Mattia Fiore, pittore ed effettista | INTERVISTA

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«I miei dipinti rappresentano l’espressione esteriore della mia interiorità in forma pittorica. Non credo di essere stato influenzato da un artista in particolare. In passato, alcuni fruitori identificavano la mia tecnica pittorica (gestualità/dripping) con quella di Jackson Pollock, il rappresentante più emblematico dell’Action Painting. Altri ancora associavano la mia pittura astratta al pittore russo Wassily Kandinsky, il padre fondatore dell’astrattismo nella pittura moderna. » (Mattia Fiore)

Ciao Mattia, benvenuto e grazie per avere accettato il nostro invito. Ai nostri lettori che volessero conoscerti quale artista delle arti visive, cosa racconteresti di te?

Per me “Pittura e Vita” sono una cosa sola. Con le mie opere desidero trasmettere, attraverso l’arte, il concetto di Bellezza e i miei dipinti, perciò, diventano lo specchio della mia esistenza in un processo armonico in cui tutta la mia opera è volta all’espressione dei sentimenti. L’opera coglie un momento di vita unico e irripetibile. D’altronde così come gli episodi della vita la cristallizzano e la costruiscono.

Per me l’arte è un’esperienza dello spirito…. Tonalità cromatiche intense, estrema sensibilità e amore verso la propria terra, la natura, la vita e l’arte. Tutto questo è racchiuso nella mia arte.

La mia opera non nasce da un’intenzione progettuale né tantomeno è rivolta a copiare ciò che di oggettivo la natura offre, quindi l’opera nasce più dalla proiezione fantastica inconscia che da una dettagliata rappresentazione della realtà, sviluppando così un linguaggio pittorico volto a esprimere l’infinita ricchezza delle emozioni e degli stati d’animo.

Sono un artista la cui ricerca si esprime in una pittura segnico gestuale, astratta e lirica. La materia, la gestualità ed il segno sono portate al massimo della tensione e dell’energia vitale; nelle mie tele le forme esplose si dispongono dinamicamente secondo le spinte dell’energia liberata durante l’atto creativo.

La mia è una pittura aniconica, che rifiuta la forma figurativa e dà importanza al gesto spontaneo, impulsivo, immediato, sentito e non pensato. Insomma, la mia opera si pone come fonte di ispirazione che non pretende di essere portatrice di alcuna verità o saggezza, bensì intende semplicemente attirare l’attenzione dell’osservatore sulle sue “vibrazioni dell’anima” e risvegliarle. L’opera, in tal senso, diventa così una superficie di proiezione di sentimenti e allo stesso tempo un mezzo per evocarli.

Dunque, il fine che intendo perseguire con la mia opera è quello di trasmettere e promuovere il concetto di “Bellezza” e stimolare la necessità di educarsi ad essa, poiché Estetica ed Etica sono tra loro intimamente connesse. Certamente si può ritenere che in una condizione “brutta” non possa albergare una grande Etica.

Particolarmente significativo è il monologo di Peppino Impastato sulla Bellezza, tratto dal film di Giordana “I cento passi”: «Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore».

Quindi, preservare, promuovere e difendere la bellezza dall’incedere della bruttezza vuole essere il mio contributo a fare del pianeta un mondo migliore.

Videoclip di Facebook Watch: “Mattia Fiore Arte”, clicca qui:

https://www.facebook.com/1065343915/videos/263238025561164/ 

… chi è invece Mattia nella sua quotidianità? Cosa ci racconti di te della tua vita al di là dell’arte e del lavoro?

Un ulteriore mio impegno è rappresentato dall’attività di collaboratore del “Magazine Informare”, mensile, gratuito, di promozione culturale edito da Officina Volturno, associazione di legalità operante in campo ambientale, sociale e culturale, fondato nel 2002 dal Dott. Tommaso Morlando.

Per il Magazine “Informare On-Line” curo la rubrica “Una finestra sull’Arte”, pubblicando articoli che riportano l’analisi e la descrizione della vita e delle opere dei grandi maestri dell’arte, con suggerimenti e recensioni di mostre, con l’intento di promuovere e difendere la bellezza dall’incedere della bruttezza. A questo impegno editoriale si aggiunge anche il mio coinvolgimento attivo nell’“Associazione I.XII.XVIII” di cui sono socio fondatore. L’importanza della formazione e dell’informazione, della condivisione delle buone pratiche, la necessità di compiere scelte per la comunità nel rispetto della legalità, illuminate dalla bellezza della partecipazione attiva: è questo l’ambito in cui si è costituita l’Associazione I.XII.XVIII. Una realtà nata da un gruppo di amici che animati da una comune esigenza di fare per il sociale, hanno deciso di dare vita a questo nuovo progetto con la consapevolezza di lavorare per riuscire ad essere un ulteriore presidio nella folta rete delle associazioni e dei gruppi che si pongono a raccolta delle esigenze della cittadinanza. L’ente ha due sedi: una a Villa di Briano, in provincia di Caserta; una seconda a Ventoso di Scandiano in provincia di Reggio Emilia.

Inoltre, rimanendo sempre nell’ambito del tema della Legalità, il mio impegno si è già espresso, in più occasioni, nella collaborazione con il Presidio di LIBERA Portici (Per una società libera dalle mafie, dalla corruzione e da ogni forma d’illegalità).

Infine, sono socio di “L’ Altra Napoli Onlus”, un’associazione nata nel 2005 con l’intento di restituire alla città la propria dignità, per riscattarla dal degrado e dall’ illegalità che offuscano il suo naturale splendore e deprimono le condizioni per lo sviluppo. A tutt’oggi, l’Associazione, insieme a Don Antonio Loffredo e la sua squadra, è impegnata per il riscatto e il recupero del Rione Sanità, un quartiere ricco di straordinarie risorse storiche, monumentali ed umane ma che più di ogni altro è il simbolo delle contraddizioni della città.

Come è nata la tua passione per l’arte e per le arti visive in particolare? Quale il tuo percorso professionale, esperienziale, accademico e artistico che hai seguito?

La mia voglia di “produrre arte” ha preso forma durante gli anni di frequentazione della Scuola Secondaria di Primo Grado. In questo stesso periodo, con una curiosità insaziabile, ho portato a termine la realizzazione di un buon numero di paesaggi naturalistici, di figure accademiche, di ritratti.

Dopo le scuole medie, ho proseguito gli studi tecnico-scientifici e tuttavia non ho mai abbandonato l’interesse per la pittura che riconosco essere il mio “daimon”, ovvero, la mia inclinazione, la mia vocazione, la mia virtù, ciò per cui sono nato e che mi rende felice.

