La rosa della biblioteca: un libro che prende il comando dello scrittore che lo inventa.
La rosa della biblioteca è il romanzo che il suo autore ama meno. La storia si è fatta strada, nella sua mente, di prepotenza, connotandosi come giallo. Altrettanto prepotente l’affermarsi nello scrivere fluido e indovinato dei personaggi femminili, mentre gli uomini sono “trattati male”. La sua opera esplora il confine tra un’azione legale e una illegale. Stefano Stefanacci ha uno stile semplice e ricercato insieme, che si avvicina al lettore e lo incuriosisce. La sua formazione non è attinente al mondo del giallo, al quale però si affaccia con proprietà di linguaggio e acume. La tensione, nella trama e nella sua architettura, nasce soprattutto dal fatto che si ignori un indizio di colpevolezza. Il thriller, del resto, è una macchina che sforna enigmi. Ha pubblicato il testo l’editrice Atile.
Questo autore ha pubblicato quattro libri, dopo aver programmato a tavolino, una notte, la sua attività letteraria. È toscano di origine, vive a Genova, è sposato e ha un figlio. È ingegnere e ha due cani e un gatto persiano. Si diletta di giardinaggio ed è anche autore di “La miniera abbandonata “, “Storia del dottor Ignazio “, “La mia prima bicicletta (usata) costata mille lire”. Lavora a un nuovo romanzo. Lo abbiamo raggiunto e intervistato. Gli abbiamo chiesto come ha scelto il colpevole, poiché nel dialogo si legge: “Non posso sottacere la gravità della sua azione”. Queste sono le sue parole.
“Incominciamo dal titolo. Non era mia intenzione scimmiottare Umberto Eco. Mi viene in mente anche Sibilla Aleramo, per l’attenzione alla rosa. Nel mio testo questo fiore viene posto in un libro da uno dei personaggi, a una certa pagina, per far capire a una donna, direttrice di una biblioteca, che c’è interesse da parte sua. In seguito, si dichiarerà”.
In che modo si è immedesimato nelle donne, personaggi di rilievo nel romanzo?
“I personaggi femminili sono quelli che giganteggiano dalla trama che ho scelto. E’ una donna che prende l’iniziativa necessaria per cambiare la trama, si arriva a chiedersi se si faccia giustizia da sola, oppure l’intreccio porti a qualcos’altro: facevo il tifo per lei, che era la più forte e la più subdola, poiché nella storia reagisce in maniera esagerata. Quando riprende il processo si infuria, e nel corso di una lunga vacanza con il marito gli dice che le dispiace per la morte della vittima… ha la personalità più spiccata. Non vi dirò di più. E’ una donna anche il pubblico ministero che risolve, alla fine, il mistero. Mentre scrivevo, il romanzo ha dimostrato di avere vita propria. Gli uomini sono meschini, sono trattati male. Il giardiniere è un tipo strano, mentre l’impiegato è più cerebrale, entrambi si invaghiscono della stessa donna e qualcuno muore”.
Purtroppo la vicenda echeggia una lunga serie di fatti di cronaca…
“In effetti siamo ai temi del giorno: una donna viene importunata e c’è una tenzone, semplicemente terrificante, tra un giardiniere e un impiegato. Qualcuno mette le mani addosso a qualcun altro e uno dei contendenti viene ucciso. Non ho una formazione da giallista, l’idea parte da un eventuale fatto di cronaca che avrebbe potuto accadere in una libreria, una biblioteca, uno studio professionale… Con o senza omicidio. Alla fine il colpevole, uomo o donna che sia, viene messo alle strette, dopo dieci anni nel corso dei quali si erano snodati gli effetti di un errore giudiziario. Il procuratore considera il precedente processo frettoloso e dà l’incarico a una giovane determinata. Segue la love story… ma non sveliamo più di tanto. C’è un avvocato che difende colui che in passato era stato considerato colpevole”.
Sta lavorando a un nuovo romanzo?
“Il titolo del nuovo romanzo non c’è, potrebbe comparirvi un’isola a mezzaluna, ma è ancora tutto in fieri, le parole devono ancora aggregarsi convenientemente. Sull’isola c’è una miniera e i personaggi fanno parte di una famiglia. Il primo racconto lungo che ho scritto era dedicato al dottor Ignazio, medico molto strano, figura al limite. Prescriveva supposte per il mal di testa e nonostante l’azzardo frequente i rimedi funzionavano. Il giallo? Ci sono caduto dentro involontariamente, la storia relativa alla rosa nella biblioteca avanzava e si raggomitolava da sé. Il giallo e l’assassinio sono venuti dopo, la prima idea in verità era molto debole. E’ stata la storia a comandare, non ne avevo ben chiara l’evoluzione, a me succede spesso. C’era una rosa in una biblioteca. Nel primo processo è stato ignorato un indizio di colpevolezza”.
Scrive mai di qualcosa che la riguardi?
“I romanzi ai quali sono più legato sono autobiografici. Ho vissuto i miei primi 12 anni di vita vicino a Firenze, come si legge in ‘La mia prima bicicletta’. Fu acquistata da un rigattiere, dopo aver contrattato sul prezzo. Sono figlio di un ferroviere. Mio padre fu trasferito a Genova, città che mi ha traumatizzato, poiché non la riconoscevo come mia. Stavo male, non riuscivo ad ambientarmi. Di questo parla il mio romanzo che sta per uscire, che è il seguito del precedente. C’è stato poi, anni dopo, un periodo della mia vita nel quale mi ritenevo ansioso, depresso. Solo in casa, nelle mie notti insonni, avevo tante cose in testa: è venuto fuori un fiume di parole, subito ho memorizzato una serie di idee per nuovi romanzi. Nel buio, un cane mi faceva compagnia”.
Le capita di elaborare i personaggi esprimendo una critica?
“Con la patria sono molto cattivo, c’erano assurdità in quel che si faceva un tempo, da militari. Le figure che ho concepito in questo habitat sono trattate molto male. Ho criticato due entità nei miei romanzi: mio padre e la patria. La rosa della biblioteca è il romanzo che amo meno, la trama è a sé stante, la ho soltanto riferita”.
