È tempo di bilanci dei bilanci. Categorie storiche, mutamenti antropologici, salti epocali di percezione della realtà hanno ormai configurato la cronaca della seconda metà del XX secolo come un lungo frangente al tempo stesso familiare e anacronistico, verso cui le giovani generazioni paiono piuttosto indifferenti e quelle più mature si approcciano con modalità talvolta appassionate (addetti ai lavori, militanti o ex tali, ecc.), ma più spesso disincantate.
A prevalere sulla nostalgia di un tempo che fu, sembra delinearsi la consapevolezza che i decenni costitutivi di un’identità italiana secondo principi di unitarietà cultural-linguistica e di (certo imperfetta) giustizia sociale si trovino come relegati in una sempre più sbiadita “camera delle meraviglie” poco capace di comunicarci insegnamenti. Magari per le emozioni il bilancio può essere più positivo, ma qui s’intende parlare di un’historia che – anche in un contesto civile e non bellico come purtroppo quello di altre realtà del mondo – ha perso qualunque carattere di magistra vitae, nonché di modello.
Il bilancio dei bilanci è appunto un atteggiamento che esclude ormai la dialettica storica, quella che dovrebbe consentirci, guardando indietro non ai nostri antenati, ma anche solo ai nostri padri, di rispecchiarci e capire chi siamo.
“Il giorno delle sirene” sembra proprio contemplare eventi accaduti 40 e 50 anni fa come storie piene certo di emotività forti, caratteri precisi e ideali elevati, ben sintetizzati nelle vicende del protagonista Antonino, della sua famiglia vittima dei miraggi dell’immigrazione interna e di altri personaggi ben rappresentativi della Torino degli anni del boom economico.
Tuttavia – ed è un pregio, beninteso, letterariamente parlando – questa narrazione retrospettiva trasmette un senso complessivo di irripetibilità, l’impossibilità di un contatto pedagogico che spinga non necessariamente ad agire, ma quantomeno ad avere un atteggiamento più consapevole e disponibile nei confronti della socialità e della “cosa pubblica”.
La beffarda nemesi storica finale cui assiste Antonino – in un momento che per lui potrebbe essere di rinascita – è un po’ l’emblema di questo sporco gioco del destino. Nel mondo tecnoliquido e globalizzato in cui viviamo, dove gerarchie e senso della distanza sembrano quasi cancellate, provare a cambiare le cose può essere senz’altro ancora nobile e necessario per alcuni, ma il “core business” (si passi il termine) della collettività – e non solo di quella italiana – sembra orientato decisamente altrove.
A meno che… Il luogo in cui è ambientata la scena conclusiva infatti suggerisce forse una via d’uscita rispetto a tale universo di individualismi moltiplicati (dai social ecc.); che è poi un suggerimento antico ma sempre valido, oltre i cattivi scherzi della Storia: ragazzi, leggete e studiate!
Alberto Raffaelli
Il libro:
Wilma Avanzato, “Il giorno delle sirene”, Napoli, Graus Edizioni, 2024