Per la prima volta in Italia diminuisce il numero di uomini colpiti dal tumore, con 194.400 nuove diagnosi stimate nel 2015 (erano 196.100 nel 2014, 199.500 nel 2013). Una tendenza costante, dovuta soprattutto all’efficacia delle campagne di prevenzione. Che non hanno però portato agli stessi risultati fra le donne, visto che i nuovi casi sono in lieve crescita nel sesso femminile (circa 169.000 nel 2015). Preoccupa soprattutto la diffusione del vizio del fumo. Il 23% delle italiane è tabagista, con ricadute evidenti: tra il 1999 e il 2010 l’incidenza del tumore del polmone è diminuita del 20% tra gli uomini, mentre si registra un +36% fra le donne. Nel 2015 sono stimate complessivamente 363.300 nuove diagnosi di cancro: la neoplasia più frequente è quella del colon-retto (52.000), seguita da seno (48.000), polmone (41.000), prostata (35.000) e vescica (26.000). È il censimento ufficiale, giunto alla quinta edizione, che fotografa l’universo cancro in tempo reale grazie al lavoro dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) e dell’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), raccolto nel volume “I numeri del cancro in Italia 2015”. Nel 2015 sono circa 3 milioni gli italiani vivi con una diagnosi di tumore, con un incremento del 17% rispetto al 2010 (+20% per i maschi e +15% per le femmine). E oggi sempre più persone possono affermare di aver sconfitto la malattia, come testimoniano le storie contenute nel libro promosso da AIOM “Si può vincere” (Edizioni Guerini, 2015). Le due pubblicazioni sono presentate ieri all’Auditorium del Ministero della Salute in un convegno nazionale con l’intervento del Ministro, Beatrice Lorenzin. “I nuovi dati –afferma Carmine Pinto, presidente nazionale AIOM e direttore dell’Oncologia Medica dell’IRCCS di Reggio Emilia – confermano la riduzione della mortalità nei due sessi per il complesso dei tumori e per molte neoplasie a più elevato impatto. È la dimostrazione che l’azione del Sistema Sanitario Nazionale è efficace. Ma serve più impegno nelle campagne di sensibilizzazione per trasmettere i messaggi chiave della prevenzione oncologica: no al fumo, attività fisica costante e dieta corretta. Seguire uno stile di vita sano permette di salvare milioni di vite. È infatti evidente la riduzione sia della mortalità che dell’incidenza fra gli uomini nei tumori legati al fumo (per esempio vie aero-digestive superiori, polmone e vescica). Per altre neoplasie, come quelle del seno e della prostata, la riduzione della mortalità dell’1,4% e del 2,8% rispettivamente all’anno è dovuta soprattutto all’efficacia delle nuove terapie e alla diagnosi precoce”. La terapia dei tumori ha realizzato progressi importanti in tutti i settori che spaziano dalla terapia medica, alla chirurgia, alla radioterapia. Nella terapia medica dopo la chemioterapia, l’ormonoterapia e le terapie target, è stata introdotta una nuova arma innovativa, l’immunoterapia, che sta aprendo prospettive impensabili fino a pochi anni fa per persone colpite da malattie gravi come il melanoma metastatico e il tumore del polmone in fase avanzata. L’AIOM ha raccolto le testimonianze di 16 pazienti curati con questo approccio innovativo nel libro “Si può vincere” (a cura di Mauro Boldrini, Sabrina Smerrieri, Paolo Cabra), che verrà presentato in un tour in 10 città italiane a partire da ottobre. “Evidenze scientifiche dimostrano i grandi passi in avanti compiuti negli ultimi anni – spiega il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, nella prefazione del libro -. Oggi possiamo affermare che il concetto di cancro come ‘male incurabile’ appartiene al passato. Grazie al progresso della scienza, i tumori stanno diventando sempre più una malattia cronica. Tuttavia, nonostante gli straordinari successi della ricerca grazie a trattamenti sempre più mirati e altamente specializzati, la patologia resta, anche a causa dell’effetto dell’invecchiamento, una delle prime cause di morte della popolazione. Per questa ragione dobbiamo potenziare i nostri sforzi e la capacità di coordinare e sostenere l’attività di prevenzione e di assistenza. Dobbiamo tutti insieme professionisti, Istituzioni e cittadini impegnarci costantemente per continuare a tenere alto l’attuale livello del Sistema Sanitario italiano, considerato uno dei migliori del mondo, e ancor di più dobbiamo rafforzare la collaborazione fra Istituzioni e clinici, affinché vengano superate le divaricazioni assistenziali che, purtroppo, ancora oggi esistono in diverse realtà del nostro Paese”. I dati dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) indicano per il 2012 (ultimo anno disponibile) in 177.351 i decessi attribuibili ai tumori tra gli oltre 600.000 verificatisi in quell’anno. Le neoplasie rappresentano la seconda causa di morte (29% di tutti i decessi), dopo le malattie cardio-circolatorie (38%). Il tumore che ha fatto registrare nel 2012 il maggior numero di decessi è quello al polmone (33.538), seguito da colon-retto (19.202), seno (12.004), pancreas (10.722), stomaco (10.000) e prostata (7.282). “La sopravvivenza in Italia – sottolinea Emanuele Crocetti, segretario AIRTUM – risulta per molte neoplasie superiore alla media europea. Anche il confronto con i Paesi del nord Europa, dove solitamente si registrano i valori più elevati di sopravvivenza, offre informazioni incoraggianti sull’efficacia globale del nostro Sistema Sanitario nelle sue componenti preventive, diagnostiche e terapeutiche. In molti casi infatti (stomaco, fegato, pancreas, colon, polmone, prostata e rene) le percentuali di sopravvivenza in Italia sono più alte rispetto alla media del nord Europa”. In questa edizione dei “Numeri del cancro” un nuovo capitolo è dedicato all’impatto della malattia fra gli immigrati. Secondo le stime ufficiali ISTAT, i cittadini residenti, immigrati in Italia da Paesi stranieri, nel 2014 rappresentavano l’8,1% del totale degli italiani (4.922.085 su una popolazione di 60.782.668). “Il cambiamento sociale indotto dalla migrazione ha anche implicazioni sanitarie che i Registri Tumori contribuiscono a documentare – continua Stefania Gori, segretario nazionale AIOM -. Due aspetti in particolare vanno analizzati: la misura del livello di rischio oncologico e le difficoltà di accesso ai servizi del Sistema Sanitario italiano, misurabili valutando l’adesione a programmi di screening organizzato. Rischi più elevati in popolazioni immigrate sono stati segnalati per tumori a eziologia infettiva, come quelli dello stomaco, del nasofaringe, del fegato e della cervice uterina. Quest’ultimo in particolare è legato a infezioni persistenti di alcuni tipi del virus del papilloma umano (HPV). È dimostrato che l’incidenza della neoplasia della cervice uterina è più alta nelle donne provenienti da Paesi a forte pressione migratoria, in particolare dell’Est europeo e del centro e sud America, rispetto alle donne nate in Italia. Al contrario le lesioni cervicali preinvasive sono molto meno frequenti. Questi risultati indicano un doppio problema: un rischio più elevato e un ridotto godimento dei programmi di screening, per cui le lesioni sono diagnosticate in una fase già invasiva. La risposta del Sistema Sanitario deve avvenire potenziando la capacità di coinvolgimento nei programmi di screening già attivi”. L’AIOM da sempre è impegnata nelle campagne di prevenzione, per sensibilizzare i cittadini sull’importanza degli stili di vita corretti. “Abbiamo dedicato un approfondimento al tema delle sigarette elettroniche – spiega il prof. Pinto -. L’introduzione e diffusione anche nel mercato italiano delle e-cig pone ulteriori problemi socio-sanitari e culturali riproponendo, in maniera subdola, il modello del ‘fumo senza danni’, ormai relativamente sconfitto per il tabacco. Un’indagine DOXA ha evidenziato che solo l’11% dei consumatori abituali di e-cig ha di fatto smesso di fumare. Gli organismi internazionali che si occupano delle conseguenze sulla salute derivanti dall’utilizzo delle sigarette elettroniche concordano sulla necessità di un approfondito monitoraggio per le conseguenze nel breve e nel lungo periodo”. “Possiamo affermare – conclude Pinto – che i tumori non solo sono curabili ma anche guaribili, infatti una quota importante di pazienti, il 27%, torna ad avere la stessa aspettativa di vita della popolazione generale, cioè di chi non ha mai ricevuto una diagnosi di cancro. Questi risultati spingono a orientare anche la ricerca in campo clinico e epidemiologico indirizzando gli studi sulla scienza della riabilitazione. La conferma che un pieno recupero è possibile apre le porte alla possibilità di un completo reinserimento lavorativo e sociale per un numero crescente di persone con importanti ricadute in molti aspetti della vita”. Fonte:oggisalute.it
Abitudini sbagliate possono far si che un pasto importante come la prima colazione non sia consumato nella giusta maniera.
Fra le errate abitudini alimentari, gli italiani hanno quella di limitare la colazione del mattino a un rapidissimo caffè, al massimo un cappuccino. Invece il primo pasto del giorno è della massima importanza: il corpo viene da lunghe ore di digiuno e per affrontare bene la giornata ha la necessità di fare il pieno. Anche i bambini, al mattino, devono consumare un pasto che consenta loro di avere energie sufficienti per la scuola e i giochi. D’altro canto, non c’è che l’imbarazzo della scelta: spremute e succhi di frutta, yogurt, latte, tè, caffè, pane, marmellata, biscotti, cereali, fette biscottate… Ma la fretta è la peggiore alleata: è difficile consumare una prima colazione sana e sostanziosa se l’orologio incombe. Lasciare il letto un solo quarto d’ora prima del solito non è impossibile, soprattutto se la sera precedente si è già provveduto ad apparecchiare. Il primo pasto della giornata, da consumare collettivamente, sarà così doppiamente utile. Se la prima colazione è quasi inesistente, un’altra abitudine induce numerose persone a trasferirsi, a metà mattina, al bar per la bricche e il cappuccino, mentre i bambini e gli adolescenti consumano voracemente merendine e pizzette. Non c’è niente di peggio. Nella stragrande maggioranza dei casi i prodotti confezionati sono infarciti di grassi e di zuccheri, tanto da risultare una bomba energetica che affatica il fegato e contribuisce ad accumulare i grassi nel sangue anche nei giovanissimi. Questi ultimi, è noto, sono sempre affamati: anche se hanno fatto un’abbondante prima colazione, a metà mattina hanno l’esigenza di fare uno spuntino. Un piccolo panino al formaggio o al prosciutto possono tranquillamente risolvere il problema, meglio ancora uno yogurt o un succo di frutta. Il pasto di mezzogiorno comincia a perdere i connotati di una volta a causa degli impegni di lavoro. Si consumano frettolosamente panini al bar, si ingurgitano i piatti delle mense aziendali, si ricorre ai fast-food. E se anche si va al ristorante, la fretta non consente la degustazione del cibo. Nelle famiglie, chi ha la fortuna di poter tornare a casa a mangiare, spesso esagera, pregiudicando l’intero pomeriggio. La prerogativa principale del pasto è la masticazione: la digestione, è noto, inizia nella bocca. È anche importante alzarsi da tavola senza dover fare sforzi a causa della quantità di cibo: abbuffarsi non è salutare. Merende e spuntini di metà pomeriggio non sono, salvo diete particolari, necessari ne ai bambini ne ai grandi: un succo di frutta, una spremuta, un frutto sono più che sufficienti. La sera si pongono gli stessi problemi del mezzogiorno. Sedersi a tavola con il televisore acceso non è salutare. Mangiare in fretta trascurando la masticazione è dannoso. Sdraiarsi subito dopo i pasti è sbagliato. Bere un amaro per aiutare la digestione è ipocrita.
Quali alimenti si possono congelare o surgelare e quali no. Quando e come congelare o surgelare i principali alimenti.
Tutti i prodotti alimentari, vegetali o animali, possono essere congelati o surgelati. Ma ragioni di ovvia praticità sconsigliano – proprio perché inutile – di congelare prodotti che si conservano facilmente anche con la semplice refrigerazione nel frigorifero o in luoghi freschi e riparati, oppure reperibili tutto l’anno in commercio. Così, ad esempio, non è interessante congelare frutta come la melarossa o le mele in genere che si conservano bene in soffitta o in una camera fredda, oppure le banane, che sono disponibili quasi tutto l’anno. Altrettanto dicasi per verdure, come patate o carote, di facile e lunga conservazione fuori dal frigorifero. È inutile parlare poi dei legumi secchi, che non richiedono il freddo. Allo stesso modo non interessa quindi congelare le uova, che sono disponibili in qualsiasi stagione, salvo quando si tratti degli albumi, che spesso rimangono inutilizzati ed è un peccato buttare. Vedremo in seguito come si può fare. Congelare concentrati, succhi di frutta ecc. è un’operazione inutile, poiché sono prodotti reperibili tutto l’anno a prezzi molto convenienti. È invece interessante congelare prodotti di valore che non siano reperibili freschi in tutte le stagioni, come ad esempio vegetali pregiati quali frutti di bosco, funghi, pomodori ecc., oppure prodotti animali, quali carne (bovina, suina, ovina ecc.), pollame, pesce, selvaggina, secondo l’opportunità dettata da favorevoli circostanze di larga disponibilità o prezzo ridotto all’acquisto. Del pari, largo interesse offre la congelazione di verdure cotte o combinazioni di cibi o piatti cucinati di cui abbiamo già parlato. Per trarre i massimi vantaggi dalla congelazione-surgelazione casalinga, è opportuno definire un programma. Si dovrà a questo proposito tener conto: — dei diversi prodotti da congelare, in ordine alla loro qualità e stagione di raccolta o macellazione; — della durata del periodo di conservazione; — del ritmo di consumo dei prodotti, connesso con il numero dei componenti della famiglia e con le preferenze di ognuno. Sarebbe quindi opportuno stabilire un calendario di congelazione: — PRIMAVERA: tra i vegetali gli asparagi, i cavolfiori, i piselli sgranati, le fragole, le ciliegie; tra gli animali il vitello, l’agnello, il capretto, il maiale giovane, l’eventuale selvaggina, il pesce. — ESTATE: tra i vegetali i fagiolini verdi, i pomodori, i fondi di carciofo, le albicocche, i frutti di bosco; tra gli animali i conigli, i polli. — AUTUNNO: tra i vegetali ancora i cavolfiori e i fagiolini, i cavoli, le zucchine, i funghi, le more; tra gli animali l’agnello, il capretto, il maiale, la selvaggina e la cacciagione in genere. — INVERNO: tra i vegetali le castagne, i cavolini di Bruxelles; tra gli animali il maiale, il manzo e i bovini, la selvaggina, il pesce. in OGNI STAGIONE i piatti preparati, i cibi cotti e i volatili in genere. Come procedere Per congelare-surgelare gli alimenti, la prima e più importante regola da seguire – che non ci stanchiamo di ribadire – è quella di introdurre nel congelatore prodotti perfetti e puliti, tenendo sempre presente che la buona riuscita della loro conservazione con il freddo dipende moltissimo dalle condizioni di preparazione, nonché dalla ineccepibile qualità e dal tipo di alimento trattato. Sono queste condizioni che, se come si è spiegato in precedenza, non costituiscono problema per la congelazione industriale, devono essere tenute nel massimo conto nella congelazione domestica. Gli alimenti vanno preparati come se dovessero essere cucinati subito. Pertanto, considerando che la capacità dei freezer domestici di fornire “frigorìe” (ossia la capacità di raffreddamento) è molto limitata, occorre eliminare dagli alimenti tutte quelle parti inutili e non edibili, la cui azione, ai fini del congelamento veloce, è negativa perché sottrae tali preziose “frigorìe”. Pertanto le verdure andranno preventivamente mondate per eliminare le parti eventualmente appassite, ammaccate, bacate, o troppo dure (i torsoli, ad esempio), quindi pulite, lavate, e ben asciugate. Lo stesso dicasi per le carni, dalle quali vanno eliminate tendini, pellicole e grassi quanto più è possibile (i grassi si congelano male e più lentamente e riducono il tempo di conservazione). I pesci andranno eviscerati, desquamati, decapitati (se piuttosto grossi) e comunque privati delle pinne, indi lavati e così via. La seconda regola è quella di provvedere alla confezione dell’alimento in involucri adatti . Terza regola è quella di condizionare gli alimenti da surgelare prima di introdurli nel congelatore o nel freezer, sottoponendoli per un certo tempo alla bassa temperatura del frigorifero normale (meglio optare per lo scompatto in alto). Ciò farà sì che, quando verranno collocati nel freezer, essi avranno già raggiunto una temperatura bassa -anche se non sottozero – che uniforme e ben distribuita, favorirà il “lavoro” del congelatore abbreviando i tempi di congelazione-surgelazione. Gli alimenti cotti dovranno naturalmente essere lasciati raffreddare completamente nei loro recipienti, infine messi a congelare. La quarta regola, è quella di non introdurre nell’apparecchio congelatore più prodotti del necessario, perché in tal modo si rischierebbe di non poterli raffreddare con la velocità richiesta. Ogni apparecchio, nelle istruzioni per l’uso (che vanno sempre e attentamente osservate) riporta la capacità di massimo contenuto espressa in litri (da 100 a 500 in genere), oltre unitamente alla capacità di raffreddamento (in gradi centigradi sottozero). E quindi importante non introdurre nell’apparecchio una massa di prodotti superiore al carico indicato nella “Capacità di congelazione in 24 ore” precisata nelle istruzioni. È preferibile introdurre piccole quantità per volta, anche in misura o peso inferiore a quello indicato nelle istruzioni (ad esempio mai più di 4-5 kg. per ogni 100 litri di capacità del congelatore nelle 24 ore). È piuttosto preferibile riprendere l’operazione di inserimento dei prodotti il giorno dopo, dimezzando ovviamente i quantitativi. Premesso che quanto più è piccolo e basso il pacchetto da congelare, tanto più veloce sarà il suo congelamento o surgelamento, la quinta regola esige che i pacchetti (cioè gli alimenti… impacchettati nei loro involucri protettivi) vadano posti nell’apparecchio appoggiandoli alle pareti con la loro superficie maggiore, possibilmente distanziati gli uni dagli altri e comunque mai depositati al centro. È parimenti opportuno non collocare i nuovi pacchetti, che sono relativamente più “caldi” rispetto a quelli già inseriti il giorno prima, a contatto con questi ultimi. La variazione anche minima di temperatura che ne potrebbe conseguire, può infatti intaccare le condizioni dei prodotti già surgelati. A congelazione o surgelazione avvenuta, cioè dopo alcune ore di permanenza nell’apparecchio congelatore, i pacchetti delle singole piccole porzioni – di carne, verdura, pesce ecc. – possono essere riuniti -sempre lasciandoli nei loro involti originali – in un unico sacchetto di plastica. Questa operazione assicura un duplice vantaggio: da un lato consente infatti di guadagnare spazio per altri prodotti da congelare; dall’altro permette di raggruppare in uno stesso involucro i prodotti di ogni rispettiva categoria, cosa che ne faciliterà la ricerca al momento dell’utilizzo. A questo proposito, come abbiamo già spiegato, sarà utile contrassegnare le singole etichette o quella unica del sacchetto di plastica, con scritte (inerenti la natura del prodotto, la data di acquisto e di congelazione) di colore diverso. Occorre ricordarsi sempre, in ogni caso, che un pacchetto piatto congela più in fretta per cui è meglio fare due pezzi piccoli piuttosto che uno solo più grande. La confezione: modi e materiali La confezione degli alimenti da congelare-surgelare, è molto importante ai fini di una buona conservazione. Essa ha lo scopo di: — proteggere contro l’essiccazione; — proteggere contro l’ossidazione e l’irrancidimento; — evitare la brina; — proteggere, in certi casi, contro la luce. I materiali da utilizzare per la confezione degli alimenti, devono essere adatti solo per usi alimentari, quindi impermeabili all’acqua, all’aria, all’umidità, ai grassi, agli acidi e agli odori ed essi stessi assolutamente inerti. Ci sentiamo di consigliare in particolar modo: il PVC o materia prima similare, trasformato in sottile pellicola trasparente e autoadesiva, venduto in rotoli e che tutti conosciamo. La pellicola è la più adatta per avvolgere piccole porzioni di carne o di pesce, tramezzini, pane e per chiudere e sigillare piatti o vaschette: — l’alluminio, anch’esso ridotto in fogli sottili venduti in rotoli, oppure sagomato in vaschette e recipienti. Il foglio si adatta bene alla torma del prodotto da avvolgere e si presta per impacchettare i pezzi voluminosi e di forma irregolare, come polli, pezzi di carne cotta o cruda, torte ecc.; è facile da sigillare e fermare ripiegandone più volte i bordi, le vaschette sono ottimi contenitori per cibi semiliquidi, salse e pietanze già cotte. Se non hanno un coperchietto a chiusura ermetica, vanno coperte con la pellicola trasparente. Da sapere: i pacchetti con fogli di alluminio o le vaschette possono passare direttamente dal congelatore al forno, perché l’alluminio, oltre che avere una perfetta impermeabilità, è resistente al fuoco. Le vaschette poi sono le più idonee per il rinvenimento e riscaldamento dei cibi nel forno a microonde, nel quale vanno inserite appena tolte dal congelatore; — sacchetti in plastica speciale trasparente, perfetti per verdure, frutta e altri prodotti o per raggrupparvi i pacchetti congelati. Tutti questi imballaggi devono, dopo la confezione degli alimenti, essere sigillati alla perfezione mediante l’uso di nastri adesivi speciali o elastici. Occorre inoltre fare uscire quanta più aria è possibile dai pacchetti, facendo aderire bene il foglio (cosa facile per la pellicola) al prodotto e premendo, prima di chiudere, ad esempio il foglio d’alluminio o il sacchetto di plastica. Altri tipi di contenitori possono essere le speciali scatole di cartone paraffinato, i bicchieri di plastica (come quelli di yogurt o gelati, che si possono “riciclare” dopo un accurato lavaggio) o quelli di cartone paraffinato. In questi ultimi però non si dovrà mai versare del liquido bollente. Sconsigliabile è invece l’uso di recipienti di vetro non solo perché il vetro è un pessimo trasmettitore del freddo, ma anche perché esso si può rompere per “choc termico” quando lo si introduce o lo si estrae dal freezer. L’etichettatura di ogni singola confezione, lo ricordiamo ancora, va effettuata sempre e nei modi già spiegati. Fonte medicina33.com
Nevralgie: trattamento, cause e misure per alleviare il dolore.