Quantunque io abbia avuto sempre viva la consapevolezza di voler seguire il percorso artistico, mi sono trovato davanti al fatidico bivio della scelta tra un posto di lavoro stipendiato e la vita d’artista di professione. Ho pensato, quindi, che l’artista non deve essere per forza un diplomato all’Accademia di Belle Arti, può anche essere un autodidatta o provenire da altre discipline: l’importante è che questi venga riconosciuto artista dall’ambiente dei creativi. Molteplici sono gli esempi di artisti provenienti da altre discipline.

Alla luce di questa considerazione ho deciso di intraprendere un percorso lavorativo presso un’importante Azienda Multinazionale nel settore alimentare, ricoprendo il ruolo di Quadro aziendale nell’ambito dell’Assicurazione di Qualità. Questa mia scelta non ha precluso l’intento di continuare a coltivare la mia passione per la pittura, anzi devo dire che la condizione economica garantita dal mio lavoro mi ha consentito di poter essere più libero di perseguire la mia arte per passione, non per denaro, svincolato ai possibili condizionamenti imposti dal mercato dell’arte.

Il lavoro aziendale e la pittura sono stati così due perfetti compagni di viaggio, in osmosi e legati da un filo diretto: la passione e il desiderio di permearmi degli ideali di Bellezza e di esserne scaturigine attraverso la mia espressione artistica.

La mia formazione artistica si è arricchita grazie alle numerose visite effettuate presso musei nazionali ed internazionali e allo studio degli artisti e delle correnti che hanno segnato la storia dell’arte attraverso i secoli.

Il mio percorso artistico è segnato da tantissimi momenti indimenticabili.

Di recente sono stato proclamato Senatore Accademico A.I.A.M. (Accademia Internazionale D’Arte Moderna di Roma), che accompagna le numerose cariche precedenti. Sono stato insignito della nomina di Effettista Honoris Causa e ho ricevuto la delega per la Campania della nuova corrente dell’Effettismo.

Finora ho avuto l’opportunità di esporre le mie creazioni in sedi nazionali ed internazionali e alcune mie opere sono in esposizione permanente in luoghi museali. Tra questi ricordo con particolare emozione le mostre personali e collettive realizzate presso numerose istituzioni e sedi espositive internazionali, tra cui: Queen Gallery 4th Avenue di New York, Galleria “Le Carre D’Or” di Parigi, Harrow Art Center di Londra, Galleria “Pinna” di Berlino, Galleria Zelezna di Praga, Palazzo della Stampa di S. Pietroburgo, Galleria “La Giostra del Torchio” di Milano, Galleria “Centro Arte” di Bologna, Biennale Internazionale di Arte Contemporanea (Fortezza da Basso – Firenze); Palazzo Venezia, Sale del Bramante e Palazzo Barberini a Roma; Chiesa di San Severo al Pendino, Palazzo Salerno, Castel dell’Ovo e Castel Nuovo a Napoli; Palazzo Reale di Caserta, Museo Archeologico Nazionale della Valle del Sarno, Complesso Monumentale di San Leucio, Art Events Arsenale Docks Biennale di Venezia, Fuori salone 2016-Milano,Terminal Crociere Isonzo Porto-Venezia, Mostra Internazionale D’ Arte Contemporanea (Isola S. Servolo Venezia); Io…la mia Arte presentata dal prof. Vittorio Sgarbi e dal Presidente di Spoleto Arte, Dott. Salvo Nugnes, presso Artemente Gallery (Jesolo-Ve); “Evento Video Art” realizzato da Artemente Gallery ( Jesolo-Ve) e presentata dal critico e storico dell’Arte Giorgio Grasso, curatore della Biennale di Venezia 2017 padiglione Armenia; Camera dei Deputati (Sale del Cenacolo e della Sacrestia del Complesso di Palazzo di vicolo Valdina-Roma).

A partire da questi ricordi indelebili, il mio percorso artistico è stato caratterizzato anche e soprattutto dal conferimento di particolari riconoscimenti che hanno segnato dei punti di arrivo e di nuova partenza. Gratitudine e nuova linfa per continuare a restituire Bellezza.

Da segnalare: il primo Premio Henry Moore organizzato dall’A.I.A.M, il secondo Premio Internazionale di Pittura Medusa Aurea presso l’Accademia di Romania in Roma, il titolo di Cavaliere accademico dell’Accademia Internazionale “Greci-Marino” del Verbano, Medaglia d’Oro al merito artistico culturale.

Ad oggi sono in connessione con diversi gruppi artistici nazionali e internazionali. Il mio sito web www.mattiafiore.com ha registrato finora 12.000 visite e 26.000 pagine viste. Il mio obiettivo primario è riuscire a condividere la mia poetica artistica col mondo intero.

Come definiresti il tuo linguaggio? C’è qualche artista al quale t’ispiri?

I miei dipinti rappresentano l’espressione esteriore della mia interiorità in forma pittorica.

Non credo di essere stato influenzato da un artista in particolare.

In passato, alcuni fruitori identificavano la mia tecnica pittorica (gestualità/dripping) con quella di Jackson Pollock, il rappresentante più emblematico dell’Action Painting. Altri ancora associavano la mia pittura astratta al pittore russo Wassily Kandinsky, il padre fondatore dell’astrattismo nella pittura moderna.

La mia è una pittura di percezione anziché di rappresentazione visiva del vero, della realtà esterna e dove il bello non è più ciò che risponde a canoni ordinari prestabiliti ma ciò che risponde ad una necessità interiore, che l’artista sente come tale.

Il colore è la mia forza, un colore avido e materico che cattura e rapprende la luce ma anche esuberante ed impetuoso che deflagra e fiammeggia sulla tela, che travolge il disegno, costruisce i volumi. Tutta la mia pittura è volta all’espressione dei sentimenti e riflette, attraverso il colore, le emozioni che provo difronte al mondo. Il mio intento è quello di rappresentare il mondo dell’inconscio attraverso la vivezza coloristica e la forza espressiva del colore che raccontano un’autentica “gioia di vivere”.

Nelle mie opere la creatività viene espressa nell’azione e si concretizza nei segni lasciati sulla materia, segni che sono quasi una mia scrittura privata che, con macchie di colore in luogo delle parole, vuole trasmettere emozioni, stati d’animo, una visione interiore del mondo. Per i miei lavori utilizzo come base supporti di diverse tipologie, tra cui tele ed elementi di uso comune come sacchi di juta grezza, (unita da vistose cuciture), e pregiati teli di lino provenienti da corredi nuziali di fine Ottocento, che rappresentano per me la materia dell’anima su cui proietto le mie emozioni declinate in forma pittorica.

Chi sono stati i tuoi maestri d’arte che ami ricordare? Parlaci di loro.

