“L’attimo fuggente e la ricerca della felicità” | di Mariangela Rodilosso

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“O vergine, cogli l’attimo che fugge, cogli la rosa quando è il momento.  Che il tempo, lo sai, vola: e lo stesso che sboccia oggi, domani appassirà.” (Orazio)

Orazio, celebre poeta dell’età augustea e intellettuale iconico della “romanitas”, ha immortalato grazie al suo “carpe diem” la bellezza soave dell’ attimo fuggente.  Questo attimo, poeticamente rappresentato dalla rosa, è divenuto spesso il riferimento di intere generazioni e la stella del nord nella navigazione della vita.  Con la poetica del “carpe diem”, il nostro poeta ci esorta a vivere l’ “hic et nunc” godendo delle gioie e dei piaceri della vita che gli dei hanno concesso ai mortali senza eccessivi timori ed ansie per il futuro.

La rosa, metafora delle meraviglie della giovinezza, del fulgore, e della freschezza della vita che sboccia, rievoca gocce di rugiada mattutina ed albe rosee colme di allettanti promesse di felicità. Questo mirabile fiore appare anche come protagonista nella composizione “Rosa fresca aulentissima” del poeta medievale Cecco Angolieri. Essa incarna l’ effimera ed evanescente bellezza degli uomini, delle cose e del creato.

Nonostante la rosa sia all’apice del suo splendore ed il suo profumo impregni l’aria, tale fiore reca già in sé il preludio della decadenza e della fine. Ma, proprio grazie a questo paradosso dell’ esistenza ed all’inevitabile caducità del tutto, siamo capaci di rubare al destino momenti irripetibili di esaltante bellezza, che, simili a prelibato nettare, ci donano l’ illusione di vivere nell’eternità.

“Come i germogli che genera la primavera fiorita quando d’ un tratto li sboccia il raggio del sole, uguali ad essi, fioriti per tempo si breve, noi ci godiamo la giovinezza divinamente ignari del bene e del male.  Ma nere ci stanno le Parche, una con il termine squallido della vecchiaia e l’altra la morte; e resta per poco il frutto della giovinezza, quanto un giro di sole sulla terra.” (Mimnermo)

Il grandioso poeta greco pre-cristiano Mimnermo, grazie alla sua eccelsa sensibilità ed alla sua profonda riflessione filosofica sulla condizione umana, riuscì ad esprimere in termini lirici l’ innegabile verità della brevità della vita e l’ incanto della giovinezza , che simile ad un cigno bianco di rara grazia, con l’eleganza dei passi della danza classica, svanisce nel lago della vita alle prime luci del mattino.

Tutti noi siamo condannati ad appassire, sfiorire, svanire; ed a vedere scomparire ciò che amiamo e che desideriamo che durasse per sempre.  Anche il poeta- cantautore Fabrizio De Andre’ ha dato voce a questo meditazione dell’ irrefrenabile divenire delle cose, allo scorrere del tempo che muta persone, sensazioni, ed emozioni.  “Ricordi sbocciavano le viole con le nostre parole non ci lasceremo, mai, mai e poi mai.

Vorrei dirti ora le stesse cose, ma come fan presto, amore ad appassire le rose; cosi per noi l’ amore che strappa i capelli è perduto ormai, non resta che qualche svogliata carezza e un po’ di tenerezza.”

Fabrizio De Andre’, grazie al suo animo sensibilissimo e illuminato, descrive quell’ amarsi alla follia, quel tempo trascorso insieme che non è mai abbastanza e quei baci che non stancano mai. La tempesta di emozioni, che purtroppo, per la sua natura mortale e finita, è destinata a placarsi, assume nuove sembianze come cenere dopo un fuoco ardente.

Già il poeta latino Catullo aveva cantato la potenza travolgente e folgorante dell’amore soggetto alla brevità dell’esistenza.  Un amore visto come l’ unico rifugio, l’ unica cosa a cui aggrapparsi, come uno scoglio in mare in una notte senza luna.

