“Lo specchio armeno” è uno di quei libri che di fatto sfida il lettore. In un’epoca – iniziata prima dell’avvento dei social – in cui la semplificazione e in molti casi l’appiattimento paratattico hanno colonizzato la scrittura letteraria, il romanzo di Codazzi si pone come una sorta di oggetto alieno con il quale cimentarsi in un gioco fruitivo non privo di complessità ma anche fascinoso.
In esso si accostano piani temporali diversi, che danno vita a un intreccio fatto di parallelismi e corrispondenze (persino familiari e onomastiche) il cui ricorrere a distanza di secoli sostanzia la trama e il senso di una vicenda condotta sotto un profilo complessivamente enigmatico, da intendersi come accettazione non traumatica da parte dei protagonisti di eventi fuori dall’ordine naturale. Ovviamente maggiore esitazione – per rispolverare le teorie di Todorov sul fantastico – vi sarà da parte del lettore nell’approcciarsi ad eventi che esulano dalla verosimiglianza: ma è proprio questo iato tra reazione dei personaggi e di chi sta dall’altra parte a costituire uno degli aspetti intriganti de “Lo specchio armeno”.
Meraviglioso e quotidianità si coniugano in un racconto che ha però il proprio collante nel tramite discorsivo, ovvero uno stile complesso e dall’ardimentosa orditura sintattica il quale costituisce il versante formale di una “quête”, vale a dire quella ricerca del sentimento assoluto – scopo che si rivela praticamente irraggiungibile – al centro della trama.
Cosimo, il pittore protagonista e gli altri si muovono secondo tratti trasognati, su un limite indefinito tra veglia e assopimento, termine quest’ultimo da intendersi come flusso di fatti e sensazioni che, a dispetto di una referenzialità immediata, appare vischioso nella sua logicità globale.
Ed è proprio una sorta di rara “terra di mezzo” stilistica a farsi in qualche modo garante della coerenza come pure dell’attendibilità della narrazione (infiorettata oltretutto da più forme di tessitura testuale).
Tale prosa sinuosa e ondeggiante, che a tutta prima appare difficoltosa, possiede a (molto) ben vedere un carattere rivelatorio: il mostrare, come poche oggigiorno, i movimenti cerebrali e fantasiosi attraverso cui la scrittura rispecchia la vita, configurando una sorta di flusso di coscienza “razionalizzato” e portato in superficie rispetto alle pieghe dell’interiorità, affiancandosi alla concretezza cronachistica.
Raffina il tutto un lessico spesso prezioso e sezionatore, attraverso cui si asseconda questo moto iperdescrittivo degli avvenimenti e dell’anima. Ipotassi estrema e parole desuete alimentano così un originalissimo ecosistema letterario, che richiede certo impegno e dedizione ma ripaga poi il lettore attento della fatica immersiva profusa.
Alberto Raffaelli
(albertoraf2@gmail.com)
Il libro:
Paolo Codazzi, “Lo specchio armeno”, Cagliari, Arkadia, 2023