Bruno J. Poggi, la chiave del giallo è il passato (che non muore mai) | di Isabella Lopardi

da | 13 Marzo 2025 | Libri

Nel tuo libro si intrecciano attualità e parte scenica. Lucrezio affermava che i “roscida mella”, dolci mieli rugiadosi della poesia permetterebbero di ingerire la filosofia, con la sua complessità. Qui, in realtà, si tratta di prosa e cronaca del passato, rispettivamente. Ogni storia è il veicolo per un messaggio. Il messaggio in questo caso dà una chiave di lettura per il caso Moro? Qual è la priorità, l’attualità o il giallo?

Il caso Moro è un pretesto

“Il caso Moro è un pretesto. In realtà si tratta di un libro sulla memoria. Alla fine del libro il protagonista dice esplicitamente che Il passato non muore mai. Ci sono due storie che si intrecciano, legate al passato, che non svelerò per lasciare il gusto per la lettura. Per quanto riguarda il caso Moro mi avvalgo di contributi di una commissione parlamentare, con i relativi riscontri. Il caso Moro è l’emblema di un problema che ha l’Italia, la mancanza di una memoria condivisa. Non si fanno mai fino in fondo i conti con il proprio passato. Il 25 aprile, per esempio, è una festa divisiva, mentre il 14 luglio per i francesi, il 4 luglio per gli americani, sono feste che uniscono. In Italia si preferisce rimuovere, piuttosto che fare i conti con quello che è accaduto. Rimuovere o utilizzare i fatti per scopi propagandistici: sia a destra, sia a sinistra. Il caso Moro è emblematico da questo punto di vista. Lo Stato italiano sembrava credere a un memoriale, che è quello di Morucci, il quale era presente a via Fani, ma non aveva seguito le fasi del sequestro e dell’uccisione di Moro. Ora il memoriale è totalmente inattendibile, come ha stabilito la commissione parlamentare.  Dopo il processo è stato comminato un numero di anni irrisorio rispetto a quello che era accaduto e i responsabili sono tutti fuori. La storia che hanno raccontato, assolutamente, non sta in piedi. Però, anche quando la commissione parlamentare ha fatto questa ricerca, la politica ha fatto finta di niente. Bisogna capire che il passato ritorna, prima o poi bisogna fare i conti con esso. Il conto ci viene presentato comunque, che ci piaccia o meno. C’è chi commette l’errore di rileggere i fatti storici pro domo sua. Non si vogliono fare i conti con il passato”.

La storia propone forse una serie di letture pseudo-paranoiche che diventano letture di parte? 

“Moro è stato ucciso perché la sua politica non faceva comodo soprattutto agli americani, ma anche ai sovietici, nel clima proprio della Guerra Fredda. In quel quadro politico internazionale non si poteva andare oltre una certa, limitata sovranità e settori dello Stato hanno inciso su questo clima. Non si può fare finta di niente, bisogna fare i conti con tutto ciò”.

Senza la memoria del passato verrà meno l’insegnamento dato ai posteri. E tornando, appunto, all’euritmia del racconto…

“Tornando all’euritmia del racconto, nella narrazione questo fatto storico costituisce una sorta di specchietto per le allodole. Il caso è stato scelto perché è emblematico del passato che non muore mai. Il mistero da risolvere si basa su questo”.

Perché la vittima è un eroe in nero

Ciò ci porta al fascino dell’eroe in nero. La vittima non ha il ruolo del buon trapassato, si tratta addirittura di un uomo pericoloso. Perché?

“Datemi un soggetto completamente in luce ed io dirò che non è adatto a un romanzo giallo, che presuppone qualcosa di nascosto, da scoprire. Il romanzo giallo si nutre di segreti. La persona buona di segreti non ne ha, quindi non è una buona vittima, a meno che non si scopra che nascondesse qualcosa. Senza il retroscena il romanzo giallo non sta in piedi. Il romanzo giallo è un gioco di prestigio, nel quale l’autore tende a depistare i lettori. Se uno capisce subito chi è l’assassino, il romanzo non funziona. Il prestigiatore manipola le carte, in realtà sta muovendo l’altra mano, che nessuno guarda”.

