“Il Profumo della Libertà” | di Mattia Mincuzzi | “Del piacere di leggere: da Proust ai Millennial”

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Premessa a cura di Andrea Giostra

L’articolo Non ci è consentito di essere liberi, che leggerete a seguire, è del giovane Mattia Mancuzzi che ha solo venti anni per cui rientra nella cosiddetta “Generazione Z”, ovvero, tra coloro che sono “nati con uno smartphone in mano” e nei quali la tecnologia digitale è sempre stata presente nelle loro vite già dall’infanzia e Internet rappresenta una parte integrante della quotidianità dei loro genitori. La fascia di età dei nati della “Generazione Z” varia dal 1991 al 2010 a seconda del livello di sviluppo tecnologico nei vari paesi. Nel nostro caso, per Mattia, possiamo certamente parlare di un appartenente alla “Generazione Z” il cui contributo in questo saggio, insieme a quello di altri ragazzi co-autori, che pubblicheremo nelle prossime settimane, e che contribuiranno alla stesura di questo libro, risulta particolarmente interessante e istruttivo per gli adulti-educatori e per gli adulti-genitori che leggeranno questi contributi e questo saggio quando sarà pubblicato.

Il contributo di Mattia, che leggerete a seguire, è pertanto uno degli importanti contributi frutto di una riflessione partecipata che vede protagonisti diverse persone appassionate di libri e di lettura.

Nel mese di novembre 2019, su diversi magazine nazionali e regionali, venne pubblicato un articolo, scritto da Ilaria Cerioli e Andrea Giostra, che si poneva delle domande sul senso della lettura oggi, nel Ventunesimo secolo, a partire dal noto saggio di Marcel Proust “Sur la lecture”, pubblicato in Francia il 15 giugno 1905, fino ai giorni nostri. Un articolo che venne letto da oltre 50 mila lettori e che vide centinaia di commenti, tutti molto interessanti. A questo inaspettato successo di lettori seguì l’invito, da parte degli autori, di una riflessione partecipata avanzata a diversi loro amici e colleghi, proprio a partire dall’articolo «Da Marcel Proust ai Millennial, “Del piacere di leggere” e del “Senso di vivere tra i libri” dei ragazzi di oggi»

https://mobmagazine.it/blog/2019/11/30/da-marcel-proust-ai-millennial-del-piacere-di-leggere-e-del-senso-di-vivere-tra-i-libri-dei-ragazzi-di-oggi/.

Seguirono diverse adesioni da parte di studiosi, educatori, professori universitari, psicologi, critici d’arte, insegnati, artisti, scrittori e qualche giovane adulto come Mattia Mincuzzi. Il saggio, a cura di Ilaria Cerioli e Andrea Giostra, e con la co-partecipazione di diversi co-autori, che ha per titolo “Del piacere di leggere: da Proust ai Millennial”, sarà pubblicato (se riusciremo a rispettare i tempi) entro il mese di ottobre 2020, ed ha già raccolto diversi interessanti contributi che verranno anticipati in questa piccola Rubrica su questo magazine che abbiamo chiamato con lo stesso titolo del saggio di prossima pubblicazione: “Del piacere di leggere: da Proust ai Millennial”.

È bene precisare che il saggio, quando sarà ufficialmente pubblicato, sarà leggibile gratuitamente online su alcuni portali web, e, altresì, potrà essere scaricato online in pdf sempre gratuitamente. Ovviamente sarà anche disponibile su tutti i portali online di distribuzione libri.

Chi dei lettori di questo contributo, quello del giovane studente universitario e talentuoso intellettuale Mattia Mincuzzi, volesse scriverci e sottoporre alla nostra attenzione la sua riflessione su questo grande tema, ne saremmo grati e certamente la prenderemo in considerazione per un eventuale inserimento nel saggio di cui vi abbiamo anticipato i contenuti.

Buona lettura a tutti…

“Il Profumo della Libertà” | di Mattia Mincuzzi

“Leggere rende liberi”, “la lettura è libertà”: frasi molto usate, seppur positive, ma quasi stereotipi ormai.

