Bella Ciao in turco – l’inizio della fine di una dittatura?

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Ieri, 24 maggio, si è concluso il Ramadan, un periodo che ha avuto una fine inaspettata, in particolare per il “leader” musulmano turco Erdoğan.  

Poiché mercoledì, dall’alto dei minareti di diverse moschee di Izmir non è risuonato il richiamo alla preghiera del muezzin, ma (stupore!) l’inno antifascista dei partigiani italiani della Seconda Guerra Mondiale, “Bella Ciao” – probabilmente un’iniziativa del gruppo “Yorum”.

In effetti, cosa hanno in comune la Turchia e l’Italia? Tanto, direi. E non mi riferisco solo all’era medievale / ottomana, quando i due popoli intrattennero stretti rapporti commerciali. L’egemonia nel Mediterraneo è sempre stata fonte di controversie e quindi di intensi scambi diplomatici. Nel ventesimo secolo, ciò che potrebbe avvicinare l’Italia alla Turchia sarebbe il fatto di aver superato un sistema politico costituzionale di tipo monarchia (nel caso dell’Impero Ottomano, un sultanato riformato in stile Tanzimat, un ultimo tentativo di salvare un sistema obsoleto con una costituzione, più o meno inefficiente) e l’instaurazione della Repubblica.

Dopo il 1945, i due stati nazionali hanno avuto dei percorsi per certi versi simili, soprattutto nei confronti del movimento antifascista e comunista, che divenne in qualche modo una bella utopia rispetto ad una contemporaneità insoddisfacente.

Fin dalla “materializzazione” dello stato-nazione, la Turchia ha subito dei cambiamenti radicali: la modernizzazione, i 6 colpi di stato, i governi militari, la crisi nazionalista di spartizione e occupazione della Cipro del Nord, la persecuzione dei curdi, ma fino al 2010 ha comunque continuato a rispettare i principi ispirati da Kemal Atatürk: i kemalisti hanno protetto al meglio il “Corano” secolare delineato dall’idolo politico che portò la Turchia fuori dall’infinito periodo imperiale – e come il resto d’Europa, la millenaria metropoli e il cuore dell’impero, Istanbul, attraversò le stesse fasi di sviluppo della leggendaria Roma, dominata dall’autorità vaticana.

Nell’antica Costantinopoli, l’Islam era diventato un elemento opzionale nella definizione dell’etnia, l’Impero Ottomano era un costrutto multietnico, in cui varie religioni erano tollerate (a pagamento, ovviamente). Con l’istituzione dello stato-nazione secolare nel 1923, la modernizzazione fu equiparata con un’importanza sempre minore della religione, una tendenza mantenuta fino a pochi anni fa in Turchia, così desiderosa di modernità e standard europei.

Tutto ciò vale per l’Italia e l’Europa in generale, dove soprattutto gli ultimi 6 anni hanno segnato una rinascita dei movimenti populisti e nazionalisti.

2014 è stato importante perché quest’anno l’ex “eroe” di Istanbul, Erdoğan, ha fatto il suo ingresso ufficiale nella storia, “dichiarandosi” presidente quasi da un giorno all’altro.

Ad impressionare è stata la storia del ragazzino povero che divenne un “dissidente” politico negli anni ’90 e trascorre diversi mesi in prigione – tali azioni avrebbero completato il mito e (ingiustamente!) permesso il paragone di Erdoğan con Nazım Hikmet, uno dei geni della poesia turca, noto come dissidente, “comunista e romantico rivoluzionario”. Negli anni ’90, Erdoğan fu idolatrato nella sua città natale di Istanbul, essendo il primo a modernizzare molti quartieri popolari colpiti da un’acuta mancanza di infrastrutture urbane (acqua corrente, rete fognaria, ecc.).  

Le sue politiche sociali ebbero successo, la sua apparente apertura mentale ha convinto per un po’ anche gli atei kemalisti più ardenti, la libertà sentita nella città ricordava più il Madrid di Almodovar che una fortezza bizantina conquistata da un musulmano Fatih nel 1453.

Ma il potere corrompe e la chiave del cuore della maggioranza degli elettori (le masse meno istruite dell’Anatolia rurale) lo ha trovato in un senso di identità strettamente legato alla religione: perché? Forse per sottolineare la differenza tra i giganti dell’Ovest e l’antica Porta dell’Oriente. Come se la chiave del successo dell’economia turca fosse nella vicinanza delle moschee ai mercati e al bazar…

E così, nel 2014, dopo aver prestato servizio in vari governi come primo ministro, visto che il suo partito di destra, l’AKP (Partito della Giustizia e dello Sviluppo), stava guadagnando terreno, ha proseguito con la mossa decisiva: cambia la costituzione e diventa immediatamente presidente, apparentemente per accelerare le decisioni a sostegno del popolo.  

