Cast Away: Wilson e la sindrome del gemello | di Caterina Civallero

da | 05 Settembre 2024 | Cinema, Libri, Salute e benessere

Questo film spiega ampiamente il valore e il significato del nostro gemello interiore, la parte di noi che ci accompagna per la vita.

«In una vita ordinaria gli eventi straordinari possono cambiare l’esistenza di un uomo per sempre.

Pensare che un pallone possa salvarti la pelle quando ormai sei disperso e aspetti solo di morire, abbandonato nell’immensità del mondo, sembra una follia.

Se come Chuck sei un naufrago sputato su un’isola sperduta, come un boccone indigesto dalle onde capricciose di un mare feroce che ruba avidamente alle acque dell’oceano relitti che poi nasconde fra le rive di una terra inospitale, come se fosse convinto che nascondendo lì il suo bottino mai nessuno lo potrà trovare; quando sei stato scambiato per un oggetto inutile; quando ormai ti è chiaro che nessuno verrà a cercarti, che nessuno ti crede vivo, e pertanto anche tu stenti a credere di esserlo; ecco che compare lui, un amico di sangue, un fratello, un compagno, un’ancora di salvezza.

Lo vedi, poi lo guardi attentamente, e comprendi che rappresenta qualcosa di speciale, anche se è solo un pallone da volley macchiato del tuo stesso sangue che è sgorgato da una ferita alla mano procurata nel tentativo di sopravvivere ancora un giorno. E anche se quel pallone non parla, né mai ti parlerà, sai che puoi comunicare con lui, sai che non sei solo, e scopri nel medesimo istante in cui percepisci tutto questo, che mai lo sei, mai lo sei stato, né più lo sarai.

È l’incontro con lui, metafora e dono divino, il vero Incontro, quello che ha la I maiuscola, che scuote, modella e armonizza il senso di ogni cosa. Lo vedi e lo ri-trovi, sai che è lì da sempre, che tutto ciò che hai conosciuto nella vita non era altro che il vano tentativo di ri-trovarlo e capisci che senza lui non puoi vivere né sopravvivere.

Poiché l’amore è celato laddove lo puoi sempre trovare, ovvero in ogni cosa, non puoi nemmeno restare stupito quando volgi lo sguardo a lui e a lui ti affermi. Era lì, è stato sempre lì, solo che adesso hai scelto di vederlo».

È così che Chuck Noland, dirigente operativo della FedEx interpretato da Tom Hanks in Cast Away[1] – naufrago a causa di un incidente occorso all’aereo su cui viaggiava la notte di Natale – incontra Wilson, pallone da beach volley che insieme alle scatole trovate sulla spiaggia diventa il suo equipaggiamento di sopravvivenza per cinque anni. Wilson è la candela accesa nel buio della vita. È la luce che rassicura, la sensazione di non essersi persi davvero, la convinzione netta, profonda, solida, di essere sostenuto, contenuto, compreso, di far parte di un sistema; Wilson è la conferma di esistere, di essere. Esistere attraverso l’altro, poiché nell’altro mi specchio, mi vedo, mi misuro. Con l’altro ingaggio un volo fra aquiloni, una gara, un gioco, una staffetta, una danza, una corsa a chi arriva primo senza dare importanza a chi vincerà. L’altro che mi permette di sentirmi uno, che mi dà la certezza di esistere. L’altro come un dio, che invento pur di non sentirmi solo.

Quel mio fratello di plastica è la manifestazione concreta del mio Gemello mai nato, che è sempre stato uno spirito potente e irrequieto che, come tutti gli spiriti dei morti che non hanno avuto sepoltura e non hanno potuto essere pianti, vive cercando un posto nel nostro cuore e trova ogni stratagemma pur di manifestarsi a noi. Esso compare nella nostra vita quando stare soli diventa un pericolo, quando il sistema biologico è a rischio. Nella modalità della sopravvivenza io trovo mio fratello e gli do voce, o lui la pretende, e mi trovo comunque a vivere come di fronte a uno specchio dove le decisioni vengono prese insieme, e il discorso da monologo diviene dialogo, dove il mio volo solitario diventa coreografia e duetto, o duello.