Le nevralgie sono dolori che insorgono lungo il decorso di un nervo periferico e delle sue diramazioni e non sono accompagnati da disturbi della sensibilità .Le nevralgie hanno cause locali (ferite, compressioni. infiammazioni di organi vicini ecc.) e generali (malattie croniche, intossicazioni, freddo). Si manifestano ora bruscamente ora con lentezza, hanno durata dì intensità variabile e possono ricomparire anche dopo lungo tempo. Le nevralgie facciali interessano sovente solo la metà del viso. La loro forma più dolorosa è la nevralgia del trigemino che si manifesta periodicamente a carico dell’occhio, della regione sopra mascellare e di quella mandibolare. Le nevralgie brachiali provocano dolori al braccio (più forti verso la spalla che verso la mano) alla spalla, al collo, che si accentuano con il movimento il quale perciò diventa difficile. Le nevralgie intercostali sono localizzate al livello del torace, lungo le cestole: si distinguono da dolori di altra origine (in particolare quelli cardiaci) perché aumentano con l’inspirazione profonda e la tosse. Spesso particolarmente dolorosa è la nevralgia sciatica: parte da una natica, scende verso la zona posteriore della coscia e della gamba; se si tiene la gamba tesa con il tallone sollevato, il dolore diventa più forte. Il trattamento generale delle nevralgie è anzitutto il calore: compresse calde, unguenti revulsivi, pennellature di tintura di iodio, applicazione di tessuti di lana. Sopprimere caffè, alcool, tabacco e appena possibile visita medica per curare la causa della nevralgia. Fonte: medicina33.com
Diete fai da te: no grazie! Pericoli delle diete lampo e dei falsi miti sui social e sul web
L’incontro organizzato dal Ministero della salute sarà tenuto dalla dottoressa Barbara Paolini, Medico Dietologo, Policlinico Le Scotte SIENA, che spiegherà perché le cosiddette “diete fai da te” hanno effetti negativi sulla salute. In Italia il 77% degli uomini e l’83% delle donne si vede sovrappeso e 1 su 3 ricorre a diete fai da te per perdere peso; il 13% si affida a diete trovate su libri e riviste o su internet (dati Osservatorio Unisalute). Fra gli adolescenti il 40% ha deciso da solo cosa e quanto mangiare. Quali sono i rischi? Innanzi tutto, mangiare troppo poco o in maniera inadeguata può provocare carenze vitaminiche e di minerali. Un altro difetto di queste diete è che sono sbilanciate, monotone e soprattutto povere di quei nutrienti che invece sono essenziali per il nostro organismo. Queste diete promettono di far perdere molti chili in breve tempo, ma il più delle volte producono danni, come ad esempio il rischio della sindrome yo-yo o il pericolo di comparsa di disturbi del comportamento alimentare, soprattutto negli adolescenti. Pertanto il consiglio è quello di rivolgersi sempre ad un serio e qualificato professionista della nutrizione, che saprà consigliare meglio di qualsiasi guru scovato online.
Evento nascita, il Rapporto CeDAP 2013
Nel 2013 in media il 35,5% dei parti avviene con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo al parto per via chirurgica. E’ quanto si evince nel Rapporto sull’evento nascita in Italia 2013, realizzato dal Ministero della Salute – Ufficio di Statistica della Direzione Generale della digitalizzazione, del sistema informativo sanitario e della statistica. Il documento presenta le analisi dei dati rilevati dal flusso informativo del Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP) dell’anno 2013. Per quanto rigurada il contesto demografico, nel 2013 prosegue la diminuzione della fecondità avviatasi dal 2010: nel 2013 il numero medio di figli per donna scende a 1,39 (rispetto a 1,46 del 2010). I dati per il 2013 danno livelli più elevati di fecondità al Nord nelle Province Autonome di Trento e Bolzano e nel Mezzogiorno in Campania e Sicilia. Le regioni in assoluto meno prolifiche sono invece Sardegna, Basilicata e Molise. Per la natalità, a partire dal 2009, in tutte le aree del Paese si registra un calo. Il fenomeno è in parte riconducibile ad un effetto “strutturale”: infatti, stanno via via uscendo dall’esperienza riproduttiva le generazioni di donne nate a metà degli anni ’60, molto più numerose delle generazioni più giovani che via via raggiungono le età feconde. Le cittadine straniere hanno finora compensato questo squilibrio strutturale; negli ultimi anni si nota, tuttavia, una diminuzione della fecondità delle donne straniere. In sintesi, i dati mostrano i risultati elencati di seguito. La rilevazione 2013, con un totale di 526 punti nascita, presenta un elevato livello di completezza. Si registra un numero di parti pari al 100,3% di quelli rilevati con la Scheda di Dimissione Ospedaliera (SDO) ed un numero di nati vivi pari al 99,6% di quelli registrati presso le anagrafi comunali nello stesso anno. La qualità dei dati risulta buona per gran parte delle variabili, in termini sia di correttezza sia di completezza. L’ 88,3% dei parti è avvenuto negli Istituti di cura pubblici ed equiparati, l’11,7% nelle case di cura private (accreditate o non accreditate) e solo lo 0,1% altrove. Naturalmente nelle Regioni in cui è rilevante la presenza di strutture private accreditate rispetto alle pubbliche, le percentuali sono sostanzialmente diverse. Il 61,9% dei parti si svolge in strutture dove avvengono almeno 1.000 parti annui. Tali strutture, in numero di 183, rappresentano il 34,7% dei punti nascita totali. L’8,6% dei parti ha luogo invece in strutture che accolgono meno di 500 parti annui. Nel 2013, il 20% dei parti è relativo a madri di cittadinanza non italiana. Tale fenomeno è più diffuso al Centro-Nord dove oltre il 25% dei parti avviene da madri non italiane; in particolare, in Emilia Romagna e Lombardia, il 30% delle nascite è riferito a madri straniere. Le aree geografiche di provenienza più rappresentative, sono quella dell’Africa (25%) e dell’Unione Europea (26%). Le madri di origine Asiatica e Sud Americana sono rispettivamente il 18% e l’8% di quelle non italiane. L’età media della madre è di 32,7 anni per le italiane mentre scende a 29,7 anni per le cittadine straniere. I valori mediani sono invece di 32,5 anni per le italiane e 29 anni per le straniere. L’età media al primo figlio è per le donne italiane quasi in tutte le Regioni superiore a 31 anni, con variazioni sensibili tra le regioni del Nord e quelle del Sud. Le donne straniere partoriscono il primo figlio in media a 27,9 anni. Delle donne che hanno partorito nell’anno 2013 il 44,2% ha una scolarità medio alta, il 29,9% medio bassa ed il 25,9% ha conseguito la laurea. Fra le straniere prevale invece una scolarità medio bassa (48,3%). L’analisi della condizione professionale evidenzia che il 57% delle madri ha un’occupazione lavorativa, il 29,8% sono casalinghe e il 10,9% sono disoccupate o in cerca di prima occupazione. La condizione professionale delle straniere che hanno partorito nel 2013 è per il 53,1% quella di casalinga, mentre il 63,9% delle madri italiane ha invece un’occupazione lavorativa. Nell’86% delle gravidanze il numero di visite ostetriche effettuate è superiore a 4 mentre nel 72,8% delle gravidanze si effettuano più di 3 ecografie. La percentuale di donne italiane che effettuano la prima visita a partire dalla 12° settimana è pari al 2,6% mentre tale percentuale sale al 12,3% per le donne straniere. Le donne con scolarità bassa effettuano la prima visita più tardivamente rispetto alle donne con scolarità medio-alta: la percentuale di donne con titolo di studio elementare o senza nessun titolo che effettuano la prima visita dalla 12° settimana di gestazione è pari al 11,2% mentre per le donne con scolarità alta la percentuale è del 2,6%. Anche la giovane età della donna, in particolare nelle madri al di sotto dei 20 anni, risulta associata ad un maggior rischio di controlli assenti (3,8%) o tardivi (1° visita effettuata oltre l’undicesima settimana di gestazione nel 13,7% dei casi). Nell’ambito delle tecniche diagnostiche prenatali invasive, sono state effettuate in media 10,6 amniocentesi ogni 100 parti. A livello nazionale alle madri con più di 40 anni il prelievo del liquido amniotico è stato effettuato nel 31,81% dei casi. La donna ha accanto a sé al momento del parto (esclusi i cesarei) nel 91,6% dei casi il padre del bambino, nel 7,01% un familiare e nell’1,38% un’altra persona di fiducia. La presenza di una persona di fiducia piuttosto che di un’altra risulta essere influenzata dall’area geografica. Si conferma il ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. In media, il 35,5% dei parti avviene con taglio cesareo, con notevoli differenze regionali che comunque evidenziano che in Italia vi è un ricorso eccessivo all’espletamento del parto per via chirurgica. Rispetto al luogo del parto si registra un’elevata propensione all’uso del taglio cesareo nelle case di cura accreditate in cui si registra tale procedura in circa il 53,8% dei parti contro il 33,1% negli ospedali pubblici. Il parto cesareo è più frequente nelle donne con cittadinanza italiana rispetto alle donne straniere: si ricorre al taglio cesareo nel 28,5% dei parti di madri straniere e nel 37,3% nei parti di madri italiane. L’1,1% dei nati ha un peso inferiore a 1.500 grammi ed il 6,3% tra 1.500 e 2.500 grammi. Nei test di valutazione della vitalità del neonato tramite indice di Apgar, il 99,4% dei nati ha riportato un punteggio a 5 minuti dalla nascita compreso tra 7 e 10. Sono stati rilevati 1.362 nati morti corrispondenti ad un tasso di natimortalità, pari a 2,66 nati morti ogni 1.000 nati, e registrati 3.963 casi di malformazioni diagnostiche alla nascita. L’indicazione della causa è presente rispettivamente solo nel 24,1% dei casi di natimortalità e nel 77,7% di nati con malformazioni. Il ricorso ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita (PMA) risulta effettuato in media 1,66 gravidanze ogni 100. La tecnica più utilizzata è stata la fecondazione in vitro con successivo trasferimento di embrioni nell’utero (FIVET), seguita dal metodo di fecondazione in vitro tramite iniezione di spermatozoo in citoplasma (ICSI). L’analisi dei parti classificati secondo Robson indica che le classi più rappresentate sono quelle delle madri primipare a termine, con presentazione del feto cefalica (classe 1) e delle madri pluripare a termine, con presentazione del feto cefalica, che non hanno avuto cesarei precedenti (classe 3); queste due classi corrispondono complessivamente a circa il 54% dei parti classificati che si sono verificati a livello nazionale nell’anno 2013. I parti nella classe 5, relativa alle madri con pregresso parto cesareo, rappresentano il 10,6% dei parti totali classificati a livello nazionale. La rilevazione – istituita dal Decreto del Ministro della sanità 16 luglio 2001, n. 349 Regolamento recante “Modificazioni al certificato di assistenza al parto, per la rilevazione dei dati di sanità pubblica e statistici di base relativi agli eventi di nascita, alla natimortalità ed ai nati affetti da malformazioni” – costituisce a livello nazionale la più ricca fonte di informazioni sanitarie, epidemiologiche e socio-demografiche relative all’evento nascita, rappresentando uno strumento essenziale per la programmazione sanitaria nazionale e regionale. In particolare, il flusso informativo del CeDAP è strutturato in sei sezioni, ciascuna delle quali raccoglie specifiche informazioni riferite al punto nascita, ai genitori, alla gravidanza, al parto e al neonato, nonché gli eventi di natimortalità e l’eventuale presenza di malformazioni congenite. La peculiarità ed ampiezza delle informazioni raccolte da parte dell’ostetrica o dal medico che ha assistito al parto, nonché dal medico accertatore nei casi di natimortalità, rende particolarmente complessa la rilevazione dei dati. I flussi informativi trasmessi semestralmente da parte delle Regioni al Ministero, vengono sottoposti alle necessarie verifiche di completezza e qualità, allo scopo di garantire accuratezza ed attendibilità, nonché confrontabilità a livello territoriale e nel tempo, delle informazioni statistiche pubblicate nel Rapporto CeDAP nazionale. Rispetto alle precedenti edizioni, nel Rapporto 2013 vi è un’importante novità introdotta nel Capitolo 9, riguardante la classificazione di Robson, proposta nel Febbraio 2015 dall’Organizzazione mondiale della sanità come standard globale per la valutazione, il monitoraggio e il benchmarking longitudinale e trasversale sul ricorso al taglio cesareo. La costruzione delle classi di Robson e le successive analisi sono state realizzate grazie alle informazioni rilevate nella fonte informativa del CeDAP. La classificazione di Robson permette di analizzare e descrivere in maniera clinicamente rilevante, standard, analitica e riproducibile nel tempo e nello spazio la frequenza dei tagli cesarei. Mediante questo strumento i parti sono classificati in dieci gruppi sulla base dei principali concetti ostetrici e dei relativi parametri: parità, genere del parto, presentazione fetale, età gestazionale, modalità del travaglio e del parto e pregresso taglio cesareo. Le classi che si ottengono sono mutuamente esclusive, completamente inclusive, ripetibili nel futuro, e consentono quindi di monitorare e analizzare in un’ottica operativa i tassi di taglio cesareo tanto a livello locale che nazionale. I risultati delle analisi dei dati CeDAP permettono di studiare l’appropriatezza del ricorso al taglio cesareo nelle Regioni italiane utilizzando le classi di Robson. In particolare, la suddivisione in classi di rischio clinico, consente di individuare quelle teoricamente a minor rischio, che includono in tutte le Regioni una percentuale molto elevata delle nascite. In tali classi (parti nelle classi di Robson 1 e 3) si osserva una forte variabilità regionale del ricorso al TC. Tale variabilità si ripercuote nella diversa frequenza del cesareo pregresso nelle Regioni (parti nella classe di Robson 5). Si osservano anche significative differenze tra le Regioni nel tasso di TC, dopo un precedente parto cesareo. In generale, l’ampia variabilità del ricorso al cesareo rilevata nelle Regioni, attraverso le classi di Robson, conferma la possibilità di significativi miglioramenti delle prassi organizzative e cliniche adottate nelle diverse realtà, ai fini dell’appropriatezza del percorso nascita e della riduzione del taglio cesareo. Il Rapporto nazionale CeDAP evidenzia che la disponibilità di dati affidabili risulta essenziale per supportare le politiche di sanità pubblica. Consulta il documento “Certificato di assistenza al parto (CeDAP). Analisi dell’evento nascita – Anno 2013” (pdf, 2 Mb) Fonte: salute.gov.it
Depressione, male oscuro al quarto posto per le cause d’invalidità
Sabato 17 ottobre 2015 è la data ufficiale per l’Italia della dodicesima edizione della Giornata europea sulla depressione. Il tema di quest’anno sarà “La depressione della porta accanto”. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2001 la depressione si trovava al quarto posto fra le malattie causa di invalidità e si prevede che entro il 2020 raggiungerà il secondo posto dopo le malattie cardiovascolari. Così come per altri eventi equivalenti già esistenti per altre patologie, la Giornata europea sulla depressione consiste in una giornata informativa sulle malattie depressive e dell’umore rivolta alla popolazione generale, alla cui riuscita e divulgazione collaborano abitualmente, nelle undici edizioni avute sin dal 2004, vari psichiatri italiani (sono stati coinvolti ospedali, università, studi privati). L’associazione “EDA Italia Onlus” coordina annualmente questo evento in tutta Italia. La Giornata sulla depressione ha ottenuto in Italia il patrocinio da parte del Ministero della Salute ed anche da parte dell’Ordine dei Medici di Brescia. Diverse nazioni europee hanno un simile evento parallelo, con una propria organizzazione autonoma: in questa edizione del 2015 il “Depression Day” si svolge anche in Belgio, Francia, Germania, Spagna, UK, Republica Ceca, Slovacchia, CH, Polonia, Ungheria, Portogallo, Grecia, Lituania e Croazia. Questa giornata nasce con lo scopo principale di essere un primo passo verso una piena divulgazione che porti a dare informazioni corrette sulla natura della malattia depressiva e dei disturbi dell’umore in genere: malattie molto diffuse, spesso subdole nella loro evoluzione, che coinvolgono tutte le età e con esordio frequentemente in età giovanile. Fonte: oggisalute.it
Pugno duro contro gli esami “inutili”: oltre 200 sono a rischio