Seguirono alcune “acrobazie politiche” più o meno riuscite – dopo la soppressione delle proteste del Parco Gezi furono intraprese iniziative più coraggiose: il “colpo di stato” del 2016 (diretto attentamente dalla costiera turca), seguito dagli arresti di giornalisti, magistrati, militari, poliziotti, intellettuali e la caccia alle streghe arbitrariamente intitolata “Fetö” (Fethullah Gülen), con il nome dell’ex mentore di Erdoğan, che si era trasformato nel nemico pubblico numero 1. 

Ovviamente, il Potere doveva essere consolidato ed i possibili concorrenti eliminati: con una tale “risoluzione” i sultani avevano il diritto di uccidere pure i loro fratelli per non mettere in pericolo la propria posizione. Sempre l’ossessione di uno “stato nello stato” iniziata con lo scandalo Energekon e con un PKK (+ curdi) considerati gli eterni capri espiatori per tutti i fallimenti nazionali, le armi inviate in Siria, l’accordo del 2016 con l’Europa per fermare il flusso di migranti dalla Siria e quindi i rifugiati che gli servono ancora come leva nella sua tattica ricattatoria…

Attraverso tutte queste operazioni ambiziose, Erdoğan (aiutato dai suoi alleati e sponsor) voleva contrastare “l’imperialismo” occidentale facendo sentire la sua voce a livello internazionale. La sua aspirazione non è più un segreto: quella di essere la variante moderna del Sultano Solimano; ordini che vengono sempre obbediti (volontariamente o per necessità), un palazzo imperiale edificato ad Ankara e non poteva mancare la costruzione di un moschea – Çamlıca, una pretesa esorbitante (e inutile in una metropoli di oltre 20 milioni di anime, soffocata da luoghi di culto, povertà e inflazione); poi c’è anche il nuovo aeroporto che doveva superare le dimensioni di Heathrow e il tunnel che dovrebbe attraversare il Bosforo.

Ma nonostante i progetti superlativi insieme agli innumerevoli simboli del potere, la situazione sembra essere cambiata per lo “Zio Tayyip”, che negli ultimi 2 anni è diventato sempre meno amato; i tentativi di suscitare l’orgoglio nazionale con delle azioni (ingiustificabili) contro i curdi, i recenti interventi in Siria, il raid su Afrin per poi occupare la striscia settentrionale della Siria, con la scusa di creare un “corridoio” per il successivo posizionamento dei rifugiati (eufemismo per l’occupazione di una zona curda con risorse petrolifere, in assenza delle forze statunitensi) non hanno avuto l’effetto previsto, essendo troppo costose per la tasca di un popolo già sconvolto dalla crisi.

Pure gli investimenti in governi di nazioni “amiche” si sono rivelati come degli sprechi – benché le recenti vittorie della Turchia sulle truppe ribelli del generale Haftar abbiano cambiato la percezione internazionale dell’intervento turco nelle guerra civile libica.

Tuttavia, si attende il canto del cigno della dittatura, poiché l’opposizione sempre più forte del CHP è riuscita a vincere anche il Municipio di Istanbul… un politico come İmamoğlu al timone della metropoli millenaria, e non un accolito dell’AKP, è una croce difficile da portare, specialmente dato che sia l’opposizione, sia il destino sembrano instancabili: neanche nella crisi pandemica COVID-19 il governo di Erdoğan ebbe più successo; la gestione ed il coprifuoco “a tempo parziale” (solo nei weekend) hanno lasciato molto a desiderare. Di conseguenza, i contagi superano 155.000.

Va notato che, un po’ “alla Bolsonaro”, la Turchia ha sottovalutato l’emergenza coronavirus; in effetti, Turkish Airlines ha compreso all’ultimo momento la necessità di interrompere i voli da e per l’Asia e altri paesi gravemente colpiti (Iran, Italia, Regno Unito).

Allora è successo al momento giusto: sfidando il Ramadan e la pandemia, la cosmopolita e laica Izmir si manifestò contro la dittatura attraverso il canale più caro della leadership, la voce del muezzin, sostituita dalla canzone antifascista Bella Ciao, che attualmente viaggia dalle piazze delle “sardine” anti Salvini ai tetti della Germania… il suo arrivo dall’altra parte del Mediterraneo mi sembrava inevitabile…