INTERVISTANDO… MORENO DELSIGNORE | a cura di Ilaria Solazzo
ILARIA – La prematura scomparsa di Raffaella Carrà ha lasciato tutti senza parole… Che ricordi hai di lei e cosa ha rappresentato per te da telespettatore e da italiano?
MORENO – Ero bambino quando la televisione in bianco e nero riempiva le serate di un Italia molto diversa da oggi, e le figure di quei momenti televisivi come di altri radiofonici, perché la radio aveva ancora grande importanza, diventavano volti noti, ricorrenti, quasi gli amici che venivano a trovarti il sabato sera. Fu in quel tempo che il nome di Raffaella cominciò a campeggiare in modo ricorrente, era brillante, simpatica, coraggiosa e audace, in faccia ad una parte di Italia bacchettona e giudicante pronta (come spesso è stata e purtroppo ancora è) a definirla inadeguata, a tratti volgare, per contro il suo successo nazionale e successivamente internazionale prevaleva, il suo volto sorridente, la sua energia, il suo caschetto biondo e naturalmente la sua bellezza spontanea fluivano attraverso la “verità” di un individuo che sapeva essere “sé stessa”, senza finire travolta, senza passare di moda, con la consapevolezza sottile di chi conosce le stagioni della vita e in modo naturale si cala nel momento presente spostando la propria energia. Ed ecco che i passi di danza sfrenata lasciarono spazio all’ironia, e credo che reggere il palcoscenico con Sordi e Benigni senza passare per tappezzeria non fosse affatto facile, c’è che devi essere “molto” e Raffaella era “tutta”. I miei percorsi artistici e la mia passione per la musica hanno sempre veleggiato in altre direzioni, ma è oggettivo il successo internazionale di molti suoi brani, divenuti inamovibili icone di divertimento e leggerezza, tormentoni prima che il tormentone esistesse ma con la prerogativa di non passare mai di moda, di essere noti a più generazioni. Ricordo con stupore il momento nel quale vidi Raffaella nei panni di attrice, nel film Il colonnello Von Ryanaccanto ad un popolarissimo Frank Sinatra, non sapevo dei suoi trascorsi cinematografici e … non c’era il caschetto … quindi quello sguardo molto riconoscibile era meno collocabile. Raffaella ebbe l’intelligenza di pochi: comprendere la miglior direzione del proprio potenziale, qualcosa che determina il successo di una persona indipendentemente dai sogni di partenza, nel suo caso, a seguito del successo ottenuto come showgirl in televisione, la decisione di abbandonare la recitazione e di concentrarsi sulla carriera di presentatrice televisiva, soubrette e cantante. Ebbe il coraggio di sdoganare il gioco della sensualità, mai volgare, fatto di parole di leggerezza, perché infine i Tabù servono soltanto a chi li crea per imprigionare le menti e spegnere la gioia della vita. Non ho conosciuto personalmente Raffaella, e mi dispiace, sicuramente molto avrei potuto apprendere da chi seppe creare una vita di successo senza mai uscire di scena, da chi seppe indossare il sorriso e farne la propria bandiera senza ipocrisia come soltanto le grandi intelligenze sanno fare, ovunque lei sia, qualsivoglia forma il suo essere abbia preso sono certo che nulla vada perduto e che, come accadde per altri illustri personaggi ed amate persone, l’immortalità fosse già qui, nei suoi giorni terreni.
ILARIA – Gli Europei hanno riportato allegria e speranza… sei d’accordo?