Fin dall’infanzia ho manifestato la passione per il disegno e la pittura. All’età di dodici anni, il Prof. G. Carbone, insegnante di disegno della Scuola Secondaria di Primo Grado, risultò una figura davvero fondamentale per la mia iniziazione artistica: mi aiutò a coltivare la passione per la pittura, mi insegnò alcune tecniche basilari e mi regalò i suoi colori e i suoi pennelli, insieme a libri d’arte, l’occorrente necessario per iniziare a studiare il disegno ed acquisire la conoscenza delle principali tecniche pittoriche. Questa esperienza fu per me molto interessante ed utile per capire quale fosse la strada voluta per me.

Cosa vuol dire e cosa rappresenta per te essere effettista? Come ti sei avvicinato a questa nuova corrente pittorica e cosa ti ha portato a decidere di accettare l’invito di Francesca Romana Fragale di essere nominato Effettista Honoris Causa? Quali i principi di questo movimento artistico e culturale che senti tuoi e condividi con artisti e amanti dell’arte, della cultura e della bellezza?

Non può sfuggire il fatto che l’Italia, paese di così grande tradizione artistica e culturale, sia da decenni “assente” dal panorama artistico internazionale. Praticamente dagli anni Sessanta del Novecento, dopo l’arte povera di Anselmo, Boetti, Kounellis, Merz, Pascali, Pistoletto, non c’è corrente artistica di rilevanza che sia nata, o abbia anche solo significativamente inciso, nel nostro paese.

Ora, ammettere che in una manciata di decenni si sia passati spontaneamente, a tipologie di espressioni che rinunciano totalmente all’esigenza estetica, significa fare un passo fuori da quell’idea di arte che si è definita in decine di secoli di storia.

“L’arte non va capita intellettualmente, lo scopo dell’arte è coinvolgere emotivamente, all’arte si chiede di riprendersi il ruolo antico di funzionalita’ estetica”. E in quest’ottica si inserisce a pieno titolo l’Effettismo di cui condivido punti salienti che lo caratterizzano, descritti nel decalogo e nel manifesto dell’Effettismo, la prima Corrente di pittura contemporanea dai tempi della Transavanguardia internazionale sorta per il riscatto dell’arte italiana, fondata da Franco Fragale e portata avanti oggi dalla figlia e allieva Francesca Romana Fragale.

Secondo i principi espressi nel proprio manifesto, l’Effettismo intende, con la sua azione, riempire il vuoto nel mondo dell’arte italiana propugnando l’originalità dell’opera e l’emozione che il dipinto deve trasmettere all’osservatore, in contrasto all’abuso della tecnologia, all’arte che arreda e al plagio di realtà d’oltreoceano, seguito dalle opere degli Effettisti, molto diverse tra loro, a significare l’“eclettismo stilistico del gruppo”.

Infatti, l’Effettismo è una corrente pittorica eclettica, ogni pittore può scegliere tra astratto, figurativo, informale, materico. Non nasce da un accordo sulla tecnica o sul soggetto, come fu per i Divisionisti, gli Impressionisti, i Macchiaioli, i Futuristi.

L’opera deve suscitare stupore emotivo nell’osservatore. Torna centrale il ruolo del fruitore dell’opera d’arte.

L’arte vera, sostiene Tolstoj, è quella che contagia, che è capace di suscitare nell’uomo quel sentimento di gioia nella comunione spirituale con l’artista e con gli altri che contemplano la stessa opera d’arte. In questo modo l’arte può stimolare la convivenza pacifica tra gli uomini mediante la loro libera e gioiosa attività e può dunque contribuire a sopprimere la violenza, facendo in modo che i sentimenti di fratellanza e amore per il prossimo, oggi accessibili solo ai migliori, diventino sentimenti abituali, istintivi in tutti”.

Nel decalogo dell’Effettismo è riportato un principio che mi ha favorevolmente colpito: “Rifiuta le forme di disonorevoli mercimoni nel mondo dell’arte”. La motivazione per cui questa dichiarazione mi sta particolarmente a cuore è riconducibile al fatto che ritengo sia essenziale che il territorio debba permettere all’artista stesso di riuscire a vivere attraverso la propria attività senza dover fare altri lavori per sostenersi economicamente. Ciò al fine di realizzare quelle opportunità necessarie per sviluppare la professione di artista.

In generale, in tutta la nostra Penisola, e in particolare nel Sud, si registra una scarsa attenzione tesa a fornire supporto agli artisti in termini di disponibilità di spazi espositivi gratuiti, di acquisizioni di opere da parte di Enti pubblici, e di sponsorizzazione degli eventi artistici. Per il bene del futuro dell’arte e degli stessi artisti occorre dare una svolta radicale a questa situazione che, diversamente, rischierebbe di frenare lo sviluppo di tanti artisti talentuosi. L’arte, dunque, è ciò che oggi definiremmo un “bene comune”. E di cui dunque deve prendersi cura la collettività, nel suo proprio interesse. Questa mission, quindi, non può essere affidata ai privati, né tantomeno genericamente al “dio mercato”. Essa non può che essere pubblica.

Ed allora, tutto questo rappresenta per me essere Effettista.

Particolarmente significativo è stato il primo incontro con Francesca Romana Fragale, avvenuto durante la cerimonia di conferimento della mia nomina di Senatore Accademico A.I.A.M. svolta l’11 ottobre 2020, nella splendida cornice del Teatro Ghione, in via delle Fornaci 37, Roma.

Sono rimasto favorevolmente impressionato da questo incontro: ho avuto il piacere di conoscere una donna di altissimo livello intellettuale, di grande cultura, sensibilità molto raffinata e gusti estremamente ricercati, di grande onestà intellettuale e uniti da un comune sentire.

Nei giorni successivi è stato per me un ulteriore privilegio ricevere l’invito di Francesca Romana Fragale di essere nominato Effettista Honoris Causa. In quella stessa occasione ho avuto la possibilità di conoscere il gruppo di amici effettisti, provenienti da ambienti e professioni assai diversi tra loro e con i quali sono entrato subito in risonanza. Sono lieto, onorato ed orgoglioso di questa nomina e di essere entrato a far parte del gruppo degli Effettisti. Cercherò di onorare il compito con tutte le mie capacità buttando il cuore oltre l’ostacolo.

«… mi sono trovato più volte a riflettere sul concetto di bellezza, e mi sono accorto che potrei benissimo (…) ripetere in proposito quanto rispondeva Agostino alla domanda su cosa fosse il tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede, non lo so.”» (Umberto Eco, “La bellezza”, GEDI gruppo editoriale ed., 2021, pp. 5-6). Per te cos’ è la bellezza? Prova a definire la bellezza dal tuo punto di vista. Come si fa a riconoscere la bellezza secondo te?