Ma siamo sicuri che sia effettivamente così nella realtà?

Se oggi i ragazzi, spesso, considerano la lettura il classico peso da compiti estivi, non è colpa di “questi giovani che non vogliono fare niente” ecc. Non si riesce, invece, ad uscire dalla presunzione che il problema sia a monte, nel sistema: la realtà è che, nella maggior parte delle scuole italiane, i professori che riescono a farti appassionare ad una materia, in questo caso alla letteratura, si contano sulle dita della mano di un mutilato di guerra, mentre gli “insegnanti” che si limitano a servire lo stesso minestrone riscaldato, a sopprimere qualsiasi istinto di diversità, a svuotare anche le persone pure, si contano con tutte le altre dita mozzate a terra sul campo di battaglia, di tutti e due gli eserciti.

Questa è una realtà di cui non si parla, ed è assurdo.

Le arti in generale, la lettura e la scrittura, in questo caso, sono lo specchio, la rappresentazione della società: siamo fermi nelle nostre scuole a studiare sempre gli stessi capolavori perché la verità è che, in questo paese, da Pasolini in poi non si è più letto qualcosa di interessate, e Pasolini stesso è relegato a poche pagine di libri scolastici, che nemmeno vengono fatte studiare, perché custode di un pensiero troppo rivoluzionario.

Il punto è che non si legge più qualcosa di particolare e di conseguenza non si scrive più, e viceversa: la nostra società sembra non avere nulla da dire e, chi ce lo avrebbe, è costretto a rifugiarsi nelle parole di qualche autore passato. Quel che è peggio, inoltre, è che anche la nostra gioventù sembra non abbia nulla da dire: nel bene o nel male, già da Socrate in poi, “i giovani” sono sempre stati la classe di cui si discuteva, spesso anche attaccata, perché sono sempre stati il vero motore intellettuale della società: sempre impegnati a fare qualcosa, positiva o negativa che fosse, ma almeno facevano.

L’immobilismo della gioventù di oggi, invece, è preoccupante: siamo spenti, non ci animano grandi idee o grandi sogni personali, viviamo in un mondo e in un paese pieno di lati oscuri e nemmeno ce ne lamentiamo, nell’inerzia sonnolenta in cui ci dondoliamo. Forse perché veniamo istruiti già da subito a tutto questo, portandoci alla delusione verso ciò che ci circonda, forse perché spesso i professori, avvalendosi anche del più semplice e misero concetto di “guerra fra poveri”, sono impegnati di più a svilire e uniformare studenti diversi dalla “turba”, nel puro senso latino, che a incentivare la creatività e l’unicità di ciascuno di noi?

Ma siamo sicuri che possa essere già questo il punto di arrivo del discorso?

Se ci fermassimo qui, probabilmente avremmo indagato su qualche nuova realtà, proponendo un punto di vista differente, ma la necessità vera è di scavare fin dove non si è mai arrivati per proporre qualcosa di nuovo e lo si può fare solo con il metodo più antico del mondo: chiedendoci il perché.

A livello artistico e letterario, sembriamo, infatti, essere circondati dal vuoto, forse ne abbiamo in parte dentro di noi, ma perché è così e perché sembriamo addirittura di ricercarlo, quasi attratti da un qualcosa che sentiamo simile a noi?

Alla base di tutto esiste una necessità emotiva difficile da investigare, diversa e soggettiva per ognuno di noi, che nasce per diversi motivi e si nutre del vuoto che ci circonda in maniera differente. La realtà, infatti, è che il vuoto crea molta confusione e può esprimersi e tornare utile in molti modi: in uno stile di vita, nella musica, in degli atteggiamenti topici, in delle maschere.

E non riusciamo a trovare il compromesso, la giusta via di mezzo.