Stretta del governo contro le prescrizioni mediche “inappropriate”. Nel mirino del decreto firmato dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, sono oltre 200 prestazioni sanitarie a rischio di inappropriatezza. L’elenco è stato consegnato ieri ai sindacati che hanno 48 ore di tempo per fare le loro osservazioni tecniche da riconsegnare al ministro. Il decreto preoccupa soprattutto i medici, che rischiano sanzioni se non giustificano adeguatamente le prescrizioni, soprattutto gli esami clinici. Entro la fine della settimana, dunque, arriveranno le prime osservazioni dal Consiglio superiore di sanità, che ha già espresso parere positivo, facendo alcuni rilievi recepiti dai tecnici del dicastero. Lo schema di decreto andrà poi in Conferenza Stato-Regioni. Il giro di vite comprende centinaia di prestazioni ambulatoriali, fra cui estrazione e ricostruzione dei denti, l’applicazione di apparecchi mobili o fissi; esami di radiologia diagnostica come Tac e risonanza magnetica della colonna, degli arti superiori e inferiori, densitometria ossea. E ancora l’esame del colesterolo e esami di medicina nucleare e genetica. Ma non è finita. Altre restrizioni sono previste per gli esami del colesterolo totale e Hdl e Ldl, trigliceridi, solo in persone con più di 40 e con fattori di rischio cardiovascolare o familiarità, da ripetere a distanza di 5 anni; test allergologici; test per valutare la compatibilità in caso di trapianto (tipizzazione genomica) ed esami di dermatologia allergologica. “Il problema delle prescrizioni diagnostiche e ambulatoriali appropriate è reale – ha affermato Domenico Iscaro, presidente Anaao Assomed (Associazione medici dirigenti) – . C’è una spesa per prestazioni inappropriate, cioè non richieste da quel tipo di patologia, che viaggia intorno ai 12 miliardi. I sistemi sanitari evoluti hanno bisogno di regolamentare l’aspetto dell’appropriatezza. Bisogna trovare un punto di equilibrio che consenta al sistema di risparmiare risorse da destinare ad altri campi della Sanità. Quello che noi contestiamo è il metodo usato dal governo, la procedura scelta”. “Noi crediamo – ha proseguito Iscaro – che non si possa stabilire a priori quale esame si può fare e quale no. Voler stabilire le condizioni di derogabilità significa dividere le persone in classi. Ad esempio, se stabilisci per decreto che la risonanza magnetica in rachide si può fare solo in presenza di un dolore continuo che superi le 4 settimane, il paziente bloccato da due settimane al letto con dolori lombari sarà costretto a pagare e a farsela privatamente. Mentre chi non ha i soldi dovrà aspettare, tenendosi il dolore per 4 settimane. Un intervento a priori da parte del Governo spinge enormi quantitativi di denaro nel privato, obbliga chi non ha i soldi a non eseguire la prestazione e limita l’autonomia professionale del medico”. “Non sappiamo l’entità delle sanzioni economiche contro i medici che non si attengono a queste nuove norme –ha spiegato Iscaro-. Il paziente chiede gli esami al medico, che però gli spiega che non può prescriverglieli. A quel punto il paziente mette le mani addosso al medico oppure rinuncia a fare gli esami, oppure se lo va a fare a pagamento. Inoltre questa norma potrebbe spingere il paziente ad utilizzare il pronto soccorso, per ovviare al limite prescrittivo”. fonte: oggisalute.it
Obbligatorio vaccinarsi per andare a scuola: primo ok delle Regioni
Il presidente della Conferenza delle Regioni, Sergio Chiamparino, ha deciso di dare parere favorevole al Piano nazionale della prevenzione vaccinale 2016-2018, oggi all’esame della Conferenza Stato Regioni. Chiamparino ha chiarito che il parere favorevole è tuttavia condizionato alla proposta di apertura di un tavolo per stabilire le priorità ed i fondi necessari. In un momento in cui per le vaccinazioni si scende sotto la “soglia-rischio” del 95%, lo Stato ha il dovere – aveva spiegato il direttore generale alla Prevenzione Ranieri Guerra – di proteggere la comunità scolastica: “Se non si è garantiti dalla vaccinazione non si entra a scuola”. Il piano prevede anche possibili sanzioni ai medici che sconsigliano i vaccini. Nel testo si parla di “ricognizione continua delle possibili violazioni del supporto alla pratica vaccinale e dell’offerta attiva delle vaccinazioni da parte dei medici e del personale sanitario dipendente e convenzionato con il servizio sanitario nazionale”. Inoltre, in un altro passaggio del Piano si legge: “Ogni operatore sanitario, e a maggior ragione chi svolge a qualsiasi titolo incarichi per conto del Servizio Sanitario Nazionale, è eticamente obbligato ad informare, consigliare e promuovere le vaccinazioni in accordo alle più aggiornate evidenze scientifiche e alle strategie condivise a livello nazionale. La diffusione di informazioni non basate su prove scientifiche da parte di operatori sanitari è moralmente deprecabile, costituisce grave infrazione alla deontologia professionale oltreché essere contrattualmente e legalmente perseguibile”. Fonte oggisalute.it
Infezioni ossee, in aumento tra i giovani spesso vengono contratte in sala operatoria
Annualmente almeno 28mila sono le nuove infezioni croniche di interesse ortopedico, 32 per 100mila abitanti. Sono 138 mila i pazienti censiti con questa problematica e, ogni anno, 85mila persone tra pazienti e stretti familiari sono coinvolti: in pratica il problema è toccato direttamente da poco meno di un milione di persone in Italia. Il costo per la cura di queste patologie che sono complesse è elevato: oltre il 32% del budget dell’intera ortopedia italiana. I pazienti con infezioni ossee croniche sono prevalentemente giovani e, nell’economia sociale, sicuramente rappresentano un problema più significativo rispetto a quello di una persona anziana con problemi artrotici. “L’osteomielite è una infezione particolarmente grave che interessa l’apparato osteo-articolare, sostenuta generalmente dallo stafilococco aureo. È la manifestazione più grave delle infezioni che possono verificarsi a danno della struttura scheletrica. Non è una patologia nota alla collettività e risulta spesso sottovalutata a causa del suo decorso molto lungo: troppe volte la diagnosi non è precisa e la terapia altrettanto”, afferma Giorgio Maria Calori, presidente di carica di Estrot (European society tissue regeneration in orthopaedies traumatology) e primario di Chirurgia ortopedica riparativa dell’Istituto ortopedico Gaetano Pini. L’osteomielite può conseguire a esposizioni di gravi fratture, ma ancora molti sono i casi contratti in sala operatoria. “Questi casi sono in Italia circa 15 mila ogni anno – conclude Calori – attualmente ci sono appositi reparti, come il mio, dedicati al trattamento delle complicanze settiche, tra cui queste post-chirurgiche.” È importante che le famiglie siano informate su quali sono gli hub di riferimento per la cura delle infezioni osteoarticolari e per questo, in occasione dei 140 anni dell’azienda ospedaliera Gaetano Pini, è stato organizzato un incontro relativo al tema delle linee guida per il trattamento delle infezioni osteoarticolari e sui nuovi indirizzi in protesi dell’anca in cui sono presentati i dati più aggiornati: protocolli medico-scientifici recenti, casi clinici e, in esclusiva, le più attuali novità protesiche anche in fase di validazione con una lectio magistralis del professor Calori e una del direttore della Endo-Klinik di Amburgo, Thorsten Gehrke, che collaborano insieme a livello europeo. “Chi contrae infezioni osteoarticolari – dice Giuseppe Mineo, direttore scientifico dell’Istituto Pini – nel 90% dei casi ha una lunghissima pausa lavorativa, sia per le lunghe terapie, sia per le lunghe degenze. I centri che si occupano del trattamento specifico delle infezioni osteoarticolari sono molto pochi e logisticamente ubicati al nord. Con Anio, l’Associazione italiana infezioni osteoarticolari, abbiamo stilato un apposito protocollo finalizzato alla realizzazione congiunta di iniziative di ricerca, studio, formazione e informazione per migliorare il supporto assistenziale nell’interesse di tutti i pazienti affetti da complicanze ortopediche settiche o asettiche”. Le attuali terapie consentono di migliorare la diagnosi delle infezioni osteoarticolari, di ottimizzare i costi per la cura, mentre le nuove prospettive delle biotecnologie in ortopedia e traumatologia consentono la rigenerazione tissutale evitando in molti casi le amputazioni. L’unità di Chirurgia ortopedica riparativa (Cor) è hub nazionale, per prime e seconde opinioni, ha istituito un percorso facilitato e privilegiato per i soggetti affetti da complicanze ossee e articolari, anche con impiego di collegamenti di telemedicina. Le linee guida: Fattori di rischio: prima di tutto bisogna parlare con il paziente, capire quali sono le sue esigenze e identificare i suoi fattori di rischio. Classificazione: come secondo passo si può procedere a una classificazione delle problematiche del singolo paziente integrando tutti gli esami, compreso il profilo genetico del paziente. Esistono persone che miracolosamente guariscono senza fare niente e altri che non guariscono mai, neppure con una overcare. Oggi si sa che dipende anche dai geni e gli esperti del settore stanno lavorando per inquadrare i diversi profili genetici. Algoritmo: la terza cosa da fare è applicare l’algoritmo, che ormai viene utilizzato in molti paesi, che si fonda sui principi del diamante, del pentagono e della camera biologica (quest’ultima messa a punto al Cor del Gaetano Pini da Giorgio Maria Calori). Interventi chirurgici in hub specializzati: l’ultimo punto fondamentale è che questi interventi devono essere fatti bene e se un ospedale non ha i necessari livelli di conoscenza occorre indirizzare i pazienti nei centri specialistici, anche perché spesso si tratta di cure costose. Non necessariamente bisogna ricorrere alle biotecnologie, ma se si usano bisogna rivolgersi ai pochi centri dove c’è una grande esperienza, proprio per poter omogeneizzare i comportamenti secondo una logicità scientifica.
Alzheimer, nuove speranze da un farmaco per l’asma
Difficile dire se per l’Alzheimer sia arrivata l’ora delle malattie iscritte all’albo di quelle curabili con una semplice terapia, come fosse una bronchite, ma lo studio pubblicato sul Journal of American Medical Association lascia ben sperare per una futura cura. Un farmaco comunemente prescritto per l’asma potrebbe contenere la chiave per rallentare o addirittura invertire il deterioramento delle cellule nel cervello, segna un significativo passo avanti nella lotta per battere la demenza. La ricerca pionieristica di un team austriaco di scienziati ha scoperto in uno studio sul cervello dei ratti, il medicinale “Montelukast” che è venduto sotto il nome di “Singulair” e viene utilizzato per trattare l’asma e le allergie compresa la febbre da fieno reagisce, effettivamente invertendo il processo di invecchiamento. I risultati sono abbastanza significativi da giustificare una sperimentazione clinica su persone affette da morbo di Parkinson. Nei test sulla memoria e cognizione, i ratti più vecchi hanno ricevuto una dose orale equivalente a quello assunto da persone con asma così come per i ratti più giovani. Il neuroscienziato Ludwig Aigner, dell’Università di medicina di Paracelso a Salisburgo e i suoi colleghi hanno individuato una serie di recettori nel cervello che attivano l’infiammazione, che è legata alla malattia di Alzheimer e malattia di Huntingdon. Il team del dottor Aigner ha scoperto che il farmaco ha bloccato quei recettori. Fonte: oggisalute.it
L’ossigeno-ozono terapia contro le patologie della terza età
L’ossigeno-ozono terapia si è rivelata una cura particolarmente efficace per le patologie che colpiscono la terza età. La sua potentissima e rapida azione antinfiammatoria e antidolorifica e, contemporaneamente, la sua totale naturalità, l’hanno resa la prima scelta per molti fisiatri come sostituzione a numerosi farmaci che possono essere dannosi specie se assunti in età avanzata. L’ossigeno ozono Terapia si basa sulla somministrazione di una miscela gassosa, originata mescolando l’ozono con l’ossigeno, che agisce sul metabolismo di zuccheri, proteine, grassi, accelerando l’uso di queste molecole e migliorando le difese dell’organismo. L’azione dell’ossigeno-ozono si manifesta sulla microcircolazione e sulla macrocircolazione, favorendo l’irrorazione e l’ossigenazione di tutti gli organi, con conseguente miglioramento delle funzionalità. Oltre alla cura di numerose patologie la terapia trova applicazione e con successo, in ambito dermatologico-estetico per il trattamento di cellulite, capillari esposti, rughe, smagliature, acne, psoriasi e altri inestetismi, con un conseguente recupero psico-relazionale del paziente attraverso un miglioramento della propria immagine e qualità della vita. In Europa, così come in molte aree ricche del pianeta, una persona su 5 ha più di 60 anni. Nel 2000, nel mondo, c’erano circa 600 milioni di persone over 60 e le previsioni dicono che saranno 1,2 miliardi nel 2025, addirittura 2 miliardi nel 2050. L’invecchiamento della popolazione non è un dato da sottovalutare. Infatti, con l’aumento degli ultrasessantenni, sarà necessario anche aumentare le azioni necessarie a garantire un’elevata qualità della vita nel protrarsi del tempo. Solo in Italia, la popolazione anziana determina il 37% dei ricoveri ospedalieri e il 49% delle giornate di degenza. Inutile dire come, con l’aumentare dell’età, aumentino di conseguenza anche il rischio di patologie, in particolare quelle croniche al sistema osteo-muscolare (specialmente tra le donne). I dati parlano chiaro: l’età media dei pazienti dei centri specialistici di riabilitazione supera i 60-65 anni e il 30% degli anziani ha limitazioni motorie dovute principalmente a patologie muscolo-scheletriche e neurologiche. “La prevenzione, accompagnata da una regolare attività fisica e una sana alimentazione, dovrebbe avere inizio già durante l’età giovanile e continuare per tutta la vita. – spiega Dario Apuzzo, medico fisiatra, docente di medicina all’università La Sapienza e direttore scientifico di Salute Ok – L’ossigeno ozono terapia si rivela particolarmente efficiente nei pazienti over 60 con problemi di natura osteo-articolare o muscolo-scheletrici con dolori, o difficoltà motorie. Le applicazioni sono naturali e quindi molto indicate in questi soggetti con salute più delicata. Poiché solitamente le terapie si protraggono in un tempo più o meno lungo, è consigliabile associarle a tecniche fisioterapiche d’avanguardia studiate appositamente per il recupero delle funzionalità motorie del paziente”. Fonte: oggisalute.it
Aborto
Per quanto riguarda il 2014, per la prima volta il numero di IVG è inferiore a 100.000. Sono state notificate dalle Regioni 97.535 IVG, con un decremento del 5.1% rispetto al dato definitivo del 2013 (105.760 casi), più che dimezzate rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si è riscontrato il valore più alto in Italia. Anche gli altri indicatori confermano la continua diminuzione del ricorso alle IVG: il tasso di abortività (numero delle IVG per 1000 donne fra 15-49 anni) nel 2014 è risultato pari a 7.2 per 1000, con un decremento del 5.9% rispetto al 2013 e un decremento del 58.1% rispetto al 1982). Il valore italiano rimane tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati. Il rapporto di abortività (numero delle IVG per 1000 nati vivi) nel 2014 è risultato pari a 198.2 per 1000 con un decremento del 2.8% rispetto al 2013, e un decremento del 47.9% rispetto al 1982. Per quanto riguarda il 2013, si conferma la stabilizzazione del contributo percentuale delle donne straniere, pari al 34% delle IVG, con un tasso di abortività del 19 per 1000, pari a una tendenza tre volte maggiore di quelle italiane, in generale, e quattro volte per le più giovani. Fra le minorenni il tasso di abortività è del 4.1 per 1.000 (era 4.4 nel 2012), uno dei valori più bassi rispetto agli altri paesi occidentali. Resta costante, e la più bassa a livello internazionale, la percentuale di aborti ripetuti: il 26.8% delle IVG viene effettuata da donne con una precedente esperienza abortiva. Continuano a diminuire i tempi di attesa fra rilascio della certificazione e intervento. Il 90.8% delle IVG viene effettuato nella regione di residenza. Riguardo l’esercizio dell’obiezione di coscienza e l’accesso ai servizi IVG, si conferma quanto già osservato su base regionale e, per la prima volta, per quanto riguarda i carichi di lavoro per ciascun ginecologo non obiettore, anche su base sub-regionale: non emergono criticità nei servizi di IVG. In particolare, emerge che le IVG vengono effettuate nel 60% delle strutture disponibili, con una copertura soddisfacente, tranne che in due regioni molto piccole. Il numero dei punti IVG, paragonato a quello dei punti nascita, mostra che mentre il numero di IVG è pari a circa il 20% del numero di nascite, il numero di punti IVG è pari al 74% del numero di punti nascita, superiore, cioè, a quello che sarebbe rispettando le proporzioni fra IVG e nascite. Confrontando poi punti nascita e punti IVG non in valore assoluto, ma rispetto alla popolazione femminile in età fertile, a livello nazionale, ogni 5 strutture in cui si fa un’IVG, ce ne sono 7 in cui si partorisce. Infine, considerando le IVG settimanali a carico di ciascun ginecologo non obiettore, e considerando 44 settimane lavorative in un anno, a livello nazionale ogni non obiettore ne effettua 1.6 a settimana, un valore medio fra un minimo di 0.5 della Sardegna a un massimo delle 4.7 del Molise. Questo stesso ultimo parametro, valutato per la prima volta a livello sub-regionale (Asl/distretto), mostra che anche nelle regioni in cui si rileva una variabilità maggiore, cioè in cui si rilevano ambiti locali con valori di carico di lavoro che si discostano molto dalla media regionale, si tratta comunque di un numero di IVG settimanali sempre inferiore a dieci, cioè con un carico di IVG per ciascun non obiettore che non dovrebbe impegnare tutta la sua attività lavorativa. Il numero di non obiettori risulta quindi congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG. Anche quest’anno si è proseguito con la rilevazione dell’attività dei consultori familiari per l’IVG (colloqui pre e post IVG e certificazioni rilasciate) con un miglioramento della raccolta dati che copre il 79% dei consultori. Il numero degli obiettori di coscienza nei consultori, è molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere. Fonte: salute.gov.it13