MORENO – Siamo reduci da una recente vittoria sportiva, non l’unica certo, ma ci sono sport che godono di maggiore attenzione da parte del grande pubblico. A me il calcio è sempre piaciuto, in genere non è così per molti musicisti, ma per chi ha giocato, per chi è stato bambino in tempi nei quali un pallone rappresentava aggregazione, per chi cercava di andare oltre i propri limiti lo sport è sempre stato un richiamo fortissimo. Ebbi la fortuna di assistere alla vittoria dei mondiali nel 1982 … indimenticabili, a quelli del 2006 ed ora a questo Europeo 2021 travestito da 2020, perché a volte anche le leggi del tempo devono essere sovvertite fosse anche soltanto per reggere l’urto delle grandi difficoltà che il mondo sta attraversando. Così domenica 11 luglio, ricorrenza di altre importanti vittorie calcistiche, ho assistito alla finale del campionato europeo, spinto da ammirazione per il percorso portato avanti dal CT. Mancini (e dal suo staff) che in meno di 3 anni seppe raccogliere le macerie di una nazionale calcistica reduce dal fallimento delle qualificazioni mondiali del 2018 …a me piacciono molto quelli che pur cadendo dolorosamente poi si rialzano, ricordo una bellissima frase: Quando le voci in te parlano di fine, quando la mente dice che hai perduto quando credi che sia impossibile, eppure prosegui, ti sollevi sulla tua Spada e fai ancora un altro passo, Lì è dove termina l’Uomo Lì è dove comincia Dio… Intendo dire comincia a manifestarsi la parte divina o se preferite eccezionale di ognuno di noi, lì comincia la “determinazione” ovvero la “Definitiva presa di posizione della volontà, la decisione”. Intanto credo che soltanto chi ha giocato con qualità sia in grado di capire che da quella si debba partire, perché la sostanza, la forza fisica, l’ordine, l’organizzazione sono aspetti fondamentali ma non sufficienti, ed ecco che la creazione di un gruppo selezionato, dopo aver offerto possibilità di mostrarsi a tutti i migliori giocatori italiani, è il frutto di scelte attente e consapevoli, fatte da un team tecnico affiatato in 30 anni di vita, perché quelli … giocavano insieme, insieme hanno vinto e perso, sono amici … ed ora hanno soltanto cambiato ruolo nel gioco, sono ancora quei ragazzi e giovani uomini, con lo stesso entusiasmo ed una grande esperienza, capaci di infondere alla squadra le giuste motivazioni attraverso il più chiaro degli insegnamenti: “l’esempio”. Quindi ho visto un gruppo di persone compiere qualcosa di straordinario, perché se da 53 anni non accadeva di vincere un campionato europeo significa che non è mai stato facile. Il gruppo prima delle individualità, e, cosa fondamentale, “mettersi a servizio” ovvero la forma più alta di espressione della persona, ed è peculiare il fatto che questa nazionale ha vinto contro formazioni sulla carta molto più attrezzate in termini di singoli talenti, e mi piacerebbe davvero tanto che questo stesso modo di intendere una causa fosse valido per tutte le cause, quindi per il rispetto della vita, per la conduzione politica ed economica di un paese, e molto altro… Occorre dire che gli interessi possono fare la differenza, certo, ma è anche vero che la selezione di chi “governa” una nazionale di calcio è basata su criteri forti e non tutti possono avere accesso a quei ruoli, forse la differenza sta lì, nella vita ci si può sempre reinventare ma improvvisarsi può essere dannoso.
ILARIA – Se ti dico: “Il viaggio/il senso della vita”, cosa ti fa venire alla mente?
MORENO – Se penso alla parola “Viaggio” raramente la collego ad una meta, ad un luogo, bensì immediatamente penso al viaggio più importante, la nostra vita. Un pensiero espresso meravigliosamente nelle parole di Herman Hesse che attraverso “Siddhartha” ci aiuta a comprendere come il senso del nostro viaggio qui sia… il viaggio stesso. Le nostre esperienze, la gioia, la speranza, il dolore, i sogni e le aspettative, la caduta delle illusioni ed il sopravvenire della consapevolezza, il nostro dibattersi come pesci nella rete, il bisogno di infrangere regole che costringono la vita pur essendo utili ad un ordine sociale, il nostro bisogno di amare ed essere amati, le nostre emozioni e l’incapacità di viverle per ciò che sono, la pace interiore apparentemente irraggiungibile; eppure, così semplice quando accade la “resa” al flusso naturale della vita. Mi emoziona questo viaggio, mi sorprende, specie ora che mi sono dato il permesso di sorprendermi scegliendo di non credere alla paura, perché sull’altro lato della moneta c’è esattamente quello che stiamo cercando, c’è l’amore per noi stessi, chiave fondamentale per avere accesso a qualsiasi altra forma di amore. Il viaggio mi ha insegnato tanto, ma soprattutto questo: se non ami ciò che sei, pur cercando in ogni istante di diventare la migliore versione possibile di te stesso, sarà sempre l’ansia a governare i tuoi giorni, perché una parte di me sente con profonda chiarezza che è lo scopo stesso del mio viaggio.