Parto dal concetto di Bellezza che è un concetto inscindibile dal tema dell’Etica, dal tema della morale, dal tema della politica, dal tema della cultura. La nostra società sembra essersi fatalmente dimenticata della Bellezza. Vuole vedere consumatori ovunque e non ha spazio per la dimensione della Bellezza.

Nella società dell’immagine ogni valore sembra acquistabile, e la bellezza non fa eccezione.

Soprattutto i giovani, oggi, vengono condizionati dal mito dell’apparire e dai canoni imposti dai giornali, dalla tv, dai media che esigono bellezze virtuali e prive di originalità. È innegabile che la bellezza influenzi la percezione che si ha di una persona. Dovremmo rimboccarci tutti le maniche, giovani e adulti, per accettarci e farci apprezzare per quello che siamo dentro, per le nostre imperfezioni e le nostre particolarità. Il nostro aspetto esteriore può servirci per un buon impatto iniziale ma quel che lascia il segno negli altri deve essere la nostra personalità, i tratti segreti del nostro carattere, il nostro temperamento, il nostro modo di fare, i nostri sguardi, i nostri gesti… A fare la differenza deve essere la nostra unicità interiore e non un involucro stereotipato da contemplare! Educare alla bellezza è una buona strategia.

Come ci spiega il filosofo Prof. Umberto Galimberti nelle sue riflessioni filosofiche, la bellezza appartiene allo scenario della follia che ci abita e richiede un sacrificio dell’io, ovvero il sacrificio della ragione, l’organo della concettualità, della razionalità. Non c’è bellezza senza sacrificio ma quel sacrificarsi per dire qualcosa di più rispetto a ciò che siamo abituati a dire abitualmente. Infatti, accade il bello se esprimi qualcosa di più di quello che rappresenti. Se riesci a dire qualcosa d’altro rispetto a quello che immediatamente si vede, altrimenti accade il biografico, il pittorico. Per catturare il bello non ti puoi fermare a ciò che vedi con i tuoi occhi sensibili, quelli li devi chiudere, il bello incomincia quando incominci a vedere con uno sguardo superiore che i greci chiamavano epopteia, (pipto in greco vuol dire guardare ed epipto, vuol dire guardare aldilà di quel che vedi ).

Ecco questa è la dimensione simbolica della bellezza artistica. Attraverso ciò che vedi c’è un aldilà richiamato da ciò che vedi. Quindi il bello è questo mettere assieme il visibile con l’invisibile a cui il visibile rinvia. La Bellezza compare anche all’inizio della Genesi nel racconto della creazione, in un vocabolo, “tov”, che unisce insieme il bello (Kalos) e il buono (Agathos), la fusione tra estetica ed etica, e lo star bene (Crestos). Per questo in ciò che è bello quindi c’è anche una dimensione etica, di buono, di giusto, di vero.

Inoltre, come mette in luce sovente il filosofo Galimberti nei suoi testi filosofici, secondo Platone, Estetica ed Etica sono connesse: il bello è la misura del bene ed il bene è bene se si coniuga col bello, (kalòs kai agathòs, cioè bello è anche buono), e questa coniugazione, nel Filebo di Platone, viene chiamata Armonia che è una parola greca che sta a significare l’Armonia dei diversi che, se mescolati tra loro secondo misura (Katametron), generano la Bellezza. Quindi la bellezza deve essere armonia e proporzioni tra le parti, come ci insegnano i greci.

Tommaso D’Aquino definisce la bellezza in un modo molto semplice “Pulcrum est quod visum placet”, ovvero bello è quello che quando lo vedi ti piace. In seguito, Kant la definirà “senza concetto, senza scopo e senza possesso”, mentre Thomas Mann utilizzerà un termine derivato dal verbo “trafiggere”(la bellezza ti trafigge), avvicinando la bellezza a “qualcosa di simile all’amore, dove non è l’io che ama, ma è l’amore che possiede l’io”. Della bellezza godono i sensi. La bellezza ci mette in una condizione di passività. Si ricorda che abbiamo anche un’Estetica della parola e la parola è bella se è ricca, se ha tanti vocaboli, se è graduabile con una serie di aggettivi e avverbi. C’è una Bellezza della parola, una Bellezza che oggi è in via di estinzione in una società in cui si assiste ad un vero e proprio collasso della parola. Bisogna altresì porre attenzione su di un altro importante tema: la povertà linguistica. Essa non è solamente la perdita delle parole ma è la perdita di pensiero (come ci ricorda bene il filosofo tedesco Heidegger, tu non puoi pensare una cosa di cui non hai la parola, per pensare quella cosa tu devi avere la parola di quella cosa altrimenti non è possibile pensarla; non c’è pensiero laddove manca la parola, per cui la perdita del linguaggio è soprattutto la perdita secca di pensiero. Questo può portar comodo al potere, in generale, nel senso che meno la gente pensa meno critica e più ubbidisce. È una perdita notevole che ci porterà inevitabilmente ad essere orfani del pensiero e, come ci ricorda Friedrich Nietzsche, “Quando l’umanità diventa gregge vuole l’animale capo.”

«Ma, parliamo seriamente, a che serve la critica d’arte? Perché non si può lasciare in pace l’artista, a creare, se ne ha voglia, un mondo nuovo; oppure, se non ne ha, ad adombrare il mondo che già conosciamo e del quale, immagino, ciascuno di noi avrebbe uggia se l’Arte, col suo raffinato spirito di scelta sensibile istinto di selezione, non lo purificasse per noi, per dir così, donandogli una passeggera perfezione? Perché l’artista dovrebbe essere infastidito dallo stridulo clamore della critica? Perché coloro che sono incapaci di creare pretendono di stimare il valore dell’opera creativa? Che ne sanno? Se l’opera di un uomo è di facile comprensione, la spiegazione diviene superflua… » (Oscar Wilde, “Il critico come artista”, Feltrinelli ed., 1995, p. 25). Cosa ne pensi delle parole che Oscar Wilde fa dire ad Ernest, uno dei due protagonisti insieme a Gilbert, nel dialogo di questa sua opera? Secondo te, alle Arti visive e all’arte in generale serve il critico? E se il critico d’arte, come sostiene Oscar Wilde, non è capace di creare, come fa a capire qualcosa che non rientra nelle sue possibilità, nei suoi talenti, ma che può solamente limitarsi ad osservare come tutti gli esseri umani?

I curatori e i critici d’arte sono parte di questo nostro paesaggio culturale, dove il denaro è diventato l’unico generatore simbolico di tutti valori e dove abbiamo sviluppato un pensiero che sa fare solo di conto.