Sport e attività fisica
Muoversi quotidianamente produce effetti positivi sulla salute fisica e psichica della persona
L’organismo umano non è nato per l’inattività: il movimento gli è connaturato e una regolare attività fisica, anche di intensità moderata, contribuisce a migliorare tutti gli aspetti della qualità della vita. Al contrario, la scarsa attività fisica è implicata nell’insorgenza di alcuni tra i disturbi e le malattie oggi più frequenti: diabete di tipo 2, malattie cardiocircolatori (infarto, miocardico, ictus, insufficienza cardiaca), tumori. Le cifre In Italia il 30% degli adulti tra 18 e 69 anni svolge, nella vita quotidiana, meno attività fisica di quanto è raccomandato e può essere definito sedentario. In particolare, il rischio di sedentarietà aumenta con il progredire dell’età, ed è maggiore tra le persone con basso livello d’istruzione e difficoltà economiche. La situazione è migliore nelle regioni del nord Italia, ma peggiora nelle regioni meridionali (Rapporto PASSI 2011). Secondo i dati ISTAT, nel 2010 in Italia il 38% delle persone da 3 anni in su ha dichiarato di non praticare, nella vita quotidiana, né sport né altre forme di attività fisica. Secondo i dati del sistema di monitoraggio Okkio alla salute, soltanto 1 bambino su 10 fa attività fisica in modo adeguato per la sua età e circa 1 bambino su 4 (26%), al momento della rilevazione, dichiarava di non aver svolto alcuna attività fisica il giorno precedente l’indagine. Come in altri paesi europei, l’attività motoria della popolazione in Italia è diminuita di pari passo con i grandi cambiamenti del lavoro e dell’organizzazione delle città. Da una parte lo sviluppo dell’automazione, anche nel lavoro domestico, e il deprezzamento sociale del lavoro manuale, dall’altra la dominanza del trasporto motorizzato e la riduzione di spazi e sicurezza per pedoni e ciclisti. Assieme a questi fattori, si sono sempre più ristretti gli spazi per il gioco libero dei bambini e per i giochi e gli sport spontanei e di squadra; queste attività hanno ora luoghi deputati la cui accessibilità è limitata ed ha un costo, non solo monetario. Inoltre, giocano un ruolo il valore che viene socialmente assegnato alle attività motorie ed altri fattori come i modelli genitoriali e il peso attribuito all’attività motoria nel curriculum scolastico. Questi ostacoli rendono difficili i comportamento motori attivi. I benefici dell’attività fisica Muoversi quotidianamente produce effetti positivi sulla salute fisica e psichica della persona. Gli studi scientifici che ne confermano gli effetti benefici sono ormai innumerevoli e mettono in luce che l’attività fisica: migliora la tolleranza al glucosio e riduce il rischio di ammalarsi di diabete di tipo 2 previene l’ipercolesterolemia e l’ipertensione e riduce i livelli della pressione arteriosa e del colesterolo diminuisce il rischio di sviluppo di malattie cardiache e di diversi tumori, come quelli del colon e del seno riduce il rischio di morte prematura, in particolare quella causata da infarto e altre malattie cardiache previene e riduce l’osteoporosi e il rischio di fratture, ma anche i disturbi muscolo-scheletrici (per esempio il mal di schiena) riduce i sintomi di ansia, stress e depressione previene, specialmente tra i bambini e i giovani, i comportamenti a rischio come l’uso di tabacco, alcol, diete non sane e atteggiamenti violenti e favorisce il benessere psicologico attraverso lo sviluppo dell’autostima, dell’autonomia e facilità la gestione dell’ansia e delle situazioni stressanti produce dispendio energetico e la diminuzione del rischio di obesità. Istruzioni per l’uso Attività fisica. Quale? Quando si parla di attività fisica non è raro incorrere nell’errore di confonderla con lo sport. Non è così. L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) la definisce come qualsiasi movimento corporeo prodotto dai muscoli scheletrici che richiede un dispendio energetico. In questa definizione rientrano quindi, non solo le attività sportive, ma anche l’attività lavorativa di coloro che svolgono un lavoro manuale e normali movimenti della vita quotidiana, come camminare, andare in bicicletta, ballare, giocare, fare giardinaggio e i lavori domestici. Per svolgere attività fisica, quindi, non è necessario trovare del tempo espressamente dedicato a questo. Si può trovare l’occasione di fare movimento in ogni momento della giornata trasformando le normali attività quotidiane, in un pretesto per fare un po’ di esercizio. Quanto muoversi? Non esiste un livello di attività fisica che sia valido per ogni persona. Né è semplice misurare la quantità di movimento svolto. Nel 2010 l’Oms ha comunque tentato di dare indicazioni chiare valide per tutti, stabilendo la quantità minima di attività fisica per tre gruppi di età: bambini e ragazzi (5 – 17 anni): almeno 60 minuti al giorno di attività moderata – vigorosa, includendo almeno 3 volte alla settimana esercizi per la forza che possono consistere in giochi di movimento o attività sportive adulti (18 – 64 anni): almeno 150 minuti alla settimana di attività moderata o 75 di attività vigorosa, con esercizi di rafforzamento dei maggiori gruppi muscolari da svolgere almeno 2 volte alla settimana anziani (dai 65 anni in poi): le indicazioni sono le stesse degli adulti, con l’avvertenza di svolgere anche attività orientate all’equilibrio per prevenire le cadute. Chi fosse impossibilitato a seguire in pieno le raccomandazioni, dovrebbe fare attività fisica almeno 3 volte alla settimana e adottare uno stile di vita attivo adeguato alle proprie condizioni. In ogni caso è stato evidenziato che in verità non esiste una precisa soglia al di sotto la quale l’attività fisica non produce effetti positivi per la salute. Risulta quindi molto importante il passaggio dalla sedentarietà ad un livello di attività anche inferiore ai livelli indicati dalle linee guida. Importante anche impegnarsi personalmente per modificare il contesto in cui si vive al fine di sostenere i cambiamenti necessari per rendere più facile l’adozione di uno stile di vita sano e attivo nella proprio città, nei luoghi di lavoro e di studio. Prevenzione su misura Bambini Per i bambini e i ragazzi la partecipazione ai giochi e ad altre attività fisiche, sia a scuola che durante il tempo libero, è essenziale per un sano sviluppo dell’apparato osteoarticolare e muscolare, il benessere psichico e sociale, il controllo del peso corporeo, il corretto funzionamento degli apparati cardiovascolare e respiratorio. Inoltre, lo sport e l’attività fisica contribuiscono a evitare l’instaurarsi di comportamenti sbagliati, come l’abitudine a fumo e alcol e l’uso di droghe. L’Oms consiglia almeno 60 minuti al giorno di attività moderata-vigorosa. Donne in gravidanza L’attività fisica non è controindicata in gravidanza. Tutt’altro. Se svolta osservando alcune accortezze può essere benefica per mamma e bambini. Aumenta infatti la capacità di trasporto nel sangue dell’ossigeno e di sostanze nutritive indispensabili per il feto. Inoltre, l’esercizio fisico aumenta l’efficienza degli apparati cardiocircolatorio e respiratorio, migliora la circolazione negli arti inferiori riducendo quindi il senso di gonfiore, riduce gli episodi di dolore, di crampi e di affaticamento. Il movimento regolare, in più, limita l’aumento del peso corporeo, diminuendo il rischio di diabete gestazionale. Tuttavia, non bisogna esagerare. Per le donne in buona salute bastano 30-40 minuti al giorno di attività fisica a bassa intensità: vale a dire passeggiate, nuoto o ginnastica dolce. Dall’ottavo mese, tuttavia, occorre prestare particolari cautele e limitarsi a eseguire esercizi per la respirazione e di rilassamento. Anziani Anche per gli anziani l’esercizio fisico è particolarmente utile. Il movimento quotidiano ritarda l’invecchiamento, previene l’osteoporosi, contribuisce a prevenire la disabilità, la depressione e la riduzione delle facoltà mentali. Previene il rischio di cadute accidentali migliorando l’equilibrio e la coordinazione. Secondo l’Oms sono sufficienti 150 minuti alla settimana di attività moderata con attività orientate all’equilibrio per prevenire le cadute. Per chi non ha tempo Non tutti possono dedicare una parte del giorno a svolgere attività fisica. Tuttavia, ciò non significa che non sia possibile svolgere la giusta quantità di movimento. Basta mantenersi attivi sfruttando ogni occasione. Per esempio è possibile: andare a lavorare o a scuola a piedi o in bicicletta quando si usano i mezzi pubblici, scendere una fermata prima e finire il tragitto a piedi non prendere la macchina per effettuare piccoli spostamenti e, quando la si usa, scegliere di parcheggiare un po’ più lontano dalla destinazione finale fare le scale e non prendere l’ascensore portare a spasso il cane fare giardinaggio o i lavori domestici andare a ballare giocare con i bambini possibilmente all’aperto o attraverso attività che richiedono movimento fisico. Persone con bisogni speciali Le persone che hanno condizioni come il diabete, l’ipertensione o l’obesità possono trarre grande giovamento dalla regolare attività fisica. Ma anche persone affette da malattie, come quelle cardiovascolari traggono beneficio dalla pratica regolare dell’attività fisica, al pari di un vero e proprio trattamento che, se svolto adeguatamente, è di aiuto nella gestione della malattia e spesso la pratica dell’attività fisica risulta almeno altrettanto efficace di interventi chirurgici o la somministrazione di farmaci non solo nella prevenzione ma anche nel trattamento di molte patologie come per esempio: insufficienza cardiaca, diabete, depressione. Le modalità e i tempi vanno sempre concordati con il proprio medico.
Tecniche per catturare il sonno ed addormentarsi più velocemente con il bagno e la dieta
Una tecnica per catturare il sonno che non arriva è anche quella di farsi un bagno. Si può mantenere l’acqua a temperatura corporea (36, 37 gradi) e rimanere immersi da 10 a 40 minuti. Un sonnifero naturale che possono sperimentare tutti, anziani compresi, perché non mette sotto sforzo il sistema cardiocircolatorio e induce un profondo rilassamento muscolare e psicofisico. Un po’ di attenzione in più per il bagno caldo, quello in cui la temperatura dell’acqua è compresa tra i 38 e i 40 gradi. Su alcune persone ha un effetto molto rilassante. Ma non deve essere prolungato oltre i 10 minuti ed è controindicato per chi soffre di pressione bassa. Un getto di acqua fredda sulle gambe invece provoca un microshock che scarica le energie della giornata. Altro metodo efficace è quello di tenere i piedi immersi nell’acqua calda. Gli specialisti di idroterapia, cioè della cura con l’acqua, propongono anche sistemi più complessi per combattere l’insonnia: da bagni caldi e freddi alternati, agli impacchi alla schiena, fino alle sedute di idromassaggio. Per l’insonnia, Messegué consiglia alla sera bagni completi a base di tiglio o un infuso leggero della stessa pianta. Oppure bagni alle mani e pediluvi con una manciata di fiori di biancospino, menta, tiglio (una manciata), per due litri di acqua. Tra i molti consigli che sono generalmente dati, anche da parte dei medici, a chi soffre d’insonnia, troviamo quelli dietetici. In genere sono suggeriti per la sera pasti leggeri, facilmente digeribili. Per ridurre al minimo l’attività digestiva sono adatte minestre o passati di verdura, succhi di frutta, verdure cotte, poco pesce o latticini oppure un solo uovo, cotto senza grassi, sughi o condimenti piccanti. È importante abituarsi la sera a pasti con molti liquidi se si soffre di insonnia, ma sempre con moderazione. Tutti gli eccessi sono sempre un errore, sia il digiuno che i pasti troppo abbondanti. L’ideale sarebbe frazionare i pasti nell’arco della giornata in modo equilibrato e non finire con il ricordarsi della propria insonnia solo poche ore prima di andare a dormire. Questo è un consiglio che è utile per tutte le attività svolte nell’arco della giornata, non solo per ciò che riguarda l’alimentazione. In linea di massima, in particolare la sera, è preferibile tutto ciò che proviene dal mondo vegetale perché facilmente digeribile, mentre gli alimenti che provengono dal modo animale richiedono processi digestivi più complessi. Ciò che mangiamo infatti richiede, al momento della digestione, un determinato sforzo. Più i cibi sono pesanti o più sono combinati in modo sbagliato, più aumenta lo sforzo degli organi impegnati nella digestione e anche del cuore. Naturalmente il pasto serale incide di più perché deve essere digerito proprio nel momento della giornata in cui si va a dormire. Come indicazione di massima, quindi, in genere chi soffre d’insonnia la sera deve evitare alimenti pesanti e malcombinati per la cena e anche quei piatti unici a base di pasta, riso, polenta, gnocchi cucinati in modo elaborato e combinati con altri ingredienti. Una manciata di pastina o di riso nella minestra di verdura è invece ammessa. Il pasto amidaceo è meglio riservarlo all’ora di pranzo, il pasto della sera può essere invece sostituito con della frutta. Se si vorrà bere del latte (è noto che un bicchiere di latte caldo concilia il sonno) sarà bene farlo lontano dalla cena, poco prima di andare a letto, a digestione già compiuta per evitare un guazzabuglio di sostanze nello stomaco, finendo con il provocare effetti contrari. L’uso delle tisane a fine pasto invece è consigliabile proprio perché non interferiscono con gli alimenti e tra l’altro possono essere usate per tutta la vita senza creare interferenze e problemi. Esistono anche alimenti che sembra favoriscano il sonno: per esempio la lattuga, la pesca, l’albicocca, la mela…, ma in questo caso non esistono regole molto sicure. Ognuno dovrà scegliere secondo le personali preferenze. Da evitare invece la sera le sostanze nervine: tè, cacao, coca-cola e anche i superalcolici. Un consiglio valido sicuramente per tutti è quello di far trascorrere più tempo possibile tra il pasto della sera e il momento di andare a dormire. E meglio andare a letto quando lo sforzo della digestione è già compiuto, a meno che la cena sia stata estremamente leggera. Con l’avanzare degli anni bisogna infine fare più attenzione a ciò che si mangia la sera perché il metabolismo è rallentato. E per finire, ecco una guida per chi è costretto a consumare uno o due pasti fuori casa. Al mattino: una mela; latte magro e 2 biscotti; un caffè o un tè. Dalle 10 alle 11: una merendina da forno; un tè. Alle 13: un panino con roast-beef (oppure mozzarella e pomodoro); uno yogurt; un succo di frutta. Dalle 16 alle 17: un pompelmo a spicchi o una pera; un bicchiere di latte magro. Cena, alle 20: zuppa di verdure (oppure insalata di verdure lesse); una trota lessa o ai ferri (con olio e limone) o petto di pollo; un pomodoro o una carota cruda in insalata; due panini (100 g) integrali; una coppetta di macedonia di frutta fresca; un bicchiere di vino. Alle 22: un bicchiere di latte magro. N.B.: nel corso della giornata, bevete acqua a volontà.
OMS: la carne lavorata nuoce gravemente alla salute, la carne rossa probabilmente.