“Viviamo mia Lesbia e amiamo. Il sole può tramontare e tornare; ma noi quando cade la breve luce della vita, dobbiamo dormire una interminabile notte.”

Anche il geniale Franco Battiato ha scandagliato la natura terrena, impalpabile, ed evanescente del sentimento amoroso, che dai sacri furori e dall’ euforia dell’inizio, si trasforma ed evolve insieme al fluire di tutte le cose.  Esso è come un fiume imprevedibile che prende nuova vita , nuovi spazi, e nuove dimensioni del sentire.

“Io chiudo gli occhi e rammento gli amori di gioventù. Di voi che resta antichi amori, giorni di festa, teneri ardori, solo una mesta foto ingiallita nelle mie dita. Di voi che resta sguardi innocenti, lacrime e risa e giuramenti, solo sepolto in un cassetto qualche biglietto.  Sere d’aprile.  Sogni incantati, capelli al vento baci rubati, che resta dunque di tutto ciò ditemi un po’.”

Franco Battiato, visionario compositore-cantante, ha creato poesie in musica senza tempo che nella loro intensità e purezza sembrano scritte per ognuno di noi.

Il tempo che passa, dunque, è il tema ricorrente di poeti ed artisti, i quali, con l’audacia di Prometeo, vorrebbero fermarlo, immortalandolo in uno scatto fotografico che fa venir in mente le iconiche fotografie del famoso fotografo francese Henri Cartier-Bresson, chiamato “l’occhio del secolo” per quella sua unica capacità di catturare l’attimo fuggente e l’essenza delle cose nel loro nucleo più autentico.

Poiché’ il nostro tempo, simile al vento autunnale, porta con sé sentimenti e sensazioni, che come foglie ambrate dopo una metamorfosi, si dileguano in lontani orizzonti ed in malinconiche rievocazioni; l’uomo rimane spesso prigioniero di tali ricordi idealizzati e di questo tempo che sfugge come sabbia tra le mani. Così, la definizione dei migliori anni della nostra vita diviene un’ode al passato, un passato, che forse è stato abbellito dalla nostra immaginazione.  Sarebbe invece bellissimo credere che, come sosteneva Victor Hugo, i migliori anni della nostra vita siano quelli ancora da vivere.

“Il più bello dei mari è quello che non navigammo. Il più bello dei nostri figli non è ancora cresciuto.  I nostri giorni più belli non li abbiamo ancora vissuti.” (Nazim Hikmet)

Questo tempo, demiurgo e padrone della nostra vita, è per molti intellettuali e filosofi una mera illusione ed una categoria dello spirito inventata dall’uomo. Il filosofo francese Henri Bergson stabilì infatti che esistono due differenti aspetti del tempo; il tempo convenzionale, scandito da calendari e numeri, e quello interiore. Il tempo interiore è quello segnato dalle impressioni, dai ricordi, e dalle sensazioni.  Secondo questo pensatore, l’ unico tempo che conta veramente ‘e quello della dimensione intimista e soggettiva.  Come direbbe anche lo scrittore portoghese Fernando Pessoa “Il valore delle cose non è determinato dalla durata ma dall’intensità con cui avvengono.” L’ intensità emotiva allora incastona delle perle nel diadema dei ricordi che vivono fino alla fine dei nostri giorni.  Seppure fugaci, tali istanti divengono significato e significante nel celebrare le emozioni più salienti delle nostre vite.

­Sebbene Marcel Proust abbia sostenuto che “i veri paradisi siano quelli perduti”, tale culto di ciò che non fu e che non potrà mai essere, implica il pericolo di una cristallizzazione sterile del tempo andato ed impedisce spesso di cogliere quelle rose purpuree del presente.

Per numerosi scrittori , la chiave del reale ed il raggiungimento della felicità esistono soltanto nei sogni e nelle divagazioni poiché’ la caducità del reale è solo fonte di delusioni e disillusioni.