La figura del curatore, (nuova figura egemone nel Sistema internazionale dell’Arte contemporanea), si sovrappone, talvolta, soprattutto in Italia, a quella del critico d’arte. “I curatori e i critici d’arte” rappresentano professioni capaci di poter esercitare quel potere decisionale che spesso è ostentato a più livelli nel sistema dell’arte. Entrambi sono figure importanti ma non indispensabili per una pratica di sostegno e di tutela del lavoro dell’artista. Ci troviamo spesso davanti a scritti che sono meri esercizi di stile, esempi di scrittura creativa (spesso ardua da comprendere). Sulla carta tutto sembra bellissimo e ogni artista bravissimo. Non è possibile in alcun modo che un’opera che in un primo momento sembra non contenere nulla, in seguito a uno studio o una spiegazione critica venga finalmente compresa e quindi apprezzata. Far credere il contrario è quella speculazione che la critica sta operando da decenni. In merito alla mia attività artistica preferisco essere imprenditore di me stesso e di conseguenza amo progettare, allestire, proporre e promuovere le mie mostre personali interfacciandomi anche con gallerie disposte a supportare stabilmente il mio lavoro e a farlo circolare e, infine, a rafforzare la mia immagine presso i collezionisti.

“Di fronte a un’opera d’arte vera non c’è nulla da capire o spiegare, l’opera o impatta sulla parte emotiva oppure non lo fa; se non lo fa significa o che l’opera non ha una sua forza per farlo o che la sensibilità di chi guarda ha un enorme bisogno di essere coltivata e raffinata, cosa che andrebbe assolutamente fatta perché quella sensibilità è uno strumento fondamentale per la vita. L’arte non va capita intellettualmente, lo scopo dell’arte è coinvolgere emotivamente e l’esercizio che va fatto per farsi coinvolgere e quello di frequentarla il più spesso possibile e lasciare che penetri nella nostra parte più profonda e diventi un qualcosa che ci appartiene, e raffinare l’occhio in modo da renderlo sempre più esigente nei confronti della bellezza”.

In conclusione, nonostante abbia espresso un giudizio non favorevole circa la funzione del critico e/o curatore in questo sistema dell’arte contemporanea, devo comunque riconoscere che non intendo generalizzare e che la maggioranza non è così, anzi, mi sento di confermare che incontri “significativi”, con alcuni critici, curatori e storici dell’arte (che continuano a insegnarmi molto), hanno avuto un ruolo importante nella mia crescita artistica e personale.

Da ragazzo ho letto uno scritto di Oscar Wilde nel quale diceva cos’era l’arte secondo lui. Scrisse che l’arte è tale solo quando avviene l’incontro tra l’“oggetto” e la “persona”. Se non c’è quell’incontro, non esiste nemmeno l’arte. Poi alcuni anni fa, in una mostra a Palermo alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Riso, ho ascoltato un’intervista di repertorio al grande Gino de Dominicis che sulle arti visive disse questo: «Le arti visive, la pittura, la scultura, l’architettura, sono linguaggi immobili, muti e materiali. Quindi il rapporto degli altri linguaggi con questo è difficile perché sono linguaggi molto diversi tra loro … L’arte visiva è vivente … l’oggetto d’arte visiva. Per cui paradossalmente non avrebbe bisogno neanche di essere visto. Mentre gli altri linguaggi devono essere visti, o sentiti, o ascoltati per esistere.» (Gino de Dominicis, intervista a Canale 5 del 1994-95). Cosa ne pensi in proposito? L’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice

Oscar Wilde, oppure l’arte esiste indipendentemente dalla persona e dal suo incontro con l’oggetto, come dice de Dominicis per le arti visive? Qual è la tua prospettiva da questo punto di vista e sull’arte in generale?

Con tutto il rispetto per il pensiero espresso dall’artista Gino De Dominicis, l’arte esiste se esiste l’incontro tra l’oggetto e la persona, come dice Oscar Wilde. Il mondo dell’arte nasce insieme all’uomo, e ne abbiamo testimonianze fin dalla preistoria con i dipinti trovati all’interno delle caverne (esempio: le pitture parietali del Paleolitico nella grotta di Altamira o nelle grotte di Lascaux). L’essenza dell’arte e sempre stata l’espressione di una forma estetica che esprimesse bellezza. L’arte quando è autentica, la sua fruizione consente di sviluppare facoltà e qualità interiori che emancipano la persona e la rendono libera. Inoltre, l’arte, dal canto suo, ha la capacità sia di muovere che di suscitare (nel fruitore) sensazioni, ragionamenti, intuizioni, ecc”.

«…anche l’amore era fra le esperienze mistiche e pericolose, perché toglie l’uomo dalle braccia della ragione e lo lascia letteralmente sospeso a mezz’aria sopra un abisso senza fondo.» (Robert Musil, “L’uomo senza qualità”, Volume primo, p. 28, Einaudi ed., 1996, Torino). Cosa pensi di questa frase di Robert Musil? Cos’è per te l’amore e quale incidenza ha, se ce l’ha, nella tua arte?

L’amore è il carburante della vita, la fiamma che ci anima. L’amore è un viaggio alla scoperta di sé stessi e come tutti i viaggi, l’importante non è la meta d’arrivo e neppure i viaggiatori che ci accompagnano. Ciò che conta è il percorso in sé.

Parlando d’amore non posso non fare riferimento al Simposio di Platone che è stato il libro più importante nella storia occidentale in cui si è colta l’essenza dell’amore. Secondo Platone la follia d’amore è la più eccelsa la più divina, assai più bella della saggezza umana. Per amare occorre smarginare, dislocarsi dalla ragione. Dal punto di vista della ragione siamo tutti uguali mentre la follia che ci abita rappresenta la nostra specificità, la modalità che ci individua, ciò per cui io sono diverso da un altro. Infatti, la ragione è soltanto un insieme di regole per intenderci e prevedere i comportamenti mentre la follia che ci abita ci permette di creare, fare opere d’arte, inventare la storia. Quindi, così come nelle cose d’amore, anche nell’atto creativo è necessario dislocarsi dalla ragione ed immergerci nella follia che ci abita.

Amore è mancanza ed ha la stessa natura del desiderio. La mancanza è il tratto costitutivo del desiderio. Noi desideriamo ciò che non abbiamo mentre ciò che abbiamo ce lo godiamo. L’amore dura il tempo della mancanza, del possesso dell’altro; ecco perché in amore vince chi fugge e perché non è affatto vero che bisogna svelarsi completamente all’amante, bisogna preservare una certa segretezza, riservatezza e lasciare sempre accesa nell’altro la fiamma della curiosità senza mai esaurirla.

