L’Italia vanta un gran numero di novelle, fiabe, favole e leggende. La tradizione rurale e patriarcale per secoli ha saputo tramandare oralmente queste storie, frutto della saggezza contadina, attraverso l’antico rituale delle veglie: storie raccontate intorno al fuoco da anziane labbra ed ascoltate, con curiosità e rispetto, da giovanissime orecchie. Questi racconti spesso partivano da dati storici che la fantasia popolare trasformava in suggestivi racconti magici e misteriosi. Venivano arricchiti di espressioni popolari della parlata locale, di filastrocche di indovinelli e di proverbi. Erano fatte di immagini semplici e di cose quotidiane, rispecchiavano l’immaginario popolare, ma non sempre terminavano con un lieto fine. Venivano narrate per dare insegnamenti e moniti ai piccoli, che per la maggior parte della giornata stavano lontani dai genitori, impegnati nel lavoro dei campi. La geniale invenzione di un bestiario fantastico era stata escogitata per mettere in guardia i bambini dai vari pericoli in cui potevano imbattersi stando spesso da soli. La Marroca, il Badalischio, il Lupo, la Gatta Ignuda, il Bobo Nero, il Gatto Mammone, il Drago… celavano tali insidie e richiamavano precisi insegnamenti frutto di una pedagogia materialistica basata spesso sui rapporti di forza e fatta di rimproveri e punizioni corporali.