Enrico Brion e la sua musica: la scala capovolta | di Fabia Tonazzi

da | 12 Novembre 2024 | Interviste, Libri, Musica

Enrico Brion inizia negli anni 90′ la formazione jazzistica con Paolo Birro e Marcello Tonolo. Nel 2000 vince una borsa di studio per i seminari del Berklee College of Music a Perugia- Umbria Jazz Clinics.

Al Conservatorio Tartini di Trieste, fra il 2003 e il 2006, approfondisce lo studio del jazz con Glauco Venier e soprattutto di composizione contemporanea con Fabio Nieder. Frequenta seminari di alta specializzazione con: Kenny Wheeler, Roswell Rudd, Franco D’Andrea, Maurizio Giammarco, Anke Helfrich, John Taylor, Stefano Battaglia, Alberto Mandarini. Al Conservatorio Venezze di Rovigo, fra il 2021 e 2022, approfondisce la scrittura per orchestra jazz con Massimo Morganti, con il quale prosegue lo studio anche successivamente. Attivo fin dagli anni 90 come pianista e compositore. Come arrangiatore collabora con lo Zvuk Rec Studio (Noale – VE).

È ideatore e organizzatore di Myfavoritìngs, festival di musica originale che, dal 2008 al 2014, ha visto svolgersi nella provincia di Venezia 5 edizioni con la partecipazione di un centinaio di artisti. Nel 2023 scrive la musica per il lungometraggio E oggi come va? della regista francese Nadine Birghoffer con la sceneggiatura della stessa e dell’attore e regista Adriano Iurissevich. Dal 2000 svolge intensa attività didattica in diverse scuole di musica della provincia di Venezia, Treviso e Padova. Incide a proprio nome i dischi “Elisewin” (2003), “Quadrivio” (Zone di Musica, 2012), oltre il già citato “La scala capovolta”.

Enrico Brion e i suoi 30 anni di musica: le esperienze più belle e le più significative.

Ricordo la prima volta che mi sentii ‘pronto’ mentre improvvisavo su The days of wine and roses e mi riusciva bene. Poi, ricordo l’incontro con il free, grazie a Marcello Allulli. Un’esperienza forte anche dal punto di vista psicologico perché ti costringe ad accettare tutto quello che suoni, anche gli ‘errori’. Davvero, è una pratica che ti porta a conoscere i tuoi limiti, tecnici e creativi, e trasformarli in ricchezza. Collegata al free ci fu l’ esperienza della conduction, che sperimentai con l’Orchestra Componibile grazie anche al mio amico trombonista Tony Costantini. Poi devo molto a Fabio Nieder, mio maestro di composizione a Trieste. Con lui scoprii la musica del 900 e la cosiddetta ‘contemporanea’.

Infine l’incontro con Massimo Morganti che ha significato per me un ritorno, non proprio al jazz (lui è fra i migliori trombonisti jazz in Italia, oltre a essere un grande arrangiatore), ma sicuramente alla musica tematica. Credo che se non l’avessi incontrato non avrei inciso La scala capovolta. 

Ci sono artisti con i quali hai lavorato e vorresti continuare a lavorare?

Sì, certo. Ho bei ricordi per ogni esperienza. Però da qualche anno mi sono allontanato da quello che era il mio ambiente. Non faccio quasi più live, e se li faccio non sono più concerti di jazz, come un tempo. Però lavoro in studio e spesso ho bisogno dei jazzisti. Nell’ultimo album mi sono avvalso sia di musicisti classici che di improvvisatori. Alcuni li ho conosciuti per l’occasione e ora continuo a collaborarci. C’è poi Franca Pullia, cantante che ho ospitato nel mio disco e con la quale ho un progetto di canzoni (ho anche un progetto di vita, ma questa è storia privata). Sicuramente si è consolidato il rapporto con due amici, ottimi musicisti e tecnici del suono, con i quali ho diverse occasioni di lavoro nel loro studio di registrazione: Davide Michieletto e Stefano Gajon. Con loro ogni suono diventa magia. Perciò, spero in un futuro di incantesimi. 

Ti piacerebbe che i tuoi lavori venissero presentati in tv al grande pubblico o credi che la musica o il tipo di musica che realizzi, sia per pochi?

Mi piacerebbe, sì! Credo che tutta la musica sia per tutti. Un tempo era così, la musica a teatro era per i ricchi e per il popolo. E, d’altro canto, la musica popolare era un patrimonio ricchissimo e, oltre a svolgere una funzione sociale, costituiva un tesoro da cui attingevano i compositori. Poi hanno inventato il ‘prodotto di consumo’ e segnato una linea con la musica ‘impegnata’, per venderlo. Certo, esiste una musica che costringe a un ascolto attivo, ma che quest’ultima sia per pochi è un’idea indotta, così come l’idea che l’intrattenimento debba essere leggero, dove leggero sta per superficiale. C’è un grande equivoco sul significato di Cultura (e di Intrattenimento).

Enrico Brion e la musica: lavoro a tempo pieno o pura passione? Cosa diresti a quanti affermano che non si vive solo di sogni e che i sogni son “desideri di felicità”? (per rimanere in tema con la musica).