Infatti, come mette in luce sovente il filosofo Galimberti nei suoi testi filosofici, l’amore si nutre di novità, di mistero e di pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione. C’è una parentela tra l’amore e la bellezza non solo perché si amano le cose belle e perché le cose belle incantano ma perché difronte all’amore e alla bellezza rimaniamo trafitti, posti in uno stato di passività. Difronte alla passione tutto l’apparato egoico non conta niente, l’io infatti è passivo. Non è l’io che possiede amore ma è l’amore che dispone di noi. L’amore prevede uno sconfinamento della razionalità e un’immersione nella propria parte folle. Quindi, per entrare nelle cose d’amore bisogna fuoriuscire dalla parte egoica. Coloro che fanno l’amore sorvegliando sé stessi e l’altro/a non stanno facendo l’amore.

Inoltre, l’amore è la destrutturazione del proprio io, è maieutico, l’amore trasforma quello che io sono, mi disorienta, e quindi mi fa fare un passaggio di trasformazione, se invece l’amore mi lascia tale e quale, amore non è. Quando si esce da una storia d’amore, qualunque sia l’esito di questa storia d’amore l’io non esce più come era prima, non è lo stesso io di quando è entrato; il nostro io ne esce rigenerato poiché contaminato dalla follia e, così facendo, amore apre e rigenera a una nuova visione del mondo. L’amore, quindi, è generativo in quanto genera soggettività nuove. Ecco perché si invecchia quando si smette di amare e di essere amati. L’amore è l’ala che ci aiuta a volare verso l’infinito (Romano Battaglia).

«Cominciai a pensare alle soluzioni nella vita. La gente che risolveva le cose aveva molta tenacia e una buona dose di fortuna. Se tenevi duro a sufficienza di solito arrivava anche un po’ di fortuna. Però la maggior parte delle persone non riusciva ad aspettare la fortuna, quindi rinunciava.» (Charles Bukowski, “Pulp”, Giangiacomo Feltrinelli Ed., Milano, 1995, p. 108). Ti senti di commentare questa frase di Bukowski pensando al tuo lavoro e alla tua passione artistica? Quale ruolo giocano la “tenacia” e la “fortuna” nella vita, nell’avere successo nel lavoro e nelle nostre “passioni”?

La vita è fatta di strane coincidenze e di incontri significativi ma, nell’aver successo nella vita, nel lavoro e nelle nostre “passioni”, occorrono passione, resilienza, capacità di imparare dalle sconfitte, saper buttare il cuore oltre l’ostacolo. Ci ricorda Seneca che “La fortuna non esiste: esiste il momento in cui il talento incontra l’opportunità”.

La motivazione è un’importante risorsa su cui possiamo contare, alimenta la fiducia in noi stessi ed è strettamente connessa con le emozioni. Potremmo definirla come la molla che ci spinge all’azione ad agire e a perseguire i nostri sogni, ma viene meno se mancano tenacia, disciplina, auto-consapevolezza, progettualità. Tuttavia, non è sufficiente sapere cosa vogliamo, bisogna anche saper definire, pianificare e raggiungere i nostri obiettivi correttamente.

«I perdenti, come gli autodidatti, hanno sempre conoscenze più vaste dei vincenti, se vuoi vincere devi sapere una cosa sola e non perdere tempo a saperle tutte, il piacere dell’erudizione è riservato ai perdenti.» (Umberto Eco, “Numero Zero”, Bompiani ed., Milano, 2015). Cosa ne pensi di questa frase del grande maestro Umberto Eco? In generale e nel mondo dell’arte, della cultura, della letteratura contemporanea? Come secondo te va interpretata considerato che oggi le TV, i mass media, i giornali, i social sono popolati da “opinionisti-tuttologi” che si presentato come coloro che sanno “tutto di tutto” ma poi non sanno “niente di niente”, ma vengono subdolamente utilizzati per creare “opinione” nella gente comune e, se vogliamo, nel “popolo” che magari di alcuni argomenti e temi sa poco? Come mai secondo te oggi il mondo contemporaneo occidentale non si affida più a chi le cose le sa veramente, dal punto di vista professionale, accademico, scientifico, conoscitivo ed esperienziale, ma si affida e utilizza esclusivamente personaggi che giustamente Umberto Eco definisce “autodidatti” – e che io chiamo “tuttologi incompetenti” – ma che hanno assunto una posizione di visibilità predominante che certamente influenza perversamente il loro pubblico? Una posizione di predominio culturale all’insegna della tuttologia e per certi versi di una sorta di disonestà intellettuale che da questa prospettiva ha invaso il nostro Paese? Come ne escono l’Arte, La Letteratura e la Cultura da tutto questo secondo te?

“I vincitori non hanno paura di perdere. Ma i perdenti sì. Il fallimento fa parte del cammino verso il successo. Le persone che evitano il fallimento evitano anche il successo” (Robert Toru Kiyosaki).

Oggi il mondo contemporaneo occidentale è attraversato da una forte crisi di valori per cui non sappiamo più cosa è giusto, cosa è bello, cosa è santo ma sappiamo solo cosa è utile e cosa è concreto. E il risultato è che siamo ormai invasi da decine di opinionisti tuttologi che di tutto parlano, ma nulla conoscono. La tuttologia non è sinonimo di cultura. La cultura richiede conoscenza profonda e diretta dei singoli argomenti.

Ai media piace, sembrano preferire gli incompetenti ai competenti. Ciò è favorito quasi certamente dal fatto che siamo diventati orfani del pensiero filosofico, assuefatti e incapaci della pur minima reazione. Non accettiamo quello che c’è, perché se accettiamo quello che c’è, ce lo ricorda ancora Platone, diventeremo gregge, pecore.

E il giorno in cui noi abdichiamo al pensiero abbiamo abdicato a tutto.

Secondo il rapporto OCSE-Pisa 2018, OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) gli studenti italiani si collocano agli ultimi posti in Europa per capacità di leggere e interpretare un testo scritto. In Italia si legge poco, basti pensare che la Gazzetta dello Sport resta il quotidiano più letto d’Italia.

In queste condizioni, in cui si assottiglia il senso critico, non ci si affida più a chi ha competenze in materia, ma si utilizzano esclusivamente personaggi da definire “autodidatti” e/o “tuttologi incompetenti”. La gente più è incolta più applaude. È necessario quindi contrapporre Socrate, filosofo ricercatore, che “sa di non sapere”, ai sofisti sedicenti possessori di una sapienza in realtà vana, pesante, astrusa.

Occorre applicare la pratica della messa in discussione delle opinioni comuni, del sentito dire, al fine di accertare che le opinioni siano fondate, argomentate o, come direbbe Socrate, stiano su da sé (Episteme). La conoscenza vera, è risaputo, è basata sullo studio, la ricerca, l’applicazione, la tecnica e l’aggiornamento continuo.

Come ne escono l’Arte, La Letteratura e la Cultura da tutto questo?

