Ben ritrovati anche oggi, cari lettori nella mia rubrica di Mobmagazine.it.
Ho già affrontato in passato, la grave situazione che le nostre sorelle iraniane stanno affrontando da una vita, ed ancora una volta, in Iran, è in atto l’ennesima brutale repressione contro la libertà e i diritti delle donne, vittime di un sistema obsoleto che le rende schiave e sottomesse al potere maschilista, in un Paese che continua a vivere nell’oscurità più totale dei diritti di coloro che hanno avuto la sfortuna di nascere in un posto dimenticato da Dio.
Da qualche mese, infatti, l’accanimento dello Stato iraniano contro le donne, si è scagliato anche contro bambine indifese attraverso il loro avvelenamento con composti chimici, proprio per tenerle lontane dalle loro scuole, impedendo così di esercitare il loro diritto all’istruzione.
I primi casi di avvelenamento si erano già verificati nei mesi di ottobre/novembre del 2022, in alcune scuole dell’Iran, in particolare nelle città di Qom, Borujerd, Ardebil e il fenomeno da allora, non si è più fermato, proprio nelle scuole dove si forma l’opposizione politica contro il regime che governa il Paese e che puntano ad imitare l’esempio dell’Afghanistan, che sotto il regime talebano, ha vietato l’istruzione femminile.
Nausea, vomito, mal di testa, difficoltà respiratorie, tosse, sonnolenza acuta, tutti sintomi ricollegabili ad un avvelenamento da sostanze chimiche, attraverso l’inalazione di un profumo agrumato che è stato spruzzato nelle aule sia delle scuole elementari che universitarie.
Il regime ha confermato l’intera vicenda e il viceministro della salute, Younes Panahi, ha ammesso apertamente l’intenzionalità degli avvelenamenti delle studentesse iraniane. L’accanimento dell’Iran, dunque, continua contro le donne che si rifiutano di continuare ad indossare l’Hijab e che hanno iniziato a tagliarsi i capelli, già da qualche tempo, per gridare contro un regime che le opprime, le umilia, le insulta, sfidando la polizia morale religiosa e adesso, contro le bambine che vengono avvelenate sempre di più al fine di chiudere le scuole, con l’unico obiettivo di eludere qualsiasi forma di emancipazione.
Questi strumenti repressivi di avvelenamenti, sono già stati usati nei confronti degli attivisti rinchiusi nelle carceri per aver partecipato alle proteste contro la Repubblica islamica scatenata dalla morte di Mahsha Amini, la ragazza uccisa nel settembre del 2022, perché non indossava correttamente l’hijab. E così si continua a spargere sangue e morte ovunque, in una lotta senza fine che ha come protagoniste sempre le stesse vittime: le donne.
Quelle che protestano e lottano in Iran o in Afghanistan, in un paese dove per la legge, la vita di tre donne equivale a quella di un uomo, lì dove è perfino proibito per una donna festeggiare il giorno del suo compleanno, dove è vietato andare in bicicletta, indossare una minigonna o tingersi le labbra con un comune rossetto.… Donne che rivendicano il loro diritto alla libertà, che rivendicano pari diritti in ogni campo sociale, politico, economico, di espressione, di scelta, di istruzione.
Quelle donne che hanno il dono di generare vite umane e che muoiono ogni giorno per opera di uomini che loro stesse hanno partorito, cresciuto, amato, in una storia che sembra ripetersi all’infinito.
L’ amore per la vita, il rispetto verso i nostri fratelli e sorelle, è un principio fondamentale che dovrebbe essere insegnato fin da piccoli e ovunque, non solo in Iran o Afghanistan, ma nel resto del mondo, anche in Occidente. Invece, ogni giorno, assistiamo ad un insegnamento negativo che viene inculcato proprio all’interno di alcune famiglie e a volte dalla stessa scuola o Stato di un Paese, perché è da questi nuclei che si creano le basi per poter educare al rispetto del prossimo e quindi alla pace e alla fratellanza.
Ma ahimè, purtroppo, tutti ci educano alla competizione, ad essere sempre migliore degli altri: migliori del nostro compagno di banco, della nostra cara amica, del nostro collega o concittadino, ma così facendo, nessuno ci educa alla pace, alla cooperazione, collaborazione, al rispetto dei diritti altrui.
E forse, a mio parere, è proprio quella idea costante e martellante della “competizione” e della “supremazia del maschio sulla femmina” che implica di per sé, l’inizio di ogni piccola guerra, dapprima tra le mura domestiche, per poi allargarsi sempre di più tra i banchi di scuola, nelle strade, tra i sessi, fino ad estendersi nei vari Stati, religioni, popoli, che crea solo disuguaglianza, discriminazione, odio, guerra, dimenticando il vero significato della vita.
Avv. Aurora d’Errico