Come l’amianto, il tabacco e l’arsenico il consumo di carne lavorata è stato classificato dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) pericoloso per la salute umana. Per la carne rossa invece non esistono ancora prove certe di cancerogenicità. Nello specifico, ci sono prove convincenti che il consumo di carni rosse (come maiale e manzo ma ma anche pollame e frattaglie) sottoposte a salatura, essiccatura e affumicatura provochi il cancro: ogni 50 grammi di carne lavorata mangiata ogni giorno aumenta il rischio di cancro colon-rettale del 18%. Diversamente per la carne rossa non lavorata, il legame con il cancro al colon, alla prostata ed al pancreas sebbene forte è ancora limitato: ribadiscono gli esperti che il rischio di tumore aumenterebbe di circa il 17% per ogni 100 grammi di carne rossa mangiata quotidianamente. Secondo le stime degli esperti circa 34mila morti per cancro ogni anno nel mondo sono dovute a diete ad alto consumo di carni lavorate, a cui se ne aggiungerebbero altri 50mila dovute a diete ad alto consumo di carni rosse (sempre ammettendo la conferma del nesso causale, ancora mancante in questo caso). Carmine Pinto, presidente dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom), invita a evitare gli allarmismi e commenta: “Per quanto riguarda le carni rosse è una questione di modalità e di quantità, non esiste una ‘soglia di esposizione’ oltre la quale ci si ammala sicuramente. Il messaggio che dobbiamo dare è che la carne rossa va consumata nella dovuta modalità, una o due volte a settimana al massimo. Il messaggio principale è invece un invito a tornare alla dieta mediterranea, che ha dimostrato invece di poter diminuire il rischio di tumore”. Più drastico il commento dell’oncologo Umberto Veronesi, che da decenni evita il consumo di carne per motivi etici e filosofici ed aggiunge : “L’identificazione certa di una nuova sostanza come fattore cancerogeno è sempre e comunque una buona notizia in sé, perché aggiunge conoscenza e migliora la prevenzione”. Fonte:medicina33.com
Come vincere la fame nervosa: quando il cibo diventa una droga.
La farne nervosa ha origine quando cessa di funzionare normalmente il meccanismo dell’appetito. Quando mangiamo viene trasmesso un segnale dallo stomaco al cervello che ci informa di quando l’appetito è stato soddisfatto. Se questa comunicazione si interrompe, il bisogno psicologico di soddisfacimento persiste anche quando il bisogno fisico è stato esaudito. Ci sono parecchie teorie sulle cause che possono dare origine alla fame nervosa: alcuni la fanno risalire a un’insoddisfazione risalente al periodo dell’allattamento o anche all’abitudine di alcune mamme di blandire i dispiaceri dei bambini con caramelle o altri dolci. Altri mettono l’accento sulle difficoltà emotive che possono spingere a rimpinzarsi come compensazione della noia, della solitudine, dell’isolamento, della frustrazione, dell’insoddisfazione, ecc. Altri ancora trovano la spiegazione in situazioni dolorose, come la depressione dovuta alla morte di una persona cara o nei conflitti irrisolti di origine affettiva risalenti all’adolescenza, o ancora nel continuo, quotidiano contatto con il cibo (il pensiero di doverlo comperare, cucinarlo, ecc), come è il caso di molte casalinghe. Comunque, in generale, la fame nervosa ha origine da un sentimento di odio verso se stessi: quanto più uno si disprezza, tanto più cerca soddisfazione nel cibo. E così, con l’inevitabile aumento di peso, si disprezza maggiormente. Come vincere la fame nervosa. Occorre un doppio intervento per spezzare questo circolo vizioso: prima di tutto bisogna scoprire le ragioni che ne scatenano l’impulso, poi bisogna riuscire a stabilire una norma di alimentazione equilibrata. Una volta trovata la causa, è necessario accettarla di buon grado, sia che si tratti di abitudini infantili sia di problemi emotivi o situazioni difficili. Il cibo è una droga per chi soffre di fame nervosa: non ne ha mai abbastanza. È però possibile ristabilire un giusto equilibrio fra desiderio e soddisfacimento di questo impulso. situazioni difficili. Dovete trovare il modo di affrontarla correttamente. Spesso questa accettazione significa mutare l’atteggiamento verso se stessi o anche cambiare genere di vita. Per riuscire a fare ciò dovrete trovare qualcosa che vi dia un nuovo interesse, che vi aiuti ad avere fiducia e rispetto per voi stessi e che vi occupi iI tempo che altrimenti passereste a mangiare o a pensare al cibo. Potreste, per esempio, occuparvi di ridipingere la casa, o scegliere un’occupazione alternativa, o iscrivervi a una scuola serale per imparare un’attività pratica o una lingua. Anche dedicarvi a una pratica sportiva non solo vi può dare un senso di conquista, ma anche farvi venire un appetito sano e genuino, piuttosto che uno illusorio. Anche lo yoga e altre discipline di meditazione vi possono aiutare ad alleviare la tensione. Per adottare un modello di alimentazione equilibrata è necessario programmare attentamente ciò che si sceglie di mangiare piuttosto che fare spuntini ogni volta che ne viene voglia. Dovreste studiare in anticipo la scelta dei pasti e il tempo impiegato a consumarli (questo eliminerà il problema di comperare e cucinare per impulso e il mangiucchiare fra un pasto e l’altro). Scegliete cibi genuini e che vi piacciano. Fate entrare abitualmente nella dieta pane integrale e frutta fresca e dite addio ai cibi ricchi di calorie come dolci e caramelle. Imparate a mangiare lentamente, gustando ogni boccone, per dare allo stomaco il tempo di digerire e al cervello quello di , ricevere il messaggio di sazietà. Prendete, porzioni moderate e non riempitevi mai il « piatto. Considerate anche l’idea di consumare i pasti in compagnia, così vi renderete conto più razionalmente di cosa e di quanto mangiate e non avvertire quel ‘ senso di solitudine che in questi casi controproducente. Un’avvertenza: molti di coloro che soffrono di fame nervosa pensano a una dieta come se fosse una soluzione. Niente di più sbagliato: seguire una dieta non fa altro che acuire il desiderio di cibo e aggiunge inoltre il senso di colpa quando non si riesce a seguirla. Si dovrebbe programmare una dieta dimagrante solo dopo avere risolto la fame nervosa. Comunque è probabile che cominciate a perdere di peso quando riuscirete a mangiare in equilibrato. Se questi rimedi non serviranno, rivolgetevi al vostro medico: la psicoterapia può aiutare a identificare le radici del_problema e mostrarvi il modo uscirne.
Quanti sono i malati rari in Italia e soprattutto come vanno assistiti?
A queste domanda cerca di rispondere Uniamo, Federazione italiana malattie rare onlus, portando avanti un progetto la cui denominazione è “Conoscere per assistere”. Secondo l’ultimo rapporto presentato alla camera sarebbero tra i 450mila e i 670mila gli italiani ad essere affetti da una rara malattia, pari all’1,1% della popolazione. Purtroppo a doverne pagare i costi economici e sociali di assistenza della persona con malattia rara sono in primo luogo le famiglie. Dallo studio infatti emerge la mancanza e la carenza di alcune prestazioni nella rete dei servizi a livello territoriale che comporta un impegno di spesa familiare che in media si aggira intorno ai 2500 euro; una spesa non indifferente e, per farvi fronte, i nuclei familiari nel 20% dei casi sono costretti a richiedere aiuti esterni: parenti e amici (10,9%), istituti di credito (6,7%) ma anche associazioni di volontariato (1,6%). Il rischio di impoverimento per le famiglie che sostengono il costo economico e sociale della malattia resta alto. Nel campo delle ricerca invece l’Italia gioca un ruolo importante. Infatti l’Italia si posiziona bene sul fronte della ricerca medico-scientifica per le malattie rare, pur in assenza di finanziamenti pubblici o di programmi dedicati: nel 2014 la Penisola è stata capofila di ventisette progetti e ha partecipato, come partner, a 123 progetti. fante:medicina33.com
Tumori della pelle: anche i Parlamentari hanno le loro macchie.
Presentati a Roma i risultati della giornata di screening sui tumori cutanei promossa da Euromelanoma, che ha coinvolto 70 parlamentari. Rappresentanti delle Istituzioni e specialisti dermatologi fanno il punto sulle strategie per contrastare i tumori della pelle in preoccupante aumento. Sotto i riflettori anche le cheratosi attiniche, lesioni tumorali precoci, che se non curate per tempo possono degenerare in tumori della pelle non-melanoma. Necessarie campagne di prevenzione basate su screening diagnostici e terapie appropriate per tutelare la popolazione e contenere i costi per il Servizio Sanitario Nazionale. Roma, 19 novembre 2014 – I tumori della pelle, in costante aumento, sono una grave mi-naccia per la salute di milioni di persone e per la sostenibilità del Sistema Sanitario Nazionale. Campagne di screening e diagnosi precoce, insieme alle nuove terapie, possono salvare migliaia di vite e favorire risparmi a lungo termine per la Sanità pubblica. Ma in Italia l’attenzione delle Istituzioni per la prevenzione dei tumori cutanei è ancora lontana dagli standard europei. Per questo, Euromelanoma, l’iniziativa europea di sensibilizzazione sui tu-mori della pelle a cui partecipano oltre 30 Paesi, ha promosso nell’aprile del 2012 uno scree-ning che ha coinvolto 70 rappresentanti del Parlamento italiano. I risultati, pubblicati di recente sul prestigioso International Journal of Dermatology, evidenziano come, in questo campo, i comportamenti della classe politica non si discostino da quelli dei cittadini: stesse abitudini, con almeno due settimane l’anno di esposizione al sole durante le vacanze, e stessi fattori di rischio con sospetto di lesioni cancerose in fase precoce, rendono sovrapponibili i dati riscontrati tra i Parlamentari e la popolazione generale. Considerando quanto emerso dallo screening, infatti, la presenza di tumori della pelle è stata riscontrata nel 14,5% del campione esaminato, e un dato particolarmente rilevante è che di questi ben il 6,5% sono risultate lesioni da cheratosi attinica, un tumore della pelle non-melanoma in fase precoce. Da qui la necessità di maggiore attenzione verso questa patologia cutanea che proprio per la sua incidenza deve essere diagnosticata per tempo attraverso appositi screening della pelle così da poter essere trattata prima della sua progressione verso una forma invasiva. Le strategie per contrastare i tumori cutanei sono state discusse a Roma, nel corso di un incontro tra rappresentanti delle Istituzioni e specialisti svoltosi alla Camera dei Deputati. «L’obiettivo dello screening sui parlamentari è stato quello di sensibilizzare i decisori politici e richiamare la loro attenzione sull’importanza di promuovere campagne di prevenzione», af-ferma Ketty Peris, Direttore della Clinica Dermatologica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e Presidente di Euromelanoma Italia. «Al termine dello screening abbiamo rilevato una percentuale di lesioni sospette comparabile a quelle riscontrate nella popolazione generale. Anche questa iniziativa dimostra che è forte l’esigenza d’informazione e preven-zione: prevenire le lesioni e i tumori della pelle è più facile e meno costoso rispetto ad altre patologie ed è opportuno che le Istituzioni identifichino strategie mirate a trovare risorse da allocare in questo settore». In poco meno di un ventennio sono quasi triplicati i nuovi casi di melanoma, il cancro cutaneo più conosciuto e terza diagnosi di carcinoma più frequente sopra i 45 anni di età. Meno ag-gressivi e conosciuti, ma molto più diffusi tra la popolazione generale, sono i tumori non-melanoma della pelle (non-melanoma skin cancer) che rappresentano complessivamente il 19,9% di tutti i tipi di tumore. I nuovi casi stimati per il 2014 sono ben 42.600 tra gli uomini e 30.300 tra le donne nel 2014, (I Numeri del Cancro in Italia 2014, AIOM-AIRTUM). Le lesioni cancerose in fase precoce, le cosiddette cheratosi attiniche, che possono precedere il carcinoma squamocellulare, sono in costante aumento, in Italia colpiscono circa l’1,4% della popolazione sopra i 45 anni, vale a dire oltre le 360.000 persone, e il 3% dopo i 74 anni, ovvero oltre 180.000 persone (Censimento popolazione, ISTAT 2011). La principale causa è la radiazione UVB dei raggi solari che induce una mutazione specifica del DNA cellulare e chi ne è affetto ha una probabilità 10 volte maggiore di sviluppare un carcinoma squamocellulare nei 12 mesi successivi se paragonato al resto della popolazione, (Wolf et al., Int. J. Dermatol. 2013); i pazienti oltre i 65 anni hanno un rischio 6 volte superiore di sviluppare tale tumore cutaneo rispetto a chi non è affetto da cheratosi attinica (Traianou et al., BJD 2012). Per questo è fondamentale trattare la cheratosi attinica come una lesione che può evolvere in un tumore cutaneo invasivo non-melanoma: in tal senso questa patologia può essere consi-derata un indicatore prezioso dell’aumento di rischio generale del carcinoma cutaneo. La diagnosi precoce dei tumori della pelle è fondamentale per ottenere una prognosi favore-vole e aumenta le chance di successo delle nuove terapie per il trattamento delle patologie tumorali e pretumorali. «Il valore aggiunto delle nuove opzioni terapeutiche, come per esempio l’ingenolo mebutato per il trattamento della cheratosi attinica, è che non si limitano a curare le lesioni e le zone circostanti, dimostrando peraltro una solida efficacia, ma agiscono anche in chiave di prevenzione, dal momento che sono in grado di trattare anche le lesioni che non si vedono a occhio nudo – sottolinea Giovanni Pellacani, Professore ordinario di Dermatologia e Direttore della Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia – la brevità del ciclo terapeutico favorisce una maggiore aderenza al trattamento con un beneficio in termini di efficacia. Sappiamo, infatti, che in dermatologia quanto più le terapie si prolungano nel tempo tanto meno il paziente aderisce ed è più propenso ad abbandonare le cure». Le terapie innovative oggi danno risposte concrete ai bisogni dei pazienti con farmaci non solo efficaci ma pratici e ben tollerati a beneficio della qualità di vita. «Contro la cheratosi attinica, seconda patologia per diffusione, LEO Pharma quest’anno ha reso disponibile anche sul mercato italiano una nuova molecola, ingenolo mebutato, l’opzione terapeutica più rapida, efficace e facile da usare, unico farmaco per la cheratosi attinica completamente rimborsato dal Servizio Sanitario Nazionale», afferma Paolo Cionini, General Manager LEO Pharma Italia. «La nostra azienda ricerca da sempre soluzioni all’avanguardia in campo dermatologico attraverso un’intensa attività di ricerca: oltre il 14% del fatturato è investito in ricerca e svi-luppo dei nuovi farmaci e soluzioni terapeutiche, con un approccio che mette sempre al centro i pazienti e le loro esigenze quotidiane». Le ricadute delle nuove opzioni terapeutiche sono quindi importanti non solo per i pazienti e per la comunità scientifica, ma anche per le necessità di risparmio del Sistema Sanitario. «Vi-sta l’importanza dei tumori della pelle in termini di epidemiologia, l’allungamento della vita me-dia della popolazione comporterà un progressivo incremento dell’incidenza di tali patologie – osserva Giorgio Colombo, Docente di organizzazione Aziendale, Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università degli Studi di Pavia – tutto ciò determina un rilevante impatto in termini di costi assistenziali e numero di ricoveri ospedalieri. In quest’ottica, il contenimento dei costi è affidato non solo alle politiche di prevenzione che rappresentano un’alternativa a una costosa, spesso tardiva, cura degli individui, ma anche alle nuove terapie, che consentono di risparmiare risorse negli ospedali e nelle strutture pubbliche visto che, a differenza di altre opzioni terapeutiche, richiedono un’applicazione di breve durata e totalmente domiciliare». Fonte: medicina33.com Per informazioni: Ufficio stampa – Pro Format Comunicazione Tel. 06 5417 093 Daniela Caffari: cell. 346 6705534 Daniele Pallozzi: cell. 348 9861217 ufficiostampa@proformatcomunicazione.it
Bambino e male agli occhi, cosa fare ?
Come ci si deve comportare se un bambino dice che gli fanno male gli occhi, se stringe le palpebre per guardare lontano, se accusa spesso mal di testa, se a scuola si avvicina troppo alla lavagna?
