Segnalazioni Letterarie | “Nato solo” di Lié Larousse | Le recensioni di luglio 2023 | Recensione di Alberto Raffaelli

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In questo suo secondo romanzo la scrittrice romana cambia contesto, mantenendo però le caratteristiche del precedente “Rid dementia”, a cominciare da una forte componente visiva favorita dall’uso non comunissimo della seconda persona singolare come voce narrativa.

In una sorta di nowhere land a ridosso della Caput mundi, fino a non moltissimi decenni fa prosperavano ampie porzioni di terra di (quasi) nessuno toccate in maniera solo superficiale dal progresso: una distesa punteggiata di casali, pascoli spontanei, latifondi mal coltivati, signori e signorotti, vino, briganti, sembrava accomunare nell’agro romano i tempi di Romolo e Remo e quelli alla soglia della grande speculazione edilizia novecentesca, senza beneficiare del carattere di porta d’accesso alla Città eterna e disegnando lo scorrere del tempo all’insegna dell’immutabilità del mito piuttosto che del dinamismo storico.

Lié Larousse

Un profilo dell’immaginario pronto ad ispirare poi – nelle sue inevitabili evoluzioni del secolo breve – specie l’arte cinematografica, che ne ha trasferito tipi e antropologia in versioni male urbanizzate: dai Ragazzi di vita ai vari Freaks out, per arrivare alle tante periferie cementificate dell’era 2.0 (tornando ai libri, “L’acqua del lago era più dolce”, “La città dei vivi”, per citarne due), con il permanente comune denominatore di un’irrimediabile distanza da una significativa emancipazione sociale.

Non meraviglia perciò che in un simile scenario la lotta si ponga come unica forma di ascesa e Bildungroman sui generis, metafora di maniere sbrigative o – più sottilmente – di un ricorso al lato animale dell’uomo come strumento atto a scovare la vera magnanimità (che s’annida notoriamente nell’interiorità e non sotto belle vesti). E il combattimento è pienamente consono al tratto epico, che in questa landa mal popolata si affianca prepotentemente al realismo.

Siffatto territorio non troppo evoluto rispetto ai tempi di Rea Silvia e Acca Larentia – con i suoi valori e soprattutto disvalori, figli di nessuno e madri che come semidee improbabili si nascondono in mezzo a selve e sterpaglie sotto lo sguardo impassibile del Tevere grande padre (appena accennato ma implicito testimone di storie e pronto a concedere anche bagni rigeneratori) – nella sua storicizzazione nel complesso poco focalizzata s’armonizza infatti felicemente con un contorno “mitico”: di una miticità bassa e popolare che è però da sempre presenza complementare costante della romanità, dove tale spazio leggendario si configura come correlativo finzionale di quella mancanza di vero sviluppo storico che – tra incubatrici papaline e altre incompiutezze – ha conseguenze per certi versi evidenti ancora oggi nella postmoderna e irrealizzata metropoli.

Nella dimessa esistenza di Lupo – esemplare di Lumpenproletariat dalla compenetrazione istintiva e astorica con la natura (avo in ciò della gioventù pasoliniana) e il cui profilo di “povero ma bello” ben s’inserisce in un canone figurativo capitolino dall’ampio successo pure cinematografico – la ferinità è programmatica fin dal nome: ragazzo semiselvaggio, è soprattutto un essere senziente, e specie lo stomaco sembra intrattenere una dialettica privilegiata con lui (il “pensare di pancia” del resto pare una forma intellettiva per nulla inferiore a quella cerebrale di certe teste…). E la grande capacità sensoriale in questa “terra di mezzo” trova le proprie epifanie negli scontri fisici, dove si dispiega al meglio la vividezza della scrittura, il cui preziosismo si esercita peraltro su un ventaglio di variazioni che va dall’ampollosità di un banchetto luculliano a crudi accenni erotici.

Punto di forza della Larousse è infatti soprattutto la forte padronanza stilistica, ben espressa in modalità che abbinano alla concitazione cinematica e “visual” un’intensa descrittività barocca “da alto budget”, se si dovesse trovare un’equivalente quantitativo di ambito filmico data l’implicita “sceneggiabilità” del testo.

La riuscita finale di “Nato solo” consiste, tirando le somme, in una cura formale che però non tralascia il contenuto: infatti accanto alla vicenda del protagonista, all’immaginario forbito e agli elementi topici e di genere, il nucleo ispirativo più significativo –  ben correlato ai bassifondi caravaggeschi attraversati da figure più o meno losche, matrone, retrocucine, sguardi provocanti e ammiccanti, odori (quasi sempre cattivi) che sembra quasi di avvertire, risse da Far West – permane nei sottofondi dell’anima o nelle memorie del sottosuolo che enfatizzano la costante penombra dei confini morali.

Alberto Raffaelli

Alberto Raffaelli

Il libro:

Lié Larousse, “Nato solo”, Roma, Affiori, 2023

https://amzn.eu/d/2FjHEIc

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