Assertività: l’antidoto all’inefficacia del brontolio | di Daniela Cavallini

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Amiche ed Amici carissimi, quante volte ci lamentiamo – brontolando – e, qualunque sia il motivo, nulla cambia? “Lui/lei” che lascia in giro per casa di tutto e di più, i figli che fanno quello che vogliono, i genitori che reclamano attenzione anziché sentir ragione, ecc. E noi? Noi, sia donne che uomini, se apparteniamo alla categoria degli irresoluti, assumiamo – a seconda del nostro carattere – vari comportamenti:  chi strilla, chi accusa, chi tiene il muso, chi tenta di giustificarsi, chi piange, sino a chi subisce e trascorre la propria vita prodigandosi per adempiere là dove agli “altri” è fastidioso, atteggiandosi a vittima. E per contro? Nulla! Delusa anche la pur minima aspettativa di ottenere comprensione. Inoltre, a fronte di una piagnucolosa rimostranza, l’altrui  retro pensiero è sintetizzabile con “uffa, rompe, non farci caso, lo fa sempre, poi le/gli passa”.

“Cosa posso fare? Nessuno mi ascolta!”, si esplode talvolta presi dallo sconforto. Certo è che, continuando di questo passo, nulla cambierà: “lui/lei”, lascerà in giro i suoi oggetti personali, i figli perpetreranno indisturbati i loro comportamenti, i genitori tenteranno la via – moralmente ricattatoria –  degli incompresi e delusi.

Cambiamo luogo e situazione: andiamo in ufficio/studio o ambulatorio: i colleghi che “buttano tutto su di me”, il capo che…, i clienti che…, ecc. E con gli amici? “Ah, si fa sempre quello che vogliono loro, la mia parola non conta nulla. Oramai sto zitto/a” esordisce qualcuno, appalesando amara rassegnazione… Ma… quand’anche si taccia per amor di quieto vivere, ci si adegui e si sopperisca alle altrui mancanze, giunge sempre il momento in cui il risentimento fa capolino e la lamentela si acutizza in critica sino all’esplosione della rabbia cumulata.

Pleonastico aggiungere che i destinatari della nostra reazione pensino e dicano “non mi ‘rompere le scatole”, seguito da “oggi non è giornata, sei fuori di testa?” e, nei casi peggiori,  esprimano – con infingarda ingenuità –  l’opportunistica espressione “bastava che lo dicessi”!

Quando ci sobbarchiamo incombenze eccessive, sbrigate con malcelati – patetici – segnali di esasperazione e siamo sfiniti – emotivamente più ancor che fisicamente –  esplodiamo in modo spropositato per una fesseria, ma  che – per noi –  rappresenta la classica goccia che fa traboccare il vaso.  La reazione di chi ci circonda non può essere che di stupita disapprovazione. Questo, a dimostrazione che:

Il brontolio è scocciante ed inefficace!

Nell’assertività riscontriamo un valido aiuto atto ad acquisire rispetto ed autorevolezza. Persino autorità, in casi estremi. È uno “strumento” che ci protegge dalla sufficienza altrui e  dall’essere “dati per scontati”.  L’assertività costituisce un vero e proprio atteggiamento mentale che esprimiamo in forma verbale e non, e con chiunque.

È dunque fondamentale apprendere ed interiorizzarne le regole  comportamentali, onde evitare di apparire una caricatura isterica. Le regole sono così sintetizzabili:

avere ben chiaro l’obiettivo

argomentare con lucidità

tono di voce non alterato

sguardo attento e fisso sull’interlocutore

attendere la risposta senza interrompere e replicare coerentemente

Bandito il piagnisteo e qualsiasi altro nostro segnale di debolezza.

Non lasciarsi trascinare nel disquisire su giustificazioni banali o imbonitrici e, in tal caso, ribadire senza cedimenti quello che “conditio si né qua non” ci aspettiamo.

Un piano “B” è altrettanto importante: è possibile riscontrare cafonesca prepotenza racchiusa nella classica risposta “e allora?”: bene, dobbiamo essere pronti.

Se non sappiamo cosa risponderemmo nell’eventualità di tale sgradevolezza o temiamo il peggio, non siamo pronti: rimandiamo o rinunciamo.

Una via d’uscita possibile, tuttavia limitata al momento contingente  – obbligatoria la ripresa dell’argomento successivamente – può essere l’affermare “non mi piace il tono che stiamo assumendo, credo sia meglio prenderci del tempo per riflettere e riparlarne con serenità”.

Vietato proseguire se comprendiamo che stiamo per perdere il controllo. Un garbato “no, non adesso” pronunciato con tono che non ammetta replica è quel che ci vuole per non degenerare in sterili litigi. Ovvio che – aprioristicamente – avremo verificato i motivi del comportamento altrui. Voglio dire… merita diversa considerazione il marito che non raccoglie la biancheria perché soffre di attacchi di sciatica rispetto a quello strafottente.