C’è da preoccuparsi se un bambino dice che gli fanno male gli occhi ? « Direi senz’altro di sì. Il dolore oculare può essere legato a una anomalia funzionale o a un disturbo organico oculare vero e proprio oppure può essere legato a cause esterne. Il bambino può avere una sinusite di un seno frontale e, poiché lateralmente al seno frontale passa la terza branca del trigemino che innerva l’occhio, la sinusite frontale si irradia alla terza branca del trigemino, dando luogo a una nevralgia del trigemino, e l’occhio è il primo a risentirne con un dolore oculare anche abbastanza forte. Anche una cefalea, un mal di testa, legati a cause extraoculari danno luogo, sempre per tutta questa serie di fenomeni, a disturbi oculari di tipo nevralgico. il dolore può invece, come abbiamo detto, essere legato a malattie oculari di tipo organico o di tipo funzionale. Malattie oculari vere e proprie, di tipo organico, possono essere un fatto oculare infiammatorio, una iridociclite, una banale congiuntivite sia contagiosa di tipo virale sia di tipo infettivo catarrale. Il dolore oculare legato ad anomalie funzionali è un vizio di rifrazione, un astigmatismo, una ipermetropia, una miopia che, non trattate, danno luogo a un dolore oculare da sforzo, da cattiva visione. » E se il bambino stringe le palpebre per guardare un oggetto lontano? « II classico segno di stringere le palpebre per guardare lontano è caratteristico di quel bambino che è miope e quindi cerca di mettere a fuoco per la visione da lontano; la sua miopia potrà essere semplice o essere associata ad astigmatismo. » Un mal di testa molto frequente in un bambino in età scolare può significare un difetto della vista? « Senz’altro. Ci sono vizi di rifrazione, la miopia, l’astigmatismo, l’ipermetropia soprattutto, che possono dar luogo, oltre che a un difetto della visione, a un deficit della messa a fuoco. Il difetto di miopia è facilmente individuabile perché, non vedendo da lontano, il bambino strizza gli occhi, si avvicina alla lavagna per leggere; il difetto di ipermetropia di medio grado è invece più difficilmente individuabile perché, in questo caso, il bambino vede bene ma compie uno sforzo enorme per vedere (l’occhio è più corto e il fuoco cade al di fuori della retina) e questo sforzo enorme si può tradurre in un mal di testa. Prima di fare qualsiasi altro esame, prima di un elettroencefalogramma, prima di una radiografia del cranio, è opportuno sottoporre il bambino che ha frequenti mal di testa a una visita oculistica. » I difetti della vista nei bambini piccoli possono influenzare anche lo sviluppo della loro personalità? « In un bambino in età prescolare può succedere. Dobbiamo però distinguere tra difetto della vista di tipo funzionale e di tipo organico, tra alterazione monolaterale (che interessa cioè un solo occhio) e bilaterale. Un bambino con un deficit funzionale monolaterale, se si trova in un ambiente sano, con genitori attenti, non subirà influenze negative neanche al momento di iniziare la scuola. Lo sviluppo psichico di un bambino con un difetto bilaterale, magari legato a una cataratta, a un glaucoma, a una lesione della retina, risulterà senz’altro più delicato perché egli non sarà in grado di condurre una vita normale. Tuttavia vorrei sottolineare che, anche questo bambino, ben curato, ben trattato, potrà seguire corsi di studio e prepararsi per una professione. Se invece, per mancanza di cure, resterà un subvedente o addirittura un cieco, le conseguenze oltre che per lui saranno gravissime per la comunità in cui non sarà in grado di inserirsi. » Le comuni malattie infantili possono causare un danno alla vista? « Un danno permanente alla vista, no; possono invece, specialmente le forme virali, il morbillo, provocare delle alterazioni oculari transitorie che vengono curate e guariscono tranquillamente. » Che cosa devono fare i genitori per controllare le capacità visive dei loro figli piccoli? « Vi è un test banalissimo e molto semplice che qualsiasi genitore può fare in casa. Si prende un cartellone con dei disegni, alcuni grossi e altri più piccoli, e lo si mette alla distanza in cui il genitore lo vede ancora bene, ma al limite; si prende il bambino, lo si mette davanti al cartellone alla stessa distanza e gli si chiude, con la mano, prima un occhio e poi l’altro. Se il bambino vede bene con l’occhio rimasto aperto non ha nessuna reazione, se vede male con l’occhio rimasto aperto, ha una reazione di rigetto e cercherà di allontanare la mano che gli ostruisce l’altro occhio. A questo punto il genitore capirà che è necessaria una visita oculistica. » Quali sono gli esami clinici che si devono fare per accertare gli eventuali disturbi visivi? « Gli esami clinici vengono fatti durante la visita oculistica che si svolge in modo diverso a seconda dell’età del bambino. L’esame oftalmologico nel primo anno di vita comprende: l’esame del comportamento globale del bambino, l’esame degli annessi oculari (le palpebre, la motilità palpebrale), l’esame del segmento anteriore dei mezzi diottrici (i riflessi, la cornea, il cristallino), l’esame del fondo oculare, l’esame della motilità oculare ed eventualmente l’esame del tono oculare che si effettuerà digitalmente. Al terzo anno di vita, oltre agli esami elencati, si effettueranno l’esame della acutezza visiva, la oftalmometria, l’esame della visione binoculare, l’esame della fissazione, l’esame del senso cromatico ed eventualmente l’esame della rifrazione in cicloplegia atropinica. Questo ultimo esame è noioso sia per i bambini che per i genitori; è però l’unico che in alcune situazioni permette di dire se vi sia o no un vizio di rifrazione. » Questi esami sono dolorosi? « Non sono assolutamente dolorosi e possono essere affrontati come un gioco se a ciò collaborano l’oculista e l’ortottico. » Fonte: medicina33.com
Hiv e Aids
L’Aids è la malattia da immunodeficenza acquisita causata dal virus Hiv che attacca il sistema immunitario e rende la persona più suscettibile alle infezioni e alla formazione di tumori Aids (Acquired immune deficiency sindrome) significa “sindrome da immunodeficienza acquisita”. Nelle persone malate di Aids le difese immunitarie normalmente presenti nell’organismo sono fortemente indebolite a causa di un virus denominato Hiv (Human immunodeficiency virus) e non sono più in grado di contrastare l’insorgenza di infezioni e malattie, più o meno gravi, causate da altri virus, batteri o funghi (infezioni/malattie opportunistiche). E’ questo il motivo per cui l’organismo di una persona contagiata subisce malattie e infezioni che, in condizioni normali, potrebbero essere curate più facilmente. L’infezione non ha una propria specifica manifestazione, ma si rivela esclusivamente attraverso gli effetti che provoca sul sistema immunitario. Una persona contagiata dal virus viene definita sieropositiva all’Hiv. In questa fase viene riscontrata la presenza di anticorpi anti-Hiv, ma non sono ancora comparse le infezioni opportunistiche. In questo periodo il soggetto può aver bisogno di farmaci antiretrovirali che combattono l’infezione. Pur essendo sieropositivi, è possibile vivere per anni senza alcun sintomo e accorgersi del contagio solo al manifestarsi di una malattia opportunistica. Sottoporsi al test della ricerca degli anticorpi anti-Hiv è, quindi, l’unico modo di scoprire l’infezione. L’introduzione di terapie antiretrovirali (Haart), che riducono e bloccano la replicazione virale, ha migliorato la qualità di vita e prolungato la sopravvivenza delle persone sieropositive. Come si trasmette Il virus dell’Hiv è presente nei seguenti liquidi biologici: sangue liquido pre-eiaculatorio sperma secrezioni vaginali latte materno Il virus si trasmette quindi attraverso: sangue infetto (stretto e diretto contatto tra ferite aperte e sanguinanti, scambio di siringhe) rapporti sessuali (vaginali, anali, orogenitali), con persone con Hiv, non protetti dal preservativo da madre con Hiv a figlio durante la gravidanza, il parto oppure l’allattamento al seno Trasmissione attraverso il sangue A partire dal 1985 la selezione dei donatori di sangue, mirata all’individuazione di comportamenti a maggior rischio di esposizione al virus responsabile dell’Aids e lo screening delle unità di sangue, effettuata attraverso la ricerca di anticorpi specifici anti-Hiv, con l’uso di metodiche validate e kit appositi, hanno ridotto il rischio di contagio attraverso le terapie emotrasfusionali. Il miglioramento delle metodiche in linea con le conoscenze scientifiche ha di fatto contribuito in breve tempo all’abbattimento del rischio di contagio trasfusionale con Hiv. La trasmissione attraverso il sangue rappresenta, invece, la principale modalità di contagio responsabile della diffusione dell’infezione nella popolazione dedita all’uso di droga per via endovenosa. L’infezione avviene a causa della pratica, diffusa tra i tossicodipendenti, di scambio della siringa contenente sangue infetto. Con la stessa modalità è possibile la trasmissione sia dell’Hiv che di altri virus tra i quali quelli responsabili dell’epatite B e C, infezioni anch’esse molto diffuse tra i tossicodipendenti. Trasmissione sessuale La trasmissione sessuale è nel mondo la modalità di trasmissione più diffusa dell’infezione da Hiv. I rapporti sessuali, sia eterosessuali che omosessuali, non protetti dal profilattico possono essere causa di trasmissione dell’infezione. Tale trasmissione avviene attraverso il contatto tra liquidi biologici infetti (secrezioni vaginali, liquido pre-eiaculatorio, sperma, sangue) e mucose, anche integre, durante i rapporti sessuali. Ovviamente tutte le pratiche sessuali che favoriscano traumi o lesioni delle mucose possono provocare un aumento del rischio di trasmissione. Per questo motivo i rapporti anali sono a maggior rischio: la mucosa anale è, infatti, più fragile e meno protetta di quella vaginale e quindi il virus può trasmettersi più facilmente. Ulcerazioni e lesioni dei genitali causate da altre patologie possono far aumentare il rischio di contagio. I rapporti sessuali non protetti possono essere causa di trasmissione non solo dell’Hiv. Esistono, infatti, oltre 30 infezioni sessualmente trasmissibili (IST). Il coito interrotto non protegge dall’Hiv, così come l’uso della pillola anticoncezionale, del diaframma e della spirale. Le lavande vaginali, dopo un rapporto sessuale, non eliminano la possibilità di contagio. Trasmissione verticale e perinatale (da madre a figlio) La trasmissione da madre sieropositiva al feto o al neonato può avvenire durante la gravidanza, il parto o l’allattamento al seno. Il rischio per una donna sieropositiva di trasmettere l’infezione al feto è circa il 20% (cioè 1 su 5). Oggi è possibile ridurre questo rischio al di sotto del 4% se viene somministrata la terapia antiretrovirale alla madre durante la gravidanza e al neonato per le prime sei settimane di vita. Per stabilire se è avvenuto il contagio il bambino deve essere sottoposto a controlli in strutture specializzate per almeno i primi due anni di vita. Tutti i bambini nascono con gli anticorpi materni. Per questa ragione, il test Hiv effettuato sul sangue di un bambino nato da una donna sieropositiva risulta sempre positivo. Anche se il bambino non ha contratto l’Hiv gli anticorpi materni possono rimanere nel sangue fino al diciottesimo mese di vita, al più tardi entro i due anni. Il bambino viene sottoposto a test supplementari per verificare se è veramente portatore del virus o se ha ricevuto solo gli anticorpi materni. Come non si trasmette Il virus non si trasmette attraverso: strette di mano, abbracci, vestiti baci, saliva, morsi, graffi, tosse, lacrime, sudore, muco, urina e feci bicchieri, posate, piatti, asciugamani e lenzuola punture di insetti. Il virus non si trasmette frequentando: palestre, piscine, docce, saune e gabinetti scuole, asilo e luoghi di lavoro ristoranti, bar, cinema e locali pubblici mezzi di trasporto. Sintomi e segni L’infezione da Hiv si può dividere in tre stadi: infezione acuta (persona Hiv positiva) stadio di latenza clinica (anche se non si hanno sintomi il virus continua a replicarsi nelle cellule e può essere trasmesso attraverso comportamenti a rischio) che dura in media 5-6 anni stadio sintomatico, in cui la sindrome inizia a manifestarsi con infezioni opportunistiche (Aids). La persona Hiv-positiva, non malata, può non mostrare alcun sintomo per molto tempo, da pochi mesi a 10-15 anni. L’evoluzione dallo stadio di sieropositività all’Aids è dovuta al progressivo indebolimento del sistema immunitario, a causa del costante e continuo attacco del virus Hiv sui linfociti T. L’Aids è la fase pienamente sintomatica dell’infezione da Hiv, durante la quale si manifestano le maggiori infezioni opportunistiche o tumori HIV-correlati. Nelle fasi iniziali della malattia si possono accusare sintomi simili a quelli di un raffreddore o di una leggera influenza: febbre, eruzioni cutanee, stanchezza, dolori muscolari, mal di testa. Si può osservare un aumento di volume dei linfonodi, dolorabili alla palpazione. Possono essere presenti sintomi gastroenterici, come nausea, vomito, diarrea e aumento di fegato e milza. Il grado di danno al sistema immunitario di una persona viene misurato attraverso la conta dei linfociti CD4 presenti nel sangue. Queste cellule sono molto importanti per la funzione del sistema immunitario. In una persona sana il valore dei linfociti CD4 è tra le 500 e le 1500 cellule per ogni microlitro (µl) di sangue. Complicanze Le complicanze dell’Aids sono dovute all’abbattimento delle difese immunitarie della persona malata. Con il passare del tempo, infatti, la malattia rende più vulnerabili ed è più facile essere aggrediti da infezioni opportunistiche (le infezioni che approfittano di un sistema immunitario indebolito) causate da germi, che normalmente non provocano malattie in una persona sana. Le infezioni opportunistiche più frequenti sono: infezioni virali come herpes simplex, herpes zoster, infezione da citomegalovirus infezioni causate da parassiti come la polmonite da pneumocisti carinii, la toxoplasmosi Infezioni batteriche come meningiti, tubercolosi, salmonellosi. Infezioni fungine come l’esofagite (un’infiammazione dell’esofago), la candidosi o il mughetto. In fase terminale il sistema immunitario è talmente compromesso da non riuscire più a respingere ed evitare gravi malattie potenzialmente letali, come i tumori (linfomi, sarcoma di Kaposi ecc.) Diagnosi Per sapere se si è stati contagiati dall’Hiv è sufficiente sottoporsi al test specifico per la ricerca degli anticorpi anti-Hiv che si effettua attraverso un normale prelievo di sangue. Il test dell’Hiv è in grado di identificare la presenza di anticorpi specifici che l’organismo produce nel caso in cui entra in contatto con questo virus. Se si sono avuti comportamenti a rischio è bene effettuare il test dopo 3 mesi (periodo finestra) dall’ultimo comportamento a rischio. Tale periodo di tempo è necessario all’organismo per sviluppare gli anticorpi specifici contro l’Hiv. E’ opportuno fare sempre riferimento alla valutazione del medico che prescrive l’esame o del medico del Centro diagnostico-clinico, in quanto il periodo finesta potrebbe variare a seconda della tipologia del test utilizzato. Bisogna tenere presente che durante il periodo finestra (periodo di tempo che va dal momento del contagio a quello della comparsa degli anticorpi) è comunque possibile trasmettere il virus pur non risultando positivi al test. La Legge italiana (135 del giugno 1990) garantisce che il test sia effettuato solo con il consenso della persona. Il test non è obbligatorio, ma se si sono avuti comportamenti a rischio sarebbe opportuno effettuarlo. Per eseguire il test, nella maggior parte dei servizi, non serve ricetta medica; è gratuito e anonimo. Le persone straniere, anche se prive di permesso di soggiorno, possono effettuare il test alle stesse condizioni del cittadino italiano. Per tutte le coppie che intendono avere un bambino sarebbe opportuno sottoporsi al test per la sicurezza del neonato. Il risultato del test viene comunicato esclusivamente alla persona che lo ha effettuato. Sapere precocemente di essere sieropositivi al test dell’HIV consente di effettuare tempestivamente la terapia farmacologica che permette oggi di migliorare la qualità di vita e vivere più a lungo. Per approfondire leggi il Documento di consenso sulle politiche di offerta e le modalità di esecuzione del test per Hiv in Italia. Terapia Per il trattamento della malattia, oggi vengono utilizzate terapie combinate High Aggressive Antiretroviral Therapy (HAART), che consistono nell’associazione di più farmaci e permettono un abbassamento della carica virale. Ciò consente alla persona con Hiv di avere una migliore qualità di vita e una maggiore prospettiva di vita. Anche in caso di Aids conclamato, è possibile una regressione dell’infezione ad una fase di latenza clinica. La terapia utilizzata per le persone sieropositive, introdotta in Italia a partire dal 1996, deve essere mirata per ogni singola persona con Hiv e va concordata con il medico infettivologo che segue la persona. Prevenzione Il virus dell’Hiv si trasmette attraverso il sangue infetto e i rapporti sessuali; è quindi opportuno: usare il preservativo rispettare alcune norme igieniche particolari. Nei rapporti sessuali il preservativo è l’unica reale barriera protettiva per difendersi dall’Hiv. L’uso corretto del profilattico può annullare il rischio di infezione durante ogni tipo di rapporto sessuale con ogni partner. Non vanno usati lubrificanti oleosi (vaselina, burro) perché potrebbero alterare la struttura del preservativo e provocarne la rottura. E’ necessario usare il preservativo all’inizio di ogni rapporto sessuale (vaginale, anale, orogenitale) e per tutta la sua durata.Anche un solo rapporto sessuale non protetto potrebbe essere causa di contagio. Per un uso corretto del profilattico è importante: leggere le istruzioni accluse indossarlo dall’inizio alla fine del rapporto sessuale usarlo solo una volta srotolarlo sul pene in erezione, facendo attenzione a non danneggiarlo con unghie o anelli conservarlo con cura: lontano da fonti di calore (cruscotto dell’auto ed altro) e senza ripiegarlo (nelle tasche, nel portafoglio). La pillola, la spirale e il diaframma sono metodi utili a prevenire gravidanze indesiderate, ma non hanno nessuna efficacia contro il virus dell’Hiv. L’uso di siringhe in comune con altre persone sieropositive costituisce un rischio di contagio pertanto è necessario utilizzare siringhe sterili. Sarebbe opportuno sottoporsi ad agopuntura, mesoterapia, tatuaggi e piercing utilizzando aghi monouso e sterili. Le trasfusioni, i trapianti di organo e le inseminazioni, nei Paesi europei, sono sottoposti a screening e ad accurati controlli per escludere la presenza dell’Hiv.
Pesce truccato con il collirio e l’ammoniaca e venduto per fresco. Come riconoscere il pesce fresco?
Per riconoscere il pesce fresco esistono facili accorgimenti. L’occhio deve essere sporgente e lucentissimo. Qualcuno afferma che in certi ristoranti e presso alcuni pescivendoli si usa mettere qualche goccia di collirio nell’occhio del pesce, per farlo apparire freschissimo… Forse non è vero, ma certo è che con il pesce non si sta mai abbastanza attenti. Anche le squame devono essere lucenti, le branchie dal rosa vivo al rosso chiaro, mai però rosso scuro o brunastro. La carne deve essere soda al tocco. Se il pesce è merluzzo, dentice, cefalo o orata, deve avere il ventre bianco e fermo. La tendenza al giallo nella colorazione è indice di poca freschezza. Beninteso, il pesce non deve avere odore sgradevole. Se nella pescheria in cui intendete fare acquisti avvertite odore di ammoniaca, non acquistate: vuol dire che vi si vende pesce non fresco. La sogliola, la razza, il rombo devono essere rosati attorno alla bocca e ricoperti di una materia viscosa che li rende molto scivolosi tra le mani, tanto da far risultare difficoltosa l’operazione di pulitura. Quando la sogliola è troppo asciutta, vuol dire che non è fresca. Gli scampi sono un piatto delizioso e appetitoso: devono essere di un colore rosa sgargiante. Se nella parte sotto la coda troverete macchioline scure, non acquistateli. Non sono freschi e, una volta cotti, sapranno di ammoniaca. I gamberetti di mare devono essere ancora vivi quando li comperate, lucidi e di un colore grigio perla scuro. Non prendeteli mai già morti, soprattutto se il colore è un rosa carico. Sono decisamente vecchi. Anche le aragoste vanno acquistate soltanto vive. Sono crostacei molto costosi: non fatevi quindi tentare dal pescivendolo che ve le offre a un prezzo « speciale », assicurandovi che hanno appena smesso di respirare! Butterete via denaro e mangerete male. Seppie, calamari e polpi devono avere l’occhio lucido e la carne molto brillante. Il nero inchiostro delle seppie non deve essere opaco. I frutti di mare devono essere sempre ermeticamente chiusi e pieni di acqua di mare. Anche per i pesci conviene trovare un pescivendolo di fiducia: vi pulirà sempre il pesce con cura, vi dirà qual è la stagione più indicata per ogni tipo di pesce, e non vi imbroglierà nell’acquisto. Tenete comunque presente che, se volete la garanzia di mangiare pesce fresco, vi conviene senz’altro acquistare quello surgelato. Il procedimento usato nelle grandi industrie è quello di surgelare il pesce appena pescato, a bordo delle imbarcazioni stesse.