ILARIA – A tuo avviso avevano ragione gli antichi nel dire “L’abito fa il monaco?”
MORENO – Credo che il punto fondamentale sia legato al ruolo del giudizio nelle nostre vite, se avverto il giudizio degli altri è molto probabile e quasi certo, che io stesso sia incline a giudicarne l’operato, e non ci sarebbe di che stupirsi in una società poggiata da sempre su dogmi e convenzioni, stabilite in buona parte per “controllare” e condurre ad un autocontrollo, per generare di fatto limiti ed omologazione, ben sapendo che la forza dell’unicità e di una piena conseguente espressione condurrebbero alla libertà. Un soggetto libero ha maggiori possibilità di esprimersi, basti pensare ai molti artisti di riferimento che negli anni sfidarono la censura, la morale distorta, il sistema, riuscendo in taluni casi a “cambiare” il corso della propria vita e stimolando una “ribellione” collettiva di pensiero e di azione. Ma il vero limite, spesso ritenuto esterno a noi stessi, invece sta li, profondamente radicato nelle nostre convinzioni, nell’idea distorta di poter giudicare ciò che non conosciamo davvero, se non nella misura da noi esperita, così facendo poniamo in essere barriere, reattività comportamentali, limitiamo la nostra disponibilità all’ascolto ed all’apprendimento e di fatto ci troviamo nella piena dualità, come nemici di noi stessi su due fronti, da un lato desiderosi di vita ed espressione dall’altro censori e carcerieri di noi stessi e degli altri. La percezione del giudizio spesso ci sfugge, proprio perché divenuta abituale nei nostri giorni, tanto più da quando l’apparente libera esposizione del proprio pensiero, attraverso i ben noti canali, offre uno spazio critico non sostenuto da competenze, oppure determinato da visioni personali spesso basate sul “sentito dire” e prive di attendibilità. Quindi mi faccio delle domande: quindi come possiamo liberarci del giudizio? ; come possiamo sentirci adeguati? Come possiamo dare a noi stessi il permesso di essere ciò che siamo? Come possiamo sentirci bene?
Mi viene in mente un edificio, vecchio, austero, rigido e decadente al contempo, che pare guardarsi intorno sprezzante nei confronti di nuove costruzioni decisamente più moderne, funzionali, belle, armonizzate con l’ambiente circostante. Verrà naturalmente il giorno nel quale gli edifici nuovi saranno in sovrannumero, e pochi edifici vecchi potranno essere conservati come “musei”, come opere di un tempo che fu, come ricordi … l’avanzamento del nuovo imporrà l’abbattimento delle vecchie strutture, per aprirsi a nuove possibilità, sta di fatto che nemmeno una singola parete per quanto decorata potrà rimanere in piedi a dispetto del cambiamento … cadrà, verrà lasciata andare, verrà trasformata in macerie e successivamente ricomposta in nuovi materiali utili e funzionali. Sta a noi decidere cosa vogliamo essere, quali possibilità offrire a noi stessi, sta a noi abbandonare le scuse e le giustificazioni vittimistiche, sta a noi l’assunzione di piena responsabilità che ci renda capaci di trasformarci all’occorrenza in tutto ciò che potrà essere necessario anziché guardare ciò che fanno gli altri e puntare il dito, sta a noi comprendere che nessuna informazione o nozione esterna potrà fecondare un terreno non predisposto e reso impermeabile dal giudizio, sta a noi osare, provare, cadere e rialzarci, ridere di noi stessi e rilanciare sempre, sta a noi giocare con le mille sfaccettature del nostro ego, non necessariamente ipertrofico ed al contempo essenziale per definire la nostra struttura identitaria, ricordandoci della meraviglia che un sorriso di bambino ancora privo di condizionamenti è in grado di esprimere e infondere intorno a sé. Sta a noi ricordarci di essere ancora quel bambino.
Moreno Delsignore