Ebbene, ci sarà meno poesia, meno ideazione, meno immaginazione a causa dell’invasione della figura dell’opinionista tuttologo che rappresenta il “nulla più assoluto”, il “vuoto spinto” .

La tuttologia, purtroppo, sembra essere diventato un virus. Dopotutto, al giorno d’oggi chiunque può diventare un esperto, basta usare Google e Wikipedia: lo scibile umano è alla portata di tutti.

Illuminante è una definizione di Nietzsche: “L’erudito è immerso nel deserto accumulato delle cose apprese che non agiscono all’esterno, dell’erudizione che non diventa vita. Non produce un arricchimento ma uno “svuotamento”.

 Una domanda difficile Mattia: perché i nostri lettori dovrebbero comprare le tue opere? Prova a incuriosirli perché vadano nei portali online o vengano a trovarti nel tuo atelier per comprarne alcune.

“Un quadro è un’opera d’arte quando si percepisce una ulteriorità che lo sguardo non può esaurire”.

Sei difronte al bello quando guardi un’opera e quell’opera è inesauribile perché ti rimanda a ulteriori significati, ad un altrove che ti sfugge, che non riesci mai a catturare. In questa dimensione c’è il bello .

Nelle mie opere tendo ad imprimere quel riflesso, quella “luce di gioia e di armonia” affinché possa risuonare anche nel cuore dell’osservatore come un’onda che trasmette potenti vibrazioni in grado di far vibrare la mente e l’anima. Ritengo che se ci poniamo in risonanza con l’amore, la bellezza, parteciperemo a molto amore e bellezza. Se cerchiamo di essere e rimanere sempre in risonanza con pensieri di amore, gioia di vivere, contentezza, forza interiore ed armonia, la nostra esistenza si trasformerà in maniera miracolosa.

Un artista raggiunge il massimo livello espressivo quando riesce ad abbandonarsi totalmente alle vibrazioni del cuore e la pittura che nasce in questo modo, non si ferma all’occhio dell’osservatore, ma giunge al suo interno.

Con la mia arte non riproduco esattamente la percezione visiva del vero, della realtà esterna, di ciò che vedo, ma ciò che sento. Il mio intento è quello di rappresentare il mondo dell’inconscio attraverso la vivezza coloristica e la forza espressiva del colore che raccontano un’autentica “gioia di vivere”. Provo a comunicare emozioni e l’osservatore che si approccia alla mia arte potrebbe associare i segni, simboli e colori a immagini, idee, eventi ed emozioni richiamate dalla sua memoria. È l’empatia la chiave del meccanismo. L’opera è condivisione di emozioni, miracolo creativo, stupore emotivo, è un racconto che deve colpire entrambi gli emisferi del cervello, il destro, ossia l’emozione, quanto il sinistro, ossia la ragione.

L’uso espressivo e simbolico del colore non è mai descrittivo, ma sempre e solo emozionale. I colori e le linee anziché mezzi per raffigurare gli oggetti diventano strumenti per esprimere emozioni e sensazioni.

La mia poetica si potrebbe riassumere così: sognare coi colori in una rapsodia.

I vari materiali utilizzati si prestano da supporto per proiettare le mie emozioni e accogliere il mio gesto pittorico, astratto, vibrante, al di là della rappresentazione, che prevede l’intero coinvolgimento corporeo, capace di trasformare ogni tela in una narrazione; una descrizione basata, appunto, sul colore e sulla capacità dello stesso di suscitare emozioni interiori in grado di far vibrare la mente e l’anima del fruitore.

Gli autori e i libri che secondo te andrebbero letti assolutamente quali sono? Consiglia ai nostri lettori almeno tre libri e tre autori da leggere nei prossimi mesi dicendoci il motivo della tua scelta.

Consiglierei, innanzitutto, la lettura dei racconti di Andrea Giostra che consentirebbero al lettore di permearsi di tutto ciò che rappresenta la Sicilia in termini di cultura, storia e tradizioni, in cui arte e cultura si intrecciano con meravigliose bellezze naturali ed elementi paesaggistici straordinari.

Inoltre, consiglierei di leggere gli “Incontri con uomini straordinari” di Gurdjieff, filosofo, scrittore, mistico e musicista maestro di danze armeno, di origine greco-armena. Il lavoro di Gurdjieff è incentrato sullo sviluppo interiore dell’uomo. Da questo romanzo autobiografico, nel 1978, il regista Peter Brook ricaverà l’omonimo film che consiglierei ai nostri lettori.

Come terzo libro proporrei quello dello scrittore tedesco Hermann Hesse: “Narciso e Boccadoro”, una emozionante storia d’amicizia e sul valore che essa ha nella vita, in cui l’autore fornisce spunti di riflessione sul tema dell’ostacolo che si frappone fra natura e spirito, fra arte e ascesi, alla ricerca di una loro possibile integrazione tra l’artista geniale e vagabondo Boccadoro e il dotto e ascetico Narciso.

Ti andrebbe di consigliare ai nostri lettori tre film da vedere? E perché secondo te proprio questi?

Consiglierei ai nostri lettori di vedere il film “Alla ricerca della felicita”. Un film che ci insegna a non mollare mai e inseguire i nostri sogni anche quando la vita si fa davvero dura. Ci mostra l’importanza di non perdere la fiducia in noi stessi, nonostante le difficoltà e le umiliazioni.

“Unbroken” è il titolo di un altro film che consiglierei. Il film è tratto da una storia vera e Il protagonista del film, l’atleta olimpionico Louis Zamperini, fa delle sue difficoltà la sua stessa forza, riscattandosi dalle sue delusioni e dolori diventando un campione nella vita e nello sport.

Infine, ai nostri lettori proporrei come terzo film “L’attimo fuggente” Una storia che ci insegna a lottare nella vita per seguire la propria strada, a distinguersi dagli altri e a individuare nella propria unicità un punto di forza e non di debolezza.

In effetti questi film sono accomunati dall’impegno di lanciare un messaggio sul tema della crescita personale.

Ci parli dei tuoi imminenti impegni artistici, dei tuoi lavori e delle tue opere in corso di realizzazione? A cosa stai lavorando in questo momento? In cosa sei impegnato che puoi raccontarci?

Sono sempre impegnato in ambito accademico e di promozione e valorizzazione dell’Arte, non solo nel territorio campano ma anche in ambito internazionale.

Il mio impegno in campo artistico ha come filo conduttore il tema della Bellezza il cui intento è quello di poterla trasmettere attraverso una doppia finalità:

– promuovere riflessioni sul concetto della Bellezza e cercare di trasmettere, mediante le opere pittoriche, un coinvolgimento emotivo che avvicina i fruitori alla Bellezza.