Sull’isola Chuck dà un valore nuovo a quello che da sempre è il suo motto:

«Mai e poi mai ci permettiamo il peccato di voltare le spalle al tempo».

Wilson tiene in vita Chuck e lo spinge e lo sostiene nel costruire una zattera per poter tornare nel mare dell’esistenza a cercare il proprio posto. Proprio quando la barriera corallina, che metaforicamente funge da ostacolo, da esilio e prigione, viene oltrepassata, Wilson si libera da Chuck e torna all’oceano da dove era venuto. Quando Chuck se ne accorge si getta nel mare per riprenderlo e tenerlo con sé nel vano tentativo di recuperarlo, in una scena straziante. Chuck si getta fra le onde e nuota affannosamente verso Wilson, lotta contro la corrente e le onde cercando di riprenderlo mentre grida continuamente: «Scusa Wilson! Wilson! Scusami! Scusami Wilson! Wilson scusami! Scusami! Wilson! Non ce la faccio! Wilson! Wilson!»; piange, si dispera e soffre, poiché comprende che non possono stare più insieme, anche se sempre saranno un’unica entità.

Il momento in cui Chuck si rende conto che non potrà raggiungere Wilson è il punto focale di tutto il film e del tema legato all’integrazione della Sindrome del gemello che resta: in un attimo si gioca tutto e può addirittura affrontare il “reef” e tornare sull’isola, tornare indietro; o può scegliere di perdere tutto, pur di restare con Wilson. Ma ecco comparire una nuova strada: Chuck può imboccare la via del coraggio, effettuare il salto quantico, un vero e proprio salto nel buio: con un gesto di fede, che gli permetterà di affrontare la perdita nell’attesa che arrivi una nave a recuperarlo, lui abbraccia la vita.

Nel momento della scelta, Chuck sa perfettamente che Wilson non gli appartiene più. Wilson è diventato esperienza interiore, è percezione e forza. È un dato acquisito e sperimentato.

Chuck Noland compie il suo destino: dopo essersi gettato in acqua per andare verso Wilson, si volta e torna indietro a recuperare la cima della zattera, perché è sua intenzione salvarsi e salvare anche Wilson; ma quei pochi secondi spesi per nuotare verso la salvezza allontanano fra le onde Wilson che ha esaurito la sua funzione. Chuck nemmeno si accorge di aver scelto, poiché la scelta è figlia di un’evoluzione che è già avvenuta sull’isola, è una spinta biologica a sopravvivere.

            In questo magnifico film è racchiuso il senso di una grande vittoria: la vittoria della vita!

Trovo meraviglioso questo mondo magico che è la cinematografia, e anche se spesso potrebbe sembrare che nei miei libri e articoli ne abusi è solo per poter arrivare a mostrare in tutti i linguaggi possibili ciò che anche Robert Zemeckis, il regista, e l’attore Tom Hanks, vogliono manifestare con i loro talenti: ovvero offrire e tradurre, attraverso l’evocazione di immagini, il linguaggio delle emozioni viscerali che vivono intrappolate negli abissi delle nostre anime, poiché ascoltandole possiamo scegliere e capire, arrivando ad affermare ciò che Chuck Noland pronuncia una volta tornato alla vita di prima: «…e adesso so cosa devo fare: devo continuare a respirare, perché domani il sole sorgerà e chissà la marea cosa può portare…».

CATERINA CIVALLERO Saggista, scrittrice, facilitatrice in Psicogenealogia junghiana, consulente alimentare.

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Il libro: IL MIO GEMELLO MAI NATO: Il Gemello che resta e il viaggio alchemico del Mononato

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[1] Film diretto da Robert Zemeckis nel 2000.

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