Il rispetto del paziente nel codice di deontologia professionale degli operatori sanitari: il caso “Maradona”| di Mirko Avesani

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E’ di questi giorni la diffusione di messaggi audio che il medico personale dell’ex Pibe de Oro, Leopoldo Luque, avrebbe scambiato, tramite Whatsapp, con altre persone, tra cui la psichiatra di Maradona, Augustina Cosachov.

Entrambi questi medici sono sotto indagini per omicidio colposo e i messaggi diffusi dal portale argentino Infobae non aiutano di certo a gettare acqua sul fuoco, considerata la vasta eco che hanno riscosso, con sentimenti di riprovazione da parte della società civile.

Lungi da noi voler trarre conclusioni sull’esito delle indagini in corso per omicidio colposo, nel pieno rispetto della presunzione di innocenza, bisogna, tuttavia, riconoscere che, se questi messaggi risultassero veritieri (si parla di audio, difficilmente oggetto di hackeraggio), ci sarebbe da considerare che, anche qualora la posizione di questi medici venisse archiviata o essi venissero assolti, dopo un regolare processo, per l’accusa di omicidio colposo, quelle parole, pronunciate “apertis verbis” nei confronti di un paziente (ma nulla cambierebbe si trattasse anche di un malato che si sa essere tale), pesano dal punto di vista deontologico.

Questo vale per tutte le categorie di sanitari, siano essi medici, infermieri, fisioterapisti, tecnici, OSS, psicologi, odontoiatri.

Denigrare un malato è un illecito in primis deontologico, che è più grave di quello penale perchè quello penale prevede delle scriminanti (ad esempio la provocazione) mentre quello deontologico no: per la deontologia un malato va capito anche se offende per primo, anche se in Pronto Soccorso ci insulta e ci mette le mani addosso. Specie se, come pare per Maradona, sembra soffrire anche di una patologia psichiatrica.

Il caso, pertanto, merita una riflessione molto profonda in chi, operatore sanitario, si sente in “diritto” di reagire alle presunte offese di una persona che, magari, apertamente, definisce anche malata mentale, ammettendo di conoscerne le pene e le stigmate nosografiche.

E questo perchè ogni codice di deontologia professionale non prevede la cosiddetta “reciprocità”. Anzi, prevede una aggravante per l’operatore sanitario che abbia reagito ad una presunta aggressione con una aggressione avendo dato preventiva dimostrazione di essere a conoscenza che la persona era malata e, in quanto tale, magari, anche, in terapia. E questo, paradossalmente, anche se il codice penale dovesse punire il malato per la presenza della capacità di intendere e di volere quando ha insultato il sanitario. I due codici, infatti, sono paralleli, non soggetto uno alla subordinazione dell’altro.

Anche se il sanitario crede di essere perseguitato (questo può succedere), egli deve prima esperire ogni forma di aiuto alla persona che afferma di sapere essere ammalata (ad esempio con un ammonimento scritto) e non limitarsi a sentirsi legittimato a reagire. Si reagisce ad un insulto di una persona sana, mentre va capito, ma, soprattutto, approfondito nella sua eziologia, l’insulto della persona malata, specie se si ritiene essere reiterato nel tempo. E, se si viene a conoscenza di amici o conoscenti che stanno insultando o denigrando un malato, si deve anche dimostrare non solo di essersi dissociati ma di aver richiamato chi sta compiendo un gesto eticamente discutibile, al fine di farlo desistere. Solo dopo, il sanitario potrà prendere i provvedimenti che l’ordinamento gli concede per por fine alla persecuzione di cui si ritiene vittima, ma sempre nel rispetto dello stato di malattia. Non può, in sostanza, fare il “Ponzio Pilato” del momento. Lo stato di malattia non va assolutamente deriso.

Non è assolutamente accettabile vi siano operatori sanitari che deridano, per “goliardia”, lo stato di malattia in generale e quello mentale in particolare. Eppure, se siamo qui a parlare del caso “Maradona”, vuol dire che succede. E non fa onore alla categoria degli operatori sanitari in generale.

Se un “Maradona famoso” viene definito “il grassone (che) sta per morire” da coloro che lo avevano avuto in cura, quanti “Maradona non famosi” possono aver subito la stessa sorte, e hanno taciuto oppure non sono stati ascoltati quando hanno segnalato il torto che stavano subendo? Quanti professionisti, in ambito sanitario, possono averli derisi per la patologia di cui soffrono, anzichè essersi adoperati per alleviarne la sofferenza che magari li ha portati ad “esagerare”?

Si, perchè questo dovrebbe essere il quesito che ogni ordine professionale dell’ambito sanitario dovrebbe porre ad un suo iscritto, quando lo deve giudicare perchè  accusato di aver deriso un paziente affetto da malattia in generale e mentale in particolare: “Prima di deridere e contrattaccare, cosa hai fatto di concreto per aiutare questa persona a soffrire meno e, di conseguenza, ad essere, magari, meno molesta nei tuoi confronti?”.

Si spera che tra gli operatori sanitari, quanto prima, si diffonda una cultura trasversale del rispetto verso il malato, grazie anche al triste caso “Maradona”, che qualche riflessione ce la stimola.