– far riflettere sulla necessità di educarsi alla Bellezza nella Sua essenza e alla Bellezza della educazione ai valori della Carta costituzionale.

I prossimi appuntamenti mi vedranno impegnato nelle varie regioni italiane, insieme ad altri artisti Effettisti, nella presentazione e promozione dell’Effettismo.

Inoltre, sto iniziando a definire un progetto scientifico atto a valutare la fattibilità di realizzare un importante evento in Campania con l’intento sia di allestire la mostra del gruppo degli Effettisti sia di presentare il libro sull’Effettismo, di cui sono co-autore. Questo progetto sarà guidato dall’Associazione I.XII.XVIII, di cui sono socio fondatore. L’Associazione I.XII.XVIII tra i suoi ambiti di interesse è attiva anche nel campo dell’educazione alla Bellezza attraverso percorsi incentrati al rispetto delle basilari regole civiche nonché alle prescrizioni contenute nella nostra Costituzione.

Infine, in previsione di un auspicato immediato futuro post- Covid-19 ho iniziato a pianificare un progetto per un mio sogno nel cassetto: realizzare un’autentica intesa creativa con la moda.

Molto spesso l’arte collabora con la moda e una delle mie prossime sfide è voler realizzare il sogno di vedere la mia arte che si coniuga con la moda, tradotta in capi esclusivi, in accessori d’abbigliamento e osservarla danzare attraverso il fruitore che li indossa.

Se per un momento dovessi pensare alle persone che ti hanno dato una mano, che ti hanno aiutato significativamente nella tua vita artistica e umana, soprattutto nei momenti di difficoltà e di insicurezza che avrai vissuto, che sono state determinanti per le tue scelte professionali e di vita portandoti a prendere quelle decisioni che ti hanno condotto dove sei oggi, a realizzare i tuoi sogni, a chi penseresti? Chi sono queste persone che ti senti di ringraziare pubblicamente in questa intervista, e perché proprio loro?

Impossibile citarli tutti, ma penso ad alcune eccellenza della critica e della storia dell’arte, galleristi , giornalisti che mi hanno accompagnato nel mio percorso artistico, ognuno per le proprie competenze. Parlo di Maurizio Vitiello, Carlo Roberto Sciascia, Francesca Mezzatesta, Giovanni Vinciguerra, Antonio Parrella, Pietro Puzone, Nunzio Bibbò, Francesca Fragale, Antonio Di Lauro, Raffaele Fusco, Mario Pepe, Giuseppe Vitale, Vincenzo Diomaiuta, Vittorio Scotto, Ernesto Zevola, Flavio Camoli, Rita Cherubini. Pietro Magri e, ultimo ma non meno importante, il cittadino newyorkese John Thomas Spike, importante critico di arte contemporanea e storico dell’arte, autore e consulente statunitense, specializzatosi nei periodi del Rinascimento e del Barocco Italiano. È stato direttore della Biennale di Firenze 1999, la più grande mostra d’arte contemporanea al mondo a cui ho partecipato insieme ad altri 520 espositori provenienti da 31 Paesi e allestita presso la storica Fortezza da Basso (Firenze). Perché proprio loro? Perché sono stati dei veri germinatori, ambasciatori e seminatori della Bellezza e perché mi hanno costantemente affiancato, sostenuto e aiutato, portando con me bellissimi ricordi di questa splendida esperienza artistica e umana.

Dove potranno seguirti i nostri lettori?

Per il principio e la bellezza della condivisione utilizzo quotidianamente i “social” e precisamente:

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Per concludere, cosa vuoi dire alle persone che leggeranno questa chiacchierata?

La pandemia da nuovo Coronavirus ha certamente cambiato la vita di tutti, segnando un capitolo drammatico della storia mondiale. Allo stesso modo al fine di contrastare la diffusività del contagio con le misure adottate dal Governo, sono stati temporaneamente chiusi tutti i siti d’interesse artistico e culturale. Anche se ciò è risultato necessario allo stesso modo ha reso il nostro Paese orfano della fruizione della Sua bellezza e di ciò che il mondo dell’arte è capace di regalare. Condiviso le parole che amava dire Dostoevskij: Sicuramente non possiamo vivere senza pane, ma anche esistere senza Bellezza è impossibile”. L’arte e la cultura ci mancano tanto.

L’arte e la cultura sono uno strumento possente per rimanere uniti e superare insieme un momento così arduo come quello odierno, aiutandoci a vincere la diffidenza, la paura dell’altro.

I settori culturali sono stati tra i più colpiti dalla pandemia.

Essi rappresentano uno strumento di stimolo e di crescita per lo sviluppo economico e sociale del paese. Soprattutto in questo periodo così drammatico abbiamo bisogno di Arte e Cultura, strumenti essenziali che giovano molto alla nostra salute mentale e spirituale, danno conforto e cura all’anima, agiscono come un balsamo per la psiche, fanno crescere nel modo migliore i giovani, guariscono il dolore e si oppongono all’incedere della bruttura da cui siamo circondati ogni giorno.

L’arte e la cultura aiutano a sensibilizzare, diffondere e stimolare riflessioni sul concetto della Bellezza con l’intento di stimolare la necessità di educarsi al bello, perché, guardate, il concetto di Bellezza non è disgiunto dal tema dell’Etica, della Morale, della Politica.

C’è una gran voglia di ricominciare, anche se con grandi incertezze e punti interrogativi. I giorni di confinamento fisico ci hanno reso ulteriormente consapevoli che la partecipazione alla vita culturale della società deve essere incoraggiata e difesa, non tacciata come rinunciabile passatempo. Il SARS Covid-19 ha creato grossi problemi nel mondo dell’arte: posticipazioni, cancellazioni, e rimodulazioni di eventi e mostre, offerta digitale dei musei e presenza online delle gallerie. In ciò non posso che condividere la più grande preoccupazione per gli operatori su come riuscire a restare in piedi controvento. Non so dire cosa riserverà il futuro ad artisti, curatori, musei, fondazioni e gallerie. Certamente bisogna investire in cultura e credere nell’arte, reagendo con ottimismo e sensibilità di fronte alla spiazzante condizione con cui la pandemia ha ridisegnato le nostre vite. Posso concludere dicendo che l’arte gioca un ruolo importante nella crescita consapevole delle persone: contribuisce a creare cittadini migliori e più responsabili, più consapevoli di sé stessi come persone e come collettività attraverso la sua fruizione, attraverso l’educazione che la sua frequentazione costante favorisce. Non bisognerà mai smettere di pensare all’arte come patrimonio collettivo, come risorsa e come valore da salvaguardare, da promuovere, diffondere e condividere.

Mattia Fiore

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Andrea Giostra al mercato di Ballarò a Palermo