Il drammaturgo spagnolo del “Siglo de Oro” Calderon de la Barca con la sua commedia filosofica “La vida es sueno” riuscì a cogliere la rarefatta e pulviscolare essenza di tutte le cose “Che e’ la vita? Una follia, che è la vita? Un’ illusione, un ombra, una finzione. È il più grande dei beni, è poca cosa perché’ tutta la vita è sogno.”

La transitorietà e la provvisorietà dell’ esistenza era anche il tema dominante del Trionfo di Bacco e Arianna del mecenate e poeta rinascimentale Lorenzo dei Medici. “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia! Chi vuol essere lieto sia, di doman non c’è certezza.”

Le certezze, purtroppo, non appartengono a noi mortali.  Solo nella baldanza e nell’ ottimismo incontaminato degli anni giovanili, possiamo trovare pascoli lussureggianti ed rassicuranti. Proprio per questa mancanza di sicurezze, per lo scetticismo, e per le ferite inferte dalla vita, in senso fisico o morale, gli uomini vagano alla perenne ricerca dell’ indefinito.  Giacomo Leopardi era pienamente cosciente dell’ altissimo valore dei precari e rari momenti di felicità. Ma era anche consapevole del fatto che questi attimi di gioia sovrana esistono soprattutto nell’ anticipazione e nell’ attesa di ciò che si desidera più di ogni altra cosa.  Essi sono comunque insufficienti a colmare la sete d’ infinito ed il senso per cui vivere e morire.

La cangiante, incoerente, e contraddittoria valenza della soddisfazione del desiderio e della gioia è espressa anche magnificamente dallo scrittore americano Scott Fitzgerald, dandy e protagonista “bohemien” della Parigi degli eccessi e delle stravaganze degli “anni ruggenti.”

“Le cose divengono più dolci quando sono perdute. Lo so, una volta volevo qualcosa e l’ho ottenuta, È stata la sola cosa che abbia voluto. Quando l’ho ottenuta mi si è ridotta in polvere tra le mani.”

La ricerca della felicità ha da sempre ossessionato artisti e scrittori che hanno cercato di afferrarla e di definirla. Per Giovanni Pascoli, essa era sinonimo di gioie domestiche, del tepore, e del nido familiare che proteggeva come un grembo materno. Per Gabriele D’Annunzio, invece, la felicità era rappresentata da sommi piaceri, da un erotismo slegato da morale e convenzioni sociali, e da grandiose gesta eroiche che rievocavano la vita di Lord Byron.  Secondo grandi saggi, pensatori e teorici contemporanei della “mindfulness,” il raggiungimento relativo della felicità dovrebbe, in fine, consistere nella soddisfazione per il proprio stato e nell’accettazione della propria condizione.

Il poeta francese Andre’ Gide espresse cosi tale contentezza “Se vuoi essere veramente felice, non cedere alla tentazione di paragonare il momento presente con altri del passato, di cui a loro volta non hai saputo godere perché’ paragonati con i momenti futuri.” Proprio come nei quadri dei pittori Impressionisti francesi, in cui la luce a seconda dell’ ora cambia, così cambia la nostra percezione delle cose.  La materia si sfalda, diviene liquida, e le macchie di colore appaiono in frazioni di secondo proprio come in uno scatto fotografico.  Quella luce che riesce a catturare, scomporre, e ricomporre attimi di pura gioia ci permette di contemplare un cielo stellato e di restare meravigliati dinanzi a un campo di girasoli.  Se come sosteneva Andre’ Gide “la felicità si presenta sotto forma diversa da quella che aspettavamo”, dipende dunque da noi avere nuovi occhi per riconoscere questa gioia fatta di momenti quotidiani, che con molteplici coloriture e sfumature è il ritratto di quella bellezza estetica e morale che salverà il mondo.

Mariangela Rodilosso