Utilizziamo tutto ciò per nascondere dei problemi di noi stessi, della nostra storia, che non riusciamo ad affrontare, per crearci una personalità che possa farci evadere da quella vera, che invece ne è spesso l’opposto e con cui non riusciamo a convivere, per la mancanza di coraggio di provare ad invertire una rotta che non ci piace o, semplicemente, di lasciare il porto sicuro che ci siamo creati per intraprenderne una nuova, che magari può essere piena, questa sì stavolta, di tanti scogli, ma, alla fine, porta al vero attracco che vogliamo, da cui non si può sfuggire.

Siamo noi stessi, non ciò di cui ci circondiamo per i motivi più vari, non le persone che diventiamo perché qualcuno ha deciso così, o perché ci inganniamo da soli di averlo fatto noi: inutile andare contro la corrente del nostro io.

Ecco il perché della scarsità dell’arte e della spasmodica ricerca dell’inconsistenza, che c’è sempre stata nella storia, è sempre esistita, ma prima si esprimeva in modo diverso, in modo pieno, mentre ora rappresenta la necessità personale di ognuno di noi di trovarsi la propria maschera.

Tutto questo, inevitabilmente, si riflette nella scrittura, povera, assente, e in qualsiasi altra forma d’arte, come la musica, che ormai non esiste quasi più, non ci dice più niente, non ci ispira più: vuota.

Come si fa senza tutto ciò ad amare, odiare, vivere, provare qualsiasi tipo di emozione fino in fondo?

E questa, inoltre, non è la semplicistica, e semplice da attaccare, logica del dare per scontato che “chi c’era prima era più bravo”, frutto della sindrome dell’età dell’oro: questo sarebbe un discorso vuoto, propagandistico del vuoto, che, se fosse valido, allora da Platone in poi chiunque avrebbe dovuto smettere di scrivere, mai più attori dopo Chaplin, niente più pittori dopo Da Vinci, basta musicisti dopo Beethoven. Invece, per millenni si sono susseguiti grandi artisti e grandi società: siamo noi oggi i piccoli che non abbiamo nulla da dire e nemmeno il coraggio di proporre o di analizzare qualcosa di nuovo.

In tutto ciò, ovviamente, riecheggia la famosa domanda: come riavvicinare alla lettura?

È incredibile come questa domanda venga posta e riposta da non si sa quanto, eppure si continui a non fare assolutamente nulla.

Davvero vogliamo riavvicinare i ragazzi alla lettura continuando con programmi scolastici in cui si dedicano anni solo a Dante e a Manzoni, ai soliti romanzi estivi (che nessuno legge) e che terminano sempre alla metà del libro di quinto anno, tralasciando totalmente la letteratura contemporanea?

E fosse solo questo il problema, perché anche la grande letteratura viene accantonata: il filone sudamericano è un oggetto sconosciuto, la letteratura russa considerata troppo difficile o pesante, quindi scartata, autori americani geniali come Hemingway: “basta che sapete che esiste”.

La lettura può e deve essere quella valvola di sfogo che ognuno di noi ricerca e questa valvola non può essere imposta, ma è diversa per ciascuno di noi e solo noi possiamo trovarla, senza che nessuno possa dirci quale sia quella giusta o sbagliata.

Il paradosso è che abbiamo la fortuna di vivere nel paese che detiene il patrimonio letterario più grande, bello e importante e che possiamo leggerlo e comprenderlo in lingua originale, senza orribili traduzioni, eppure non sappiamo sfruttarlo, avendo come risultato l’aridità letteraria di oggi, fatta di omologazione e omogeneizzazione.

Il paradosso continua se si fanno dei paragoni con altri paesi.

Gli Stati Uniti, ad esempio, per motivi semplicemente storici, e anche per altri, hanno un bagaglio letterario limitato: i grandi autori sono geniali, ma veramente pochi, eppure, nelle loro scuole, sicuramente piene di enormi problemi, esiste una realtà esemplare, cioè l’aula del “reading”, che consiste in un’ora di lezione in cui i ragazzi sono liberi di scegliersi dei libri qualsiasi da leggere, prendendoli da una grande libreria.

