isolati risultano non solo i sentimenti, ma anche una comunicazione ormai relegata a tecnologie proiettive limitate alle individualità.
Talvolta sembra quasi di cogliere un tocco di beffarda ironia nella raffigurazione degli evolutissimi automi (esempio emblematico ne è il clone dell’apparato genitale degli androidi), a significare al fondo un carattere di elusiva inconoscibilità, il tarlo della creazione che si sottrae al creatore (analogamente a come questo futuro distopico sfugge ai suoi colpevoli, ovvero – seppur fuori quadro nella trama – l’umanità d’oggi). Tale criticità è implicita ripercorrendo sia la perfezione mimetica degli aspetti tattili sia, a maggior ragione, il posticcio idealismo di quelli affettivo-relazionali, il cui dirigismo delle emozioni e condizionamento mentale indotto da devices introiettati pressoché fisicamente giunge quantomeno a sfiorare l’ulteriore step nella sfruttatissima tematica dell’intelligenza artificiale, quello della coscienza e dei sentimenti costruiti scientificamente dall’uomo.
Nel libro è poi importante una lettura in chiave di rapporti di genere, inscenando il tema della relazione specie umana-androide che veicola un profilo problematico delle relazioni di coppia odierne, e un finale piuttosto netto al riguardo. Ma forse ancor più che nel sostrato ideologico che lo ispira il pregio di “The Human Show” consiste nell’attendibilità – ricamata con non scontata padronanza stilistica e visualizzatrice – di un effetto se non realistico certo psicologico ormai sempre più lontano dagli esotismi cronologici e tecnologici della fantascienza classica. Oltre ad evitare il rischio, atavico in molta science-fiction, di un sovraccarico di dettagli tecnologici dagli effetti letterariamente freddi, tale accorciamento tra il nostro hic et nunc e l’avvenire prefigurato – si pensi a questioni di stretta attualità come i ChatGPT, con annessi dibattiti morali se si debbano creare macchine come persone oppure persone come macchine e simili – possiede anche il merito pedagogico di ammonire su un futuro ormai sempre più presente.
Alberto Raffaelli

Il libro:
Maggie S. Lorelli, “The Human Show”, Roma, Castelvecchi, 2022
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Alberto Raffaelli
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