Wim Wenders, Così lontano, così vicino: “Talvolta entusiasmarsi anche per il male…”

“Come stavo dicendo, io depisto, ma per depistare ci dev’essere un retroscena che non è noto. Gabriel Garcia Marquez diceva che un uomo ha diritto a una vita pubblica, una vita privata e una vita segreta. E’ la vita segreta a rendere la narrazione interessante, altrimenti il testo risulta piatto. Nel romanzo tutte le vittime, alla fine, nascondevano qualcosa. Altrimenti non c’è motivo di uccidere una persona. Si uccide per impedire di rivelare qualcosa, o magari per interesse (e gli interessi economici non sono quasi mai palesi). In una storia c’è sempre qualcosa di sconosciuto, di non detto o che viene fuori all’ultimo momento. Il romanzo, a differenza del saggio, è divertente anche per chi lo scrive. Ho la pretesa di fare letteratura gialla, ma in maniera colta. L’intento è divulgare la cultura ebraica. Cerco anche riferimenti colti in senso lato, imparare divertendosi è molto desiderabile. Nei romanzi ciascuno mette quello che è, non direttamente, ma attraverso il filtro di quello che ha vissuto”.

Come è nato Raffaele Luzzati, l’investigatore ebreo con il maggiordomo

“Per esempio il personaggio di Raffaele Luzzati, il protagonista, è ispirato alla figura del personaggio di Philo Vance, interpretato negli sceneggiati da Giorgio Albertazzi (Rai 1974). L’autore dei romanzi è S. S. Van Dine, giallista americano. Luzzati se vogliamo è un mix tra il mio retaggio ebraico e questo ordine di idee. Non è una novità che i libri parlino di altri libri, come diceva anche Omero. Puoi trovare nei miei romanzi elementi da Il nome della Rosa di Umberto Eco, che è stato un mio professore, o da Danny l’eletto di Chaim Potok. Le idee frullano in testa per anni: il pensiero dell’investigatore ebreo mi è balenato la prima volta vent’anni fa. Altra cosa è un romanzo autobiografico, che dev’essere dichiaratamente tale. Se dovessi scrivere la storia della mia famiglia, sceglierei sempre l’editore Efesto”.

Un romanzo topografico

Il passato non muore mai è un romanzo che rispetta la topografia dei luoghi?

“Prima di scrivere io vado a visitare i luoghi: il funerale della prima vittima si svolge in una basilica molto bella, che si trova all’Aventino a Roma, Santa Sabina, della cui esistenza ero informato: sono andato a vederla per la prima volta e ho trovato un coro ligneo, che al centro sostituisce l’altare. Non avrei mai potuto scriverlo, senza vederlo. La seconda moglie di Plankensteiner abita in una borgata, il Quarticciolo, che io conoscevo soltanto di nome, per aver visto il film Nessuno mi può giudicare con Paola Cortellesi e Raul Bova. Una mattina sono stato per tre ore nel quartiere, per assaporarne l’atmosfera. Il romanzo è un fatto cosmologico: prima costruisci un mondo, che è la precondizione per poter scrivere un romanzo (e lo diceva anche Umberto Eco). In poesia la costruzione è data dal verso, dalla rima, da quello che chiamano “il respiro dell’orecchio”.  Nel romanzo la costruzione è data dal mondo sottostante. Un personaggio può presupporre una svolta nella trama: è per questo che bisogna aggiungerlo. Nell’universo interagiscono dei personaggi, che in qualche modo ti condizionano. Per esempio il personaggio di Giò Proietti, investigatore romano di Trastevere, il cui cognome è un omaggio al grande Gigi, non era previsto nella trama iniziale: lo ho dovuto creare ex novo, perché per come avevo sviluppato la trama il finale non sarebbe stato ben orchestrato, se non lo avessi inserito. Le premesse che io stesso avevo creato su questo mondo sottostante mi portavano a fare questo. Se non ci fosse stato Proietti non ci sarebbero state le foto… Non vi dico altro”.

Che cos’è un romanzo?

“Il romanzo è una macchina per generare interpretazioni, il lettore può trovarvi qualcosa che l’autore non si aspetta. Tzvetan Todorov, spontaneista, afferma che l’autore prepara i panini, i lettori organizzano il picnic.

Se il romanzo è buono, ognuno trova in esso un po’ di sé. Altro indizio è quando ti dicono: ‘Non riuscivo a smettere di leggere’. In casi simili, libro ti ha catturato”.

Il romanzo sta funzionando?

“Penso di sì. La prima edizione è già esaurita dopo tre mesi, siamo già alla seconda”.

Il passato non muore mai di Bruno Poggi

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