Ora, sebbene sicuramente quella libreria non sia piena di tutto quello che potrebbe esserci e tralasciando, per un momento, il fatto che non tutti vi possano accedere, l’idea di base è geniale: pensate se qui i ragazzi, tra un, sicuramente importante e fondamentale, Dante e Manzoni, potessero avere una libreria con a disposizione Pasolini, Pasternak, Garcia Marquez, Sepulveda, poesie di Leopardi che, seppur meraviglioso, non siano solo “L’infinito”, Sciascia, Hemingway, Baudelaire e tantissimi altri, con la libera scelta di poter approfondire il proprio bagaglio culturale secondo i propri interessi, non altre direttive.

Forse allora si potrebbe parlare di piacere della lettura, mentre la realtà è fossilizzata su quelle letture “sicure”, servite da spiegazioni calcarose di professori che si preoccupano di più dell’omologazione, che della materia, e investono più energie nel tenere i ragazzi addormentati nella spoglia uniformazione che li veste, e a reprimere con violenza chi tenta di essere semplicemente non diverso, ma se stesso, che a trasmettere il vero compito della scrittura e della lettura: rappresentare le cose per cambiarle, evolversi, conflitto.

Il mio ultimo anno di liceo, il più importante, ho avuto la fortuna di potermi rifugiare negli insegnamenti di una professoressa che non era la mia, per poter davvero imparare qualcosa: questa è la realtà. Tuttavia, non tutti abbiamo la possibilità di fare questo e frasi come “non vi impedisce nessuno di andare in libreria a comprarvi quello che volete” sarebbero un alibi consistente come il velo di Maya di Schopenhauer: la passione si trasmette, si “insegna”, altrimenti avremmo un mestiere in meno.

Inoltre, in conclusione, sembra anche utile sottolineare che questo non può e non vuole essere un articolo che si riduca alla banalità del “stiamo perdendo valori, era meglio un tempo, prima c’era dell’arte ora no…”, un articolo contro l’evoluzione, l’innovazione, ma è, piuttosto, un manifesto della reinterpretazione e della creazione: anche le forme d’arte migliori, che conosciamo, ne hanno sostituite altre precedenti di altrettanto grandi, tuttavia oggi, nonostante le possibilità date dai social media e dalla tecnologia siano enormi, non esiste l’ispirazione per sfruttarle e questi nuovi mezzi, usati male, invece di sostituire qualcosa, lo annientano, cosicché non abbiamo nulla di vecchio a cui ispirarci, né qualcosa di nuovo da cui ripartire.

Il problema è questo, il mix intellettualmente letale di immobilismo, omologazione e impoverimento culturale in cui ci stiamo coccolando, non il progresso, che è sempre necessario.

La lettura, l’arte in generale, è incredibilmente necessaria non solo per la comprensione della realtà, di cose di cui altrimenti, come sta accadendo, non ci accorgeremmo nemmeno, ma anche per l’indagine stessa dei nostri sentimenti e di quelli di chi abbiamo di fronte.

Chi di noi non si è mai immedesimato in una grande storia d’amore, vivendo la propria, o in qualche grande storia di avventura, mentre affrontava grandi sfide nella sua vita? Chi non l’ha fatto si è perso la vera bellezza della vita, come diceva Pasternak a proposito di chi non è mai caduto: senza tutto ciò le nostre esperienze possono solo che essere spente, inodore.

Lasciateci essere liberi, inseguire con leggerezza ciò che vogliamo, il nuovo o il vecchio, i nostri sogni, la nostra spensieratezza: lasciateci crescere senza metterci gabbie intorno che ci facciano assumere la forma che volete voi, come con la frutta.

E se non ci lasciassero questa libertà, prendiamocela noi.

Siamo in un momento di transizione: potremmo ripartire dal grande, dal puro, confrontandoci con la realtà e affrontando la verità, per arrivare ancora più in alto di prima, perché non esistono limiti, sarebbe sciocco porli all’umanità, oppure possiamo continuare a cullarci nel marcio e perdere, insieme al passato, il presente e il futuro.

A noi la scelta.

Mattia Mincuzzi