Articolo e intervista a cura della giornalista pubblicista Ilaria Solazzo.
“Post-Post” nasce dentro la home di facebook, è quindi una raccolta di post. Già dal titolo, che gioca sulla possibilità per il post di avere una sorta di futuro, cosa che riguarda in genere la letteratura e la poesia, l’autrice si pone la domanda circa il mezzo: cos’è infatti facebook? Perché lo abbiamo inventato? Perché si scrivono i post? Il fatto che facebook, come tutti i social, sia veicolo della comunicazione umana, lo rende di fatto aperto a qualunque tipo di comunicazione, nel bene e nel male. I post raccolti qui spaziano su temi eterogenei della vita di chi scrive. Piccole storie buffe, poesie, momenti della quotidianità, pensieri sulla vita, sull’amore. Una sorta di diario, con una differenza grande però, che è quella che si va a indagare: il diario si scrive nell’intimo, il post va a contattare un pubblico di lettori nell’immediato. Quando si entra nella propria pagina e si scrive un post lo si fa in maniera perfettamente consapevole di questa differenza. Lo scrittore di post si espone immediatamente a un giudizio. Trasferire poi questi post in un libro è una fase successiva in cui si decide di uscire dal social per entrare nel rapporto corporeo con la scrittura e con i lettori.
Intervistando la scrittrice Claudia Fofi.
Qual è stata l’ispirazione dietro la tua opera letteraria dal titolo “Post-Post”?
Mi sono resa conto che i miei post più letti e commentati erano quelli nei quali raccontavo delle piccole storie, solitamente autobiografiche, con uno stile ironico e affettuoso. Erano post in cui raccontavo i miei viaggi, le musiche che amo, alcuni piccoli eventi della vita quotidiana, ai quali ho cercato di dare una dignità letteraria.
Come mai hai scelto il genere ‘Post’ come forma espressiva?
Ho scelto il post come medium perché mi consentiva di generare una comunicazione diretta con i lettori. Rientra nella grande categoria della letteratura autobiografica, a patto che da parte di chi scrive ci sia una scelta linguistica precisa, la volontà di costruire una
lingua letteraria. Non scrivo mai di getto, ma medito molto sulle parole da usare e credo che questo faccia la differenza tra un post scritto per commentare i fatti del giorno e un post scritto invece per raccontare qualcosa. Il racconto è una forma di espressione antichissima, che non cambia, a prescindere dal mezzo attraverso cui viene veicolato.
Quali temi o argomenti sono ricorrenti nella tua scrittura all’ interno di queste 137 pagine?
Non ci sono temi ricorrenti quanto piuttosto un modo di scrivere che accomuna diversi temi. Si scrive sempre sulle stesse cose, la vita, gli amori, le cose assurde che capitano, i viaggi e le persone che si incontrano. È il modo di raccontare le cose che capitano a fare la differenza tra chi racconta e chi invece fa la semplice cronaca di un fatto. Il libro è suddiviso in tanti racconti e micro racconti, molti dei quali sono ironici, alcuni direi che fanno proprio ridere. Racconti popolati da una realtà che è quella di prima della pandemia, quando eravamo sicuramente più leggeri di adesso.
Come definiresti il tuo stile in “Post-Post”?
È uno stile molto semplice, chiaro, frutto di un’estenuante ricerca da parte mia. Il social in questo mi è stato di grande aiuto. Ho capito che tipo di scrittrice sono nella dimensione del racconto breve, proprio sviluppando uno stile mio personale in dialogo diretto con chi legge. È una scrittura che vuole farsi capire, ma che con semplicità va nel profondo delle cose. Almeno così mi hanno detto quelli che hanno letto il libro.
Quali artisti e scrittori ti hanno ispirato nel corso della tua carriera fino ad oggi?
Sono una lettrice molto disordinata, onnivora e divoratrice di libri sin da molto piccola, eppure non saprei definire con chiarezza i miei punti di riferimento letterari. La mia libreria è un luogo in cui convivono pacificamente Pavese con Kafka, Kurt Vonnegut con Elsa
Morante. Sono una che lascia a metà tutti i libri di Carrère. Mi fa venire voglia di imbiancare una parete. E sono un’amante dei libri umoristici. Mi fa molto ridere Achille Campanile. Abbiamo da imparare molto anche dai testi delle canzoni: ad esempio Tom Waits, i suoi personaggi, la sua malinconia credo mi abbiano influenzato molto. Così come mi sento legata a Franco Battiato, il primo cantautore che a casa mia mise d’accordo tutti: un genio.