Igiene del sonno: quali sono le abitudini per un sonno salutare nei giovani e negli anziani?
C’è chi ricorre ai sonniferi, alla tisana di camomilla, alla compressa di ansiolitico o al bicchiere di latte tiepido. Pochi considerano che bisogna, prima di tutto, rendere l’ambiente della stanza da notte comodo e più razionale il letto. Ancora meno sono quelli che mostrano preoccupazione per il materasso o il tipo di cuscino da mettere sotto la testa. Insomma, ci sono gli insonni per un “disguido interno”, ma ci sono anche quelli che passano le ore della notte in una sorta di dormiveglia, perché hanno riservato poca attenzione a fattori esterni. Letti, materassi, cuscini, abbigliamento inadatto possono rappresentare una minaccia per il sonno e giocare un ruolo non indifferente come elemento scatenante di dolori latenti della colonna vertebrale. In molti casi per dormire bene è sufficiente modificare lo stile di vita. Se un soggetto svolge un lavoro sedentario, e trascorre le ore libere davanti al televisore, è ovvio che trovi difficoltà a prendere sonno: La pratica di uno sport può essere di grande aiuto per vincere l’insonnia, purché l’esercizio venga fatto durante il giorno e non prima di andare a letto. I giovani devono imparare a non coricarsi troppo tardi. Gli anziani non devono incorrere nell’errore di coricarsi troppo presto. I neuropsichiatri raccomandano di non stare a lungo svegli nel letto durante la notte: conviene alzarsi e impegnarsi in una occupazione calma e riposante (una lettura, l’ascolto di una musica distensiva). Non è consigliabile guardare la televisione a letto e conviene evitare “pisolini” durante il giorno. Dopo pranzo è preferibile una pausa di relax in poltrona, chiacchierando o passeggiare lentamente, piuttosto che infilarsi sotto le lenzuola. Innanzitutto sarà bene cercare di coricarsi e di svegliarsi possibilmente ad orari fissi, evitando di voler riposare più di quanto si è portati a fare. Mangiare poco di sera per non appesantirsi e non mettersi a letto subito dopo mangiato. Evitare gli alcolici che, dopo un iniziale stordimento, disturbano la continuità del sonno. Evitare di pensare ai problemi del giorno appena trascorso. Un po’ di movimento prima di sedersi a tavola aiuta a scaricare la tensione fisica. Come pure un materasso confortevole, adeguatamente duro ma non troppo. Per un buon relax, ottimo il bagno caldo serale seguito da una tisana o da un bicchiere di latte. Non ostinarsi a voler dormire quando il sonno non arriva o si interrompe. Mantenere la camera ad una temperatura di circa 20 gradi ed evitare il più possibile i rumori esterni facendosi montare i doppi vetri o insonorizzando l’ambiente. Un buon massaggio rilassante che interessi anche la testa, può essere di grande aiuto. Bisognerebbe arrivare alla sera con una stanchezza “sana”, senza strafare, naturalmente: camminate non faticose, magari con la scusa di qualche cosa da comperare o per portare fuori il cane. L’ideale sarebbe un paio d’ore di passeggiata: mezz’ora per andare e mezz’ora per tornare, due volte al giorno. Se l’insonnia è ribelle a tutti i trucchi la causa potrebbe essere un problema psicologico o una vera e propria malattia psichiatrica, neurologica. È bene allora che l’insonne si rivolga a uno specialista del sonno, che dopo i necessari accertamenti diagnostici potrebbe anche suggerire il trattamento farmacologico. Sembra una contraddizione ma contro l’insonnia spesso è efficace una terapia restrittiva del sonno. Chi soffre di questo disturbo tende a pensare di avere dormito meno a lungo del reale. Appunto contro simili disagi, può risultare valida questa terapia. Il principio è semplice: bisogna limitare il tempo di permanenza a letto soltanto al numero di ore di sonno che si pensa di poter totalizzare. La continuità del sonno andrà via via migliorando permettendo di aumentare gradualmente il tempo di permanenza a letto. Questo consiglio è del prof. Arthur Spielman, direttore del centro per la cura dei disturbi del sonno del City College di New York: si tratta della terapia della restrizione. Il segreto è quello di consentire al paziente solo un breve periodo di tempo a letto. Un esempio: ad una persona che si mette a dormire verso la mezzanotte e non riesce a prendere sonno fino alle quattro, ma rimane a letto fino alle otto del mattino, il prof. Spielmann consente di andare a dormire solo alle quattro del mattino e di stare a letto fino alle otto. Se siete fumatori cercate di non fumare nell’ora che precede il sonno: la nicotina infatti è uno stimolatore del sistema nervoso centrale. Resistere alla “tentazione” dei riposini pomeridiani con i quali si peggiora l’insonnia notturna. Coricarsi e svegliarsi in un orario che andrebbe grosso modo mantenuto. Sottrarsi alle discussioni accese e prolungate nelle ore che precedono il sonno. Evitare di “sonnecchiare” mentre si guarda la televisione perché rende più difficile poi il riaddormentarsi. Mantenere la camera da letto fresca, buia e silenziosa. Stabilire un limite per addormentarsi, per esempio, 20 minuti. Superato questo tempo è opportuno alzarsi. Leggete la sera a letto, ma non scegliete un libro giallo o poliziesco con della suspense che vi terrebbe svegli. Ci vuole un libro facile da leggere, con pochi dialoghi e molte descrizioni, che vi tranquillizzi e rassicuri. Una solida tradizione afferma che bisogna orientare il letto con la testa al nord e i piedi al sud. Se non si può, almeno la testa ad est ed i piedi a ovest. Se dormite male senza ragione apparente, tentate anche questo. Se siete troppo stanchi per uscire, fate un buona provvista d’aria. Spegnete la luce, spalancate la finestra e mettetevi all’aria vestiti il meno possibile. Fate un massaggio al corpo con unguento di crine. Respirate lungamente col naso. Un bagno caldo prima di pranzo distende sempre e favorisce il sonno. Prendetelo a 38 gradi. Mettete una compressa d’acqua fredda sulla fronte. Aggiungete acqua calda alternandola a quella fredda. Il sonno è associato alla sensazione di sicurezza e non dormirete veramente bene soltanto se vi sentite totalmente rassicurati. I rumori della natura: rumore del vento tra i rami, della pioggia, di un torrente, del mare, sono sempre rassicuranti. Esistono rumori di questo tipo registrati. Fonte: medicina33.com
Gravidanza, corretta alimentazione
Una buona alimentazione in gravidanza è importante per garantire la salute della mamma e del nascituro
La qualità dell’alimentazione materna durante la gravidanza è uno dei fattori che può influenzare in maniera significativa la salute della gestante durante tale periodo e quella del nascituro. È quindi opportuno prestare attenzione all’alimentazione della futura mamma, già a partire dal periodo pre-concezionale, cioè prima del concepimento, fino a tutto il periodo in cui il bambino verrà allattato al seno.
Ecco una serie di consigli dedicati alla donna in gravidanza per mangiare bene e in modo sano.
In generale
Segui una dieta quotidiana il più possibile varia e contenente tutti i principi nutritivi Fai 4-5 pasti al giorno Mangia lentamente, l’ingestione di aria può dare un senso di gonfiore addominale Bevi almeno 2 litri di acqua al giorno, preferibilmente oligominerale, non gasata. Da preferire Alimenti freschi per mantenerne inalterato il contenuto di vitamine e minerali Carni magre consumate ben cotte Pesci tipo sogliola, merluzzo, nasello, trota, palombo, dentice, orata cucinati arrosto, al cartoccio, al vapore o in umido Formaggi magri tipo mozzarella, ricotta, crescenza, robiola Latte e yogurt, preferibilmente magri Verdura e frutta di stagione, ben lavata, ogni giorno. Da limitare Caffè e tè: preferisci i prodotti decaffeinati o deteinati Sale: preferisci quello iodato Zuccheri: preferisci i carboidrati complessi, come pasta, pane, patate Uova: non più di 2 a settimana, ben cotte Grassi: preferisci l’olio extravergine di oliva. Il caffè, come tutte le bevande contenenti le cosiddette sostanze “nervine” (tè, bibite tipo cola, cioccolato), va assunto con moderazione perché la caffeina attraversa la placenta. Inoltre, durante questo particolare periodo il metabolismo della caffeina è rallentato di 15 volte e le future mamme sono più sensibili ai suoi effetti. Un consumo elevato di sale aumenta il rischio di malattie cardiovascolari e ipertensione. Preferisci il sale iodato, anche perché, durante la gravidanza e l’allattamento, il fabbisogno di iodio è maggiore. Da evitare Bevande alcoliche. L’alcol ingerito dalla madre giunge dopo pochi minuti nel sangue del feto, ma il feto non può metabolizzarlo perché è privo degli enzimi adatti a questo compito, di conseguenza l’alcol e i suoi metaboliti si accumulano nel suo sistema nervoso e in altri organi danneggiandoli.
Prendi il posto giusto
In gravidanza è necessario coprire non solo i bisogni nutritivi della madre ma anche quelli del nascituro. Questo porta a pensare che la gestante debba “mangiare per due”, affermazione certamente esagerata. In gravidanza aumenta il fabbisogno di proteine, mentre è pressoché invariato quello di carboidrati e di grassi. Se la donna segue un’alimentazione varia, consumando alimenti quali frutta, verdura, legumi, tutti i fabbisogni di vitamine sono garantiti e perciò non necessita di particolari supplementazioni, ad eccezione dell’acido folico. Come per le vitamine, anche per i minerali una corretta alimentazione permette di coprire i fabbisogni nutrizionali in gravidanza, ponendo particolare attenzione al fabbisogno in calcio, ferro e iodio. Durante la gravidanza possono manifestarsi quelle che volgarmente definiamo “voglie”, cioè improvvisi desideri della donna verso un particolare cibo, qualcosa di insolito, un frutto fuori stagione. Le voglie non vanno demonizzate, sono espressione di un bisogno, fisico o psicologico e, nei limiti della ragionevolezza e, se non ci sono controindicazioni legate a particolari situazioni, vale la pena di soddisfarle, facendo però attenzione alle quantità, se non si vuole ingrassare a vista d’occhio! I primi tre mesi Nel primo trimestre di gravidanza, l’aumento di peso della mamma si deve all’aumento del volume di sangue e alla crescita dell’utero. Non è quindi un aumento di peso rilevante (può essere all’incirca di 1 Kg) e, a meno che non vi siano situazioni di particolari carenze o insufficienza di peso da parte della donna, non è necessario incrementare l’apporto dietetico di energia: la dieta deve essere variata, completa, equilibrata e prevedere l’integrazione di acido folico e, se necessario, di ferro. Dal quarto mese Nel secondo trimestre, l’aumento dei tessuti materni (volume mammario, placenta, liquido amniotico, riserve di grassi) e la crescita fetale fanno sì che aumenti il fabbisogno calorico. Il peso, per donne normopeso, cresce di circa 1/2 kg a settimana. I LARN (Livelli di assunzione di riferimento di nutrienti ed energia per la popolazione italiana) consigliano un fabbisogno aggiuntivo di 350 kcal al giorno per il secondo semestre di gravidanza e di 460 kcal al giorno per il terzo trimestre. Questo leggero aumento in energia giornaliera consente di coprire anche i bisogni del feto, permettendo un normale sviluppo del bambino ed evitando di intaccare le riserve materne di nutrienti. È bene ricordare che il fabbisogno aggiuntivo di energia in gravidanza e l’aumento auspicabile di peso va comunque stabilito individualmente e varia a seconda dell’IMC prima della gravidanza (Indice di massa corporea, in inglese Body Mass Index – BMI, valore che si ottiene dividendo il peso in Kg per il quadrato dell’altezza in metri). Per una donna normopeso (IMC precedente alla gravidanza compreso tra 18,5 e 24,9), ad esempio, l’incremento di peso può essere compreso tra 9 e 16 kg. L’intervallo cambia a seconda che il soggetto sia sottopeso o sovrappeso o in caso di gravidanza gemellare. Il fabbisogno giornaliero di una donna in gravidanza è generalmente compreso tra 1600 e 2400 kcal al giorno. Un adeguato aumento di peso influisce sulla durata della gravidanza e sul peso del neonato. Un eccessivo aumento durante la gravidanza è da evitare, perché responsabile di complicanze, sia per la futura mamma (gestosi, diabete gestazionale, parto prematuro), che per il nascituro (macrosomia, lesioni durante il parto). Nutrienti essenziali Durante l’intero periodo di gravidanza e prima del suo inizio è bene seguire una dieta varia e sana per assicurare al feto tutti i nutrienti di cui ha bisogno per il suo sviluppo. In gravidanza e durante l’allattamento aumenta il fabbisogno di vitamine (A, D, C, B6, B12, acido folico), sali minerali (calcio, ferro, fosforo), lipidi (acidi grassi essenziali). Un basso livello di folati nella madre è un fattore di rischio per lo sviluppo di difetti del tubo neurale nel feto. L’incremento dell’apporto di acido folico in gravidanza, che deve raggiungere almeno i 400 microgrammi al giorno, si è dimostrato efficace per la prevenzione della spina bifida e dell’anencefalia. L’integrazione con acido folico dovrebbe iniziare almeno un mese prima e continuare tre mesi dopo il concepimento. Gli acidi grassi essenziali sono molto importanti sia per la madre che per la crescita e lo sviluppo del sistema nervoso centrale del neonato e servono, in particolare, alle strutture cerebrali e retiniche. Non sono prodotti autonomamente dall’organismo e vanno introdotti con la dieta; tra questi, gli acidi grassi monoinsaturi e gli acidi grassi polinsaturi a lunga catena, in particolare della serie Omega-3, tra cui il più il più importante è il DHA presente nel pesce, soprattutto quello “azzurro”. Per coprire il fabbisogno di acidi grassi essenziali, si può ricorrere su consiglio del medico ad alimenti fortificati o supplementare l’assunzione con integratori. Gli alimenti che non devono mancare sono: frutta e verdura carboidrati (pane, pasta, riso, orzo, patate), limitando gli zuccheri semplici, derivanti prevalentemente da dolci e bibite proteine (pesce, carne, legumi, uova) latte e derivati del latte (formaggi, yogurt) alimenti ricchi di fibre, per contrastare la stipsi che spesso si presenta durante gravidanza (pane, pasta e cereali integrali, frutta, verdura). Le donne che seguono una dieta vegetariana o vegana devono prestare attenzione ai livelli di assunzione raccomandati dalla comunità scientifica per quanto riguarda le proteine: la raccomandazione è quella di un incremento giornaliero di 6 g/die. Alle donne vegetariane in stato di gravidanza si consiglia inoltre un supplemento di vitamina B12: è opportuno chiedere al medico indicazioni su come alimentarsi al meglio. Mangia sicuro Per le loro specifiche caratteristiche alcuni prodotti sono meno adatti alle gestanti e devono essere consumati adottando particolari accortezze. Alcuni alimenti, ad esempio, possono veicolare agenti patogeni come Listeria monocytogenes e Toxoplasma gondii, responsabili di patologie a carico del feto, altri alimenti possono veicolare germi responsabili di infezioni o tossinfezioni alimentari. Consulta la tabella con i principali alimenti che dovrebbero essere evitati in gravidanza o assunti con le dovute precauzioni.
Alimento | Rischio | Cosa fare |
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Escherichia coli verocitotossici, Brucella spp. | Consumare solo dopo bollitura |
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Salmonella spp. | Consumare dopo accurata cottura (il tuorlo deve essere coagulato) |
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Toxoplasma gondii, Escherichia coli verocitotossici, Salmonella spp., Campylobacter spp. | Cuocere bene la carne fino al cuore (deve scomparire il colore rosato) |
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Toxoplasma gondii, Salmonella spp, Listeria monocytogenes | Cuocere bene fino al cuore (deve scomparire il colore rosato). La stagionatura molto breve rende il profilo di rischio di questi alimenti simile a quello della carne cruda |
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Listeria monocytogenes e, se non adeguatamente congelato, Anisakis spp. | Consumare solo dopo accurata cottura |
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Salmonella spp., virus dell’Epatite A e Norovirus | Consumare solo dopo accurata cottura |
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Listeria monocytogenes | Preferibile non consumarli |
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Listeria monocytogenes | Preferire altre tipologie di formaggi |
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Toxoplasma gondii, Salmonella spp., Virus dell’epatite A e Norovirus | Consumare le verdure solo dopo accurato lavaggio, comprese quelle in busta già pronte per il consumo. Consumare la frutta ben lavata, meglio se sbucciata, i frutti di bosco surgelati solo cotti |
- lavare le mani prima e dopo aver toccato alimenti crudi
- consumare i prodotti preconfezionati deperibili subito dopo l’apertura e, comunque, mai oltre la data di scadenza
- mantenere separati i cibi crudi da quelli cotti
- refrigerare subito gli alimenti già cotti, se non mangiati al momento, e riscaldarli accuratamente fino al cuore, prima di consumarli
- non superare una porzione da 100 g alla settimana di grandi pesci predatori (pesce spada, squaloidi, marlin, luccio) e non consumare tonno più di 2 volte a settimana. In caso si vogliano comunque consumare, si consiglia di non prevedere nella dieta settimanale altre specie di pesce, per evitare una maggiore esposizione ai possibili contaminanti (ad es. metilmercurio)
- eliminare le parti scure (di aspetto bruno-verdastro) contenute nel cefalotorace dei granchi, per contenere l’esposizione al cadmio.