Pura passione a tempo pieno. I sogni ti fanno agire. A volte, agendo, non si realizza il sogno che avevi sognato, ma si realizza qualcos’altro che non avevi pensato di sognare. Comunque, grazie a quel sogno, costruisci qualcosa. Che poi quello che realizzi ti porti o meno alla felicità è un altro argomento ancora. Ovvio che uno sogna cose che pensa lo renderanno felice. Ma ciò che costruisci non dà soltanto la felicità, definisce chi sei, ti edifica. I piccoli importanti momenti di felicità, anch’essi partecipano a renderti più forte, ma sono solo una parte del processo, nel quale grande importanza hanno anche le frustrazioni, necessarie alla crescita. Questa cosa ha a che fare con l’identità e l’equilibrio. La società odierna continuamente ci dice che bisogna avere successo per valere ed essere felici. Il grande equivoco è cosa sia questo successo. Io ho realizzato un sogno pubblicando La scala capovolta. Lo ritengo un grande successo, ma per il mondo non è così, perché non mi sono arricchito né sono diventato famoso. Per il mondo, probabilmente, sono solo un altro matto.

E se domani mattina ti svegliassi e dovessi scoprire di non essere un musicista, quale lavoro sceglieresti?

Lo scrittore! “Ma un lavoro normale, mai?!”

Credi che si faccia abbastanza nella nostra società per avvicinare i ragazzi alla musica classica e jazz?

È risaputo che nel nostro paese la cultura non è la priorità di nessun governo. Perciò sì, si potrebbe far di più. Però occasioni d’incontro con i giovani ce ne sono sia nel pubblico che nel privato. L’offerta delle scuole è aumentata rispetto a quando ero giovane io. Jazz e pop sono entrati nei conservatori. Internet ha moltiplicato esponenzialmente le possibilità di accesso alle informazioni e al sapere (anche se può essere una giungla). Però non sono così informato in materia di divulgazione da poter dire di più.

Credi che chi nasce in provincia in Italia, abbia le stesse opportunità di crescita professionale e artistica in campo musicale di un ragazzo nato a Perugia, Milano, Parma…? Quale è il tuo punto di vista in merito al “sono nato al nord piuttosto che al sud o al centro” in Italia?

Indubbiamente nelle grandi città accadono più cose e ci sono più opportunità di fare musica e incontri. Ma non necessariamente al Nord. Penso che Roma sia un polo importante, per esempio. A essere penalizzato immagino sia, come sempre, il Sud. Però tutto questo lo baso più su un’impressione che su una conoscenza diretta. Io vivo nel nord est, vengo da un paesino di campagna in provincia di Venezia. E vengo da un tempo in cui internet non esisteva. Un po’ per queste ragioni e un po’ per il mio carattere, non sono mai stato in mezzo alla mischia. E, in realtà, non me ne pento. Faccio quello che mi piace e sto bene. Se arrivano più opportunità professionali, non le disdegno, ma non ho l’ansia di essere al centro del mondo. 

La copertina del disco: scelta casuale o pensata? Quanto conta per te l’arte come forma di espressione?

No, non è casuale. Ho usato l’immagine di ‘Luna crescente’, incisione di un’amica e grande artista, Debora Antonello. Raffigura una grossa luna gialla quasi piena, e più sotto una figura scura a forma di mezza luna, forse un alter ego, il lato ombroso, nascosto, della luna stessa. A me, dal primo momento, è parsa una barchetta, e ho pensato a La Distanza della Luna, il primo racconto de Le Cosmicomiche, a cui mi sono ispirato per questo album.  La luna, oggetto del desiderio – e desiderio stesso -, risplende; la barca, condizione terrena, è opaca. Mi è sembrata un’immagine perfetta, oltre che molto bella, e Debora me l’ha concessa volentieri.

Esprimersi attraverso l’arte per me significa alludere a mondi immaginifici, ma in modo non univoco. Un’opera riuscita non esprime solo il sentire dell’artista, ma è una chiave che ciascuno può usare per aprire la propria immaginazione e scoprire se stesso. In questo senso l’opera è un dono che l’artista fa agli altri.

Che intendi dire quando affermi che “In questo disco credo di aver operato, senza nessuna premeditazione, una sintesi fra tre momenti importanti della mia esperienza musicale: la musica classica, il jazz e, in misura più contenuta, l’improvvisazione libera”?

Come tutti gli artisti, ho attraversato fasi diverse, in ciascuna delle quali mi sono focalizzato su una particolare ricerca. All’inizio ero concentrato sul jazz. Nel 2003 ho inciso un disco di jazz europeo. Poi, a seguito di miei studi di composizione con il M° Fabio Nieder, ho iniziato a concepire la musica in modo diverso. Ho scritto molti pezzi collocabili nell’ambito della musica cosiddetta “contemporanea”. Il disco Quadrivio del 2013 rappresenta un ritorno al jazz, ma risente molto di questo metodo razionale. Nel frattempo, con l’Orchestra Componibile ho sperimentato sia la scrittura orchestrale che la conduction, cioè quella pratica d’improvvisazione collettiva guidata da un direttore. Ho inciso due dischi con questa ensemble. Mi sono addentrato anche nell’improvvisazione radicale.

Ma quando ho iniziato a scrivere questo album, non mi sono posto obiettivi di genere. La musica è fluita naturalmente come una cosa nuova (per me) in cui traspaiono tutte queste esperienze.

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