Come inizia, solitamente, il processo di scrittura di un tuo nuovo libro? Che gioca ruolo l’emozione nella tua creazione editoriale firmata Bertoni Editore?
La mia scrittura è molto calata nelle emozioni, ma cerca un modo di offrire al lettore la libertà di commuoversi oppure no, di ridere oppure no, di arrabbiarsi e di voltare pagina. Aderisco al famoso manifesto di Daniel Pennac sui diritti dei lettori. L’emozione spesso è confusa con una certa mercificazione dei sentimenti, quando invece è così fondante che muove ogni aspetto delle nostre vite. Va usata con cura e con cautela, per non sperperarla in inutile retorica.
Puoi raccontare un momento o un luogo che ti ha ispirato a scrivere le pagine di “Post-Post”?
In questo libro c’è una parte dedicata ai viaggi. In particolare ho un ricordo molto bello di una persona con la quale ho convissuto per un certo periodo in Francia, una pianista di Hong Kong. Ero in un periodo molto difficile della mia vita (a proposito di emozioni), uscivo da un matrimonio fallito. La sua amicizia, alcuni suoi comportamenti buffi e delicati mi hanno molto aiutata. Lei era un vero e proprio personaggio. Ne scrivevo nei post che poi ho inserito nel libro in un capitolo intitolato “La mia coinquilina cinese”, che è stato adattato anche come monologo teatrale.
Come scegli le parole e le immagini ‘poetiche’ presenti nei tuoi libri per comunicare le tue emozioni o messaggi ai vari lettori?
Una parola sbagliata può disturbarmi parecchio, quindi scelgo le parole con grande attenzione e mi piace inserire nel tessuto della scrittura alcune invenzioni, specialmente nel ritmo, nell’uso volutamente “sbagliato” di alcuni avverbi, per dare un sapore di lingua
parlata. Forse è il mio lavoro pluriennale come formatrice vocale a influenzare questo approccio allo scrivere legato alla lingua parlata, anche se per me la scrittura è arrivata molto prima del canto. Ero molto piccola quando ho iniziato a scrivere poesie. In un mio vecchio diario di bambina di dieci anni ho ritrovato questa frase: voglio trovare un modo nuovo di scrivere nell’aria. Un po’ pomposo, ma chiaro: sono una sperimentatrice nata.
Qual è il tuo obiettivo principale quando scrivi?
Creare un bel racconto.
Se tu potessi fare un regalo all’umanità per cosa opteresti?
La pace.
Alcune informazioni su Claudia Fofi
Autrice, cantautrice, scrittrice di Gubbio, dopo la laurea in lingue ha iniziato ad appassionarsi alla scrittura della canzone e al canto. E’ formatrice vocale, perfezionata in musicoterapia, performer e direttrice artistica del Festival Umbria in voce. Tra la fine degli anni ’90 e primi anni del 2000 ha pubblicato due album (“Un sogno blu, 1998 e “Centrifuga”, 2003) e ha vinto numerosi premi per le sue canzoni, tra cui il Premio Ciampi, il Grinzane Cavour, il Premio Logic al Mantova Musica Festival, finalista tre volte al festival Musicultura. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo libro di poesie, “Odio le ragioniere”, con Secop Edizioni, per la collana Poesia in Azione diretta da Silvana Kuhtz. Menzione di merito con la silloge inedita “Il delta della lingua” al Premio Gozzano 2018. Nel 2019 ha pubblicato con Ed. Bertoni una raccolta umoristica di brevi prose dal titolo “Post-Post”. Sempre nel 2019 ha pubblicato il suo terzo album autoprodotto, “Teoria degli affetti”, ed. Dodicilune. Nel 2020 sue canzoni contenute nell’album Torrendeadomo di Sara Marini sono arrivate in finale al Premio Tenco. Finalista Premio Carraro 2021. Menzione d’onore premio Quello che Caino non sa 2021. Terza classificata alla prima edizione del premio Ragioni di una poesia 2021.
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