Consideriamo qualche esempio pratico di assertività nella comunicazione interpersonale.

Se ogni volta che telefoniamo a nostra madre si lamenta per facezie e tenta di crearci sensi di colpa, non mi pare irriverente affermare: “mamma, ti voglio bene e sai che per le cose importanti puoi e potrai sempre contare su di me, ma per i capricci no. Ti chiedo di evitare noiose manifestazioni”.  Dire a nostro marito “ti chiedo cortesemente di riporre la tua biancheria usata nel cesto della roba sporca” detiene maggiori possibilità di successo di “ma è mai possibile che sbatti tutto lì come se avessi la serva   dietro a raccogliere, sono stanca, lavoro tutto il giorno, faccio la spesa, torno a casa mi tocca pulire, tu non mi aiuti in niente, non sono tua madre”.

Ed ora, ragioniamo insieme, prendendo ad esempio, il problema di cui quasi ogni giorno – care Amiche – mi partecipate: il vostro  “lui” che non è attento come vorreste nei Vostri confronti. Vince il primo premio “Lui che non telefona/messaggia/chatta”adducendo scuse del  genere “sto lavorando tanto, non ho tempo, sono stanco”, ecc.

Come donna – peraltro emotiva –  vi capisco, vi sentite spiazzate e deluse, ma  fintantoché non vi esimete dal pronunciare quelle classiche – allusive – mezze frasi, intrise di risentimento imploso, nulla cambierà. Innanzitutto chiediamoci se “lui” delude i nostri desideri, le nostre aspettative o effettivamente depriva il rapporto, trasgredendo ai fondamentali. Questo, tanto  per tutelare la nostra stabilità emotiva e non apparire un “mastice” agli occhi di un uomo che – noi consenzienti – ha magari voluto solo trascorrere una giocosa notte.

E se, viceversa,  è il vostro fidanzato,  credete che “Lui” non sappia che vi fa piacere sentirlo/vederlo? Pensate forse di dovere essere voi a ricordargli che non esiste motivo alcuno per cui – se lo si desidera – non si possa inviare un messaggio o qualsiasi altro segnale di affettuoso interesse? E ritenete che lo farà spontaneamente se glielo farete notare piagnucolando o aggredendolo appena si fa vivo? Ammettiamolo una lagna tutto è fuorché attraente…

Ecco che l’assertività – ahimè spesso confusa con la prepotenza – ci viene in aiuto. Tuttavia, una premessa è d’obbligo: la comunicazione assertiva è un’esternazione – lucida e pacata –  che non ammette nostre recessioni. Viceversa, sarebbe solo una patetica oltreché inefficace manifestazione; pertanto, prima di parlare, dobbiamo aver ben chiaro che cosa fare/dire in caso di riscontro indifferente o rifiutante. Proibito sbraitare: lui non è sordo, non siamo al mercato, ai vicini non interessa il nostro problema e soprattutto perdiamo di efficacia.

Nell’esempio citato, dopo aver espresso la nostra contrarietà, a fronte di una sgradita risposta – una banale scusa non cambia il concetto –, ci sarà chiara la mancata accoglienza della nostra richiesta: concludere remissivamente con uno sconsolato “vabbè pazienza”, equivale a “mangiargli sulla mano”. Ricordatevi che un rapporto lo si alimenta in due e che nel contattarci – lui – non ci fa un favore.

Congedarsi algide dichiarando “prendo atto che basata su questi presupposti, la nostra storia non ha per me alcun senso” e salutarlo educatamente, è coerenza e rispetto verso se stesse. Tranquille che, se tiene a voi, troverà il modo per trattenervi ed in caso contrario… non avrete perso nulla.

Comprendo che a volte sia difficile, ma abbiamo dalla nostra parte tutto il tempo di cui necessitiamo per prepararci all’eventuale sgradevole evenienza e scegliere di parlare solo quando ci sentiamo pronte. Pronte anche a perderlo. Siamo disposte? Se “sì”, via libera, ma se “no” non barate: rimandate o scegliete, consapevoli della vostra debolezza, di non rischiare.  Nel frattempo, sarà molto più signorile e dignitoso evitare di affrontare l’argomento in “modalità questuante”.

Concludo con una considerazione atta ad una sorta di esame di coscienza: prima di criticare il comportamento altrui, chiedendoci il perché senza trovare risposta, esaminiamo noi stessi, chiedendoci perché noi ci comportiamo da vittime sacrificali per poi lamentarci sino ad esplodere. Un possibile indizio? Scontata la mancanza di autostima… o siamo masochisti o amiamo percepirci nel ruolo di “elementi indispensabili”. Nella risposta sarà insita la soluzione.

Un abbraccio!

Daniela Cavallini