Fonte Salute.gov.it
Alimentazione corretta
Secondo l’OMS circa 1/3 delle malattie cardiovascolari e dei tumori possono essere evitati grazie a una equilibrata e sana alimentazione Un’alimentazione varia ed equilibrata è alla base di una vita in salute. Un’alimentazione inadeguata, infatti, oltre a incidere sul benessere psico-fisico, rappresenta uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza di numerose malattie croniche. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, circa 1/3 delle malattie cardiovascolari e dei tumori potrebbero essere evitati grazie a una equilibrata e sana alimentazione. Di cosa abbiamo bisogno L’organismo umano ha bisogno di tutti i tipi di nutrienti per funzionare correttamente. Alcuni sono essenziali a sopperire il bisogno di energia, altri ad alimentare il continuo ricambio di cellule e altri elementi del corpo, altri a rendere possibili i processi fisiologici, altri ancora hanno funzioni protettive. Per questa ragione l’alimentazione deve essere quanto più possibile varia ed equilibrata. Cereali Grano, mais, avena, orzo, farro e gli alimenti da loro derivati (pane, pasta, riso) apportano all’organismo carboidrati, che rappresentano la fonte energetica principale dell’organismo, meglio se consumati integrali. Contengono inoltre vitamine del complesso B e minerali, oltre a piccole quantità di proteine. Frutta e ortaggi Sono una fonte importantissima di fibre, un elemento essenziale nel processo digestivo. Frutta e ortaggi sono inoltre ricchi di vitamine e minerali, essenziali nel corretto funzionamento dei meccanismi fisiologici. Contengono, infine, antiossidanti che svolgono un’azione protettiva. Carne, pesce, uova e legumi Questi alimenti hanno la funzione principale di fornire proteine, una classe di molecole biologiche che svolge una pluralità di funzioni. Partecipano alla “costruzione” delle diverse componenti del corpo, favoriscono le reazioni chimiche che avvengono nell’organismo, trasportano le sostanze nel sangue, sono componenti della risposta immunitaria: forniscono energia “di riserva”, aiutano l’assorbimento di alcune vitamine e di alcuni antiossidanti, sono elementi importanti nella costruzione di alcune molecole biologiche. Un insufficiente apporto di proteine può compromettere queste funzioni (per esempio si può perdere massa muscolare), ma un eccesso è altrettanto inappropriato: le proteine di troppo vengono infatti trasformate in depositi di grasso e le scorie di questa trasformazione diventano sostanze, che possono danneggiare fegato e reni. Le carni, in particolare quelle rosse, contengono grassi saturi e colesterolo. Pertanto vanno consumate con moderazione. Vanno consumati con maggior frequenza il pesce, che ha un effetto protettivo verso le malattie cardiovascolari (contiene i grassi omega-3) e i legumi, che rappresentano la fonte più ricca di proteine vegetali e sono inoltre ricchi di fibre. Latte e derivati Sono alimenti ricchi di calcio, un minerale essenziale nella costruzione delle ossa. E’ preferibile il consumo di latte scremato e di latticini a basso contenuto di grassi. Acqua Circa il 70% dell’organismo umano è composto di acqua e la sua presenza, in quantità adeguate, è essenziale per il mantenimento della vita. L’acqua è, infatti, indispensabile per lo svolgimento di tutti i processi fisiologici e delle reazioni biochimiche che avvengono nel corpo, svolge un ruolo essenziale nella digestione, nell’assorbimento, nel trasporto e nell’impiego dei nutrienti. È il mezzo principale attraverso cui vengono eliminate le sostanze di scarto dei processi biologici. Per questo, un giusto equilibrio del “bilancio idrico” è fondamentale per conservare un buono stato di salute nel breve, nel medio e nel lungo termine. Istruzioni per l’uso La quantità giusta Il fabbisogno di energia varia nel corso della vita ed è diverso tra uomini e donne, dipende: dall’attività fisica (persone che svolgono lavori “fisici” hanno un fabbisogno maggiore rispetto a quanti svolgono lavori da ufficio) dallo stile di vita (chi pratica regolarmente attività fisica necessita di maggior energia rispetto a quanti conducono una vita sedentaria) dalle caratteristiche individuali (la statura, la corporatura ecc.) dall’età. I cibi giusti Una sana alimentazione è quella che fornisce all’organismo tutte le sostanze nutritive di cui necessita nella giusta proporzione. È consigliabile dividere opportunamente le calorie di cui abbiamo bisogno nel corso della giornata. Sarebbe corretto che le calorie assunte fossero ripartite per il 20% a colazione, per il 5% a metà mattina, per il 40% a pranzo, per il 5% a metà pomeriggio, per il 30% a cena. Un modello da seguire è quello della dieta mediterranea. Molti studi scientifici ne hanno dimostrato la capacità di produrre benefici per l’organismo e ridurre il rischio di malattie croniche. Oltre a queste indicazioni di base, per una corretta alimentazione è fondamentale seguire alcuni suggerimenti: fare sempre una sana prima colazione con latte o yogurt, qualche fetta biscottata ed un frutto variare spesso le scelte e non saltare i pasti consumare almeno 5 porzioni di frutta e verdura al giorno ridurre quanto più possibile il consumo di sale privilegiando le spezie per insaporire i cibi limitare il consumo di dolci preferire l’acqua, almeno 1,5-2 litri al giorno limitando le bevande zuccherate ridurre il consumo di alcol. Cosa consumare con limitazione Grassi da condimento E’ buona abitudine non esagerare con i grassi da condimento ed è meglio preferire quelli di origine vegetale come l’olio extravergine d’oliva. Sale Contiene il sodio che è un minerale essenziale per il funzionamento dell’organismo. Tuttavia, il sodio contenuto naturalmente negli alimenti è sufficiente a soddisfare il fabbisogno. Non ci sarebbe, dunque, nessuna necessità di aggiungerlo all’alimentazione, se non per rendere più gustose le pietanze. Soprattutto perché un eccessivo consumo di sale favorisce la comparsa di ipertensione arteriosa, di alcune malattie del cuore e dei reni. Zucchero e cibi zuccherati Sono composti da carboidrati con una struttura molto semplice che, proprio in virtù di questa semplicità, vengono impiegati dall’organismo come immediata fonte di energia. Tuttavia, non occorre esagerare nell’assunzione poiché questi stessi carboidrati sono presenti in molti alimenti costitutivi della alimentazione. Un eccessivo consumo può dunque aumentare il rischio di insorgenza di obesità, diabete e malattie cardiovascolari. Alcol Il costituente fondamentale e caratteristico di ogni bevanda alcolica è l’etanolo, sostanza estranea all’organismo e non essenziale. Pur non essendo un nutriente, l’etanolo apporta una cospicua quantità di calorie che si sommano a quelle degli altri alimenti e contribuire all’aumento di peso. Cosa si può prevenire con la giusta alimentazione L’alimentazione, assieme all’attività fisica e all’astensione dal fumo, ha un ruolo fondamentale nella prevenzione di molte malattie. Ecco un elenco di quelle più comuni. Malattie cardiovascolari Sono la prima causa di morte al mondo. Dopo il fumo e l’età, un’alimentazione non equilibrata rappresenta il fattore di rischio principale per questo gruppo di malattie. A influire negativamente è un’alimentazione ricca di grassi saturi e povera di fibre, che favorisce l’insorgenza di aterosclerosi. Obesità Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità l’obesità colpisce nel mondo quasi mezzo miliardo di persone. Rappresenta uno dei principali fattori di rischio per l’insorgenza delle malattie cardiovascolari, del diabete di tipo 2, di alcuni tumori, dell’artrosi, dell’osteoporosi. L’alimentazione gioca un ruolo fondamentale assieme alla mancanza di attività fisica. Diabete di tipo 2 Colpisce circa il 6% della popolazione mondiale e fra le sue complicanze annovera le malattie cardiovascolari, le malattie renali, la vascolopatia diabetica (piede diabetico) e la cecità. Le persone che ne sono affette hanno un’aspettativa di vita ridotta rispetto alla popolazione generale. Tra gli elementi che possono favorirne la comparsa c’è anche uno stile alimentare errato. Osteoporosi Un’alimentazione povera di calcio e vitamina D nel corso della vita, associata ad una scarsa attività fisica, può facilitare il danno osseo causato da condizioni come l’osteoporosi, una patologia molto diffusa soprattutto a causa dell’allungamento della vita, che aumenta il rischio di fratture e riduce la qualità di vita. Prevenzione su misura Corretta alimentazione significa anche adattare la propria alimentazione al momento della vita che si sta attraversando. Le indicazioni valide per la popolazione generale possono, infatti, necessitare di leggeri adattamenti, che rispondano alle necessità del corpo caratteristiche di particolari periodi. Durante la gravidanza, per esempio, è necessario apportare nutrienti che soddisfino il fabbisogno della mamma, ma anche quello di crescita del feto. In gravidanza è necessario evitare di prendere troppo peso, controllando il peso e affidandosi ai consigli dietetici del medico per ridurre al minimo i rischi di complicanze. L’organismo dei bambini, va tenuto presente, utilizza parte dell’energia assunta con il cibo per la crescita. Gli anziani, al contrario, possiedono processi di utilizzo del cibo rallentati. È quindi opportuno scegliere con cura la quantità e la tipologia di nutrienti in maniera appropriata in ogni fase della vita.
Bambini
L’alimentazione dei più piccoli è fondamentale per una normale crescita, per prevenire malattie croniche e per acquisire uno stile alimentare sano che si porterà avanti per tutta la vita. Tuttavia, i bisogni nutrizionali di bambini sono peculiari. Innanzitutto, perché il loro bisogno in energia e in nutrienti è più alto, in rapporto al peso, rispetto a quello degli adulti. Ciò impone di adottare uno stile alimentare distribuito in 5 pasti quotidiani: oltre ai 3 principali, 2 spuntini che facciano fronte ai bisogni nutritivi, senza portare però a un eccessivo introito di calorie. È fondamentale che la dieta sia varia, ricca e abbia un alto contenuto di frutta e ortaggi. Fondamentale è l’apporto di proteine, vitamine (soprattutto la C, la D e il complesso B) e sali minerali (soprattutto calcio, ferro e iodio, quest’ultimo anche mediante l’uso di sale iodato). I bambini andrebbero incoraggiati ad assaggiare cibi diversi e a masticare bene il cibo. È importante,inoltre, che siano attivi fisicamente per almeno 1 ora al giorno, anche solo correndo e giocando, e che non trascorrano molto tempo della loro giornata in attività sedentarie.
Adolescenti
L’adolescenza è un momento decisivo nella vita: il corpo cresce rapidamente, si registrano cambiamenti ormonali. E di pari passo cambia il fabbisogno di sostanze nutritive. Aumenta la necessità di proteine, ferro, calcio, vitamine A, C e D.L’alimentazione, dunque dovrà prestare particolare attenzione a un corretto consumo degli alimenti che contengono questi nutrienti.Inoltre, molta attenzione va posta alla tendenza, in questo periodo della vita, specie tra le ragazze, a seguire un’alimentazione squilibrata per cercare di ridurre il peso.
Donne in menopausa
I cambiamenti ormonali, che si verificano con la menopausa, espongono l’organismo all’aumento di rischio per molte malattie. Il cuore e i vasi sanguigni, per esempio, perdono protezione dall’aterosclerosi e dalla trombosi, si perde più rapidamente il calcio dei tessuti ossee e aumenta quindi il rischio di osteoporosi. Allo stesso tempo, si registra una diminuzione del bisogno di energia e la cessazione dei flussi mestruali riduce notevolmente il fabbisogno di ferro. A questa mutata situazione bisogna rispondere con l’alimentazione, che deve ricalcare l’alimentazione della donna adulta sana, salvo alcune correzioni legate all’età e alla particolare condizione ormonale. In generale, è opportuno ridurre l’apporto calorico, mentre è utile aumentare il consumo di latte e derivati, privilegiando il latte scremato a scapito di latte intero e latticini che possono avere un elevato contenuto di grassi. Occorre preferire il pesce, le carni magre, i legumi per soddisfare il fabbisogno quotidiano di proteine.
Anziani
È sbagliato pensare che le persone anziane debbano mangiare in maniera completamente diversa rispetto agli adulti. Se non ci sono ragioni mediche che lo impediscano, l’alimentazione indicata per gli anziani è sovrapponibile a quella dell’adulto se non per la quantità: il bisogno di energia infatti diminuisce all’aumentare dell’età e, pertanto, di questo si dovrà tenere conto nella scelta dell’alimentazione. Concretamente, gli anziani devono consumare la stessa quantità di proteine che erano soliti consumare in precedenza, privilegiando latte, formaggi latticini a basso contenuto di grassi, legumi, uova, pesce e la carne (soprattutto carne magra e pollame). Sono da ridurre i grassi, preferendo quelli più ricchi in acidi monoinsaturi (olio di oliva) e polinsaturi (olio di semi). Anche se in quantità inferiori rispetto a un adulto, occorre continuare ad assumere i carboidrati complessi, come quelli apportati da cereali, pane integrale, legumi e certi tipi di verdura e di frutta, che forniscono energia, fibra, ferro, insieme ad altri minerali e vitamine. Da limitare gli zuccheri raffinati, i salumi, i formaggi stagionati e, in generale, i cibi ricchi di sale. Naturalmente, occorrerà scegliere gli alimenti sulla base delle condizioni dell’apparato masticatorio, anche per facilitare i processi digestivi che nell’anziano sono meno efficienti. Quindi, sarà necessario prestare attenzione anche alla preparazione dei cibi: tritare le carni, grattugiare o schiacciare frutta ben matura, preparare minestre, purea e frullati, scegliere un pane morbido o ammorbidirlo in un liquido, possono essere soluzioni per continuare ad avere un’alimentazione varia e sana. Per approfondire consulta le scheda: Gravidanza, corretta alimentazione
Alluvioni, leggi l’infografica del Ministero
Le alluvioni rappresentano il disastro naturale più comune a livello mondiale e la loro frequenza è destinata ad aumentare a causa dei cambiamenti climatici. In Italia i comuni a rischio idrogeologico sono 6.000, oltre il 70% del totale. In caso di alluvioni possono verificarsi frane, smottamenti e allagamenti. I principali rischi per la salute sono rappresentati da: annegamento, traumatismi e lesioni (lacerazioni, ustioni, folgorazioni), malattie gastrointestinali, avvelenamenti da sostanze tossiche o da acque contaminate, stress post-traumatico (ansia, depressione, insonnia), infarto. Il Ministero della salute ha realizzato, in collaborazione con il Dipartimento di Epidemiologia della regione Lazio, un’infografica contenente alcune raccomandazioni da mettere in atto durante e dopo un’alluvione.
DURANTE L’ALLUVIONE
- Non transitare in zone allagate e in acqua in movimento: il rischio di annegamento è alto. Sott’acqua potrebbero esserci pericoli nascosti come voragini, buche e tombini aperti.
- Durante un’alluvione il rischio di traumatismi ed infortuni è alto. Muoviti con prudenza in casa e fuori, soprattutto nelle zone allagate. La forza dell’acqua può danneggiare anche gli edifici e le infrastrutture.
- Evita di sostare o transitare in sottopassi, argini di corsi d’acqua, ponti. In caso di alluvione non utilizzare l’automobile. Non tentare di spostarla dal garage.
DURANTE/DOPO L’ALLUVIONE
- Attenzione: l’acqua del rubinetto potrebbe diventare non potabile e causare problemi di salute. Prima di utilizzarla, assicurati che ordinanze o avvisi comunali non lo vietino. Fai bollire l’acqua o consuma quella imbottigliata.
- Attenzione: germi e batteri possono proliferare in casa, nell’acqua e nel cibo e provocare malattie gastroenteriche. Lava accuratamente le mani o disinfettale. Disinfetta le superfici e gli utensili usati per preparare il cibo. Elimina tutti gli utensili che non possono essere disinfettati (es. di legno).
- Durante l’alluvione ricordati di staccare la corrente. Evita di sostare vicino a fonti elettriche. Non toccare impianti e apparecchi elettrici con mani o piedi bagnati. Dopo l’alluvione contattare un tecnico prima di utilizzare impianti a gas o elettrici nelle aree alluvionate.
- Generatori e apparecchi a combustione per il riscaldamento/deumidificazione possono causare avvelenamento da monossido di carbonio. Assicurati che gli ambienti siano ben ventilati e non utilizzare generatori a combustione in ambienti chiusi. In caso di intossicazione contatta un medico.
- L’alluvione può avere causato la fuoriuscita di sostanze chimiche. Segnala eventuali sversamenti alle autorità competenti. In caso di contatto con sostanze chimiche lava accuratamente le parti del corpo contaminate e consulta un medico.
- Sintomi da stress o ansia sono comuni dopo una calamità naturale come le alluvioni. Rivolgiti ai servizi sociosanitari locali che possono aiutarti a superare questo trauma.
- Se hai in corso terapie farmacologiche e/o cure mediche, rivolgiti ai servizi sanitari locali per evitare la loro interruzione.
- Informati sui comportamenti salvavita da adottare prima, durante e dopo l’alluvione. Rivolgiti al tuo Comune per avere informazioni sul Piano di emergenza (fornisce informazioni sulle aree alluvionabili, le vie di fuga e le aree sicure della tua città).
Fonte: Salute.Gov.it
Sicuri in viaggio
Prima di mettersi in viaggio è importante conoscere le caratteristiche del Paese ospitante e rivolgersi al proprio medico per le eventuali vaccinazioni da eseguire Molte malattie, da tempo sconfitte in Italia, sono ancora diffuse in alcuni Paesi, specie quelli in via di sviluppo. Si tratta di malattie infettive, la cui diffusione è favorita dalle caratteristiche climatiche dei Paesi e dalla persistenza di situazioni di carenze igienico-sanitarie e che in molti casi possono avere serie conseguenze per la salute. Prima di mettersi in viaggio è dunque di massima importanza conoscere le caratteristiche del Paese ospitante e rivolgersi al proprio medico o alle strutture sanitarie preposte alla prevenzione delle malattie dei viaggiatori per ottenere indicazioni specifiche. Malattie del viaggiatore Molte delle malattie in cui è possibile imbattersi viaggiando verso mete esotiche erano fino a qualche decennio fa diffuse anche in Italia. In altri casi si tratta di patologie strettamente legate alle caratteristiche di questi luoghi. Ecco un elenco delle più diffuse. Amebiasi È una malattia diffusa nei Paesi tropicali e sub-tropicali ed è favorita dai climi caldi e umidi e da condizioni igienico-ambientali scadenti. È provocata da un parassita (l’ameba) e si trasmette per via oro-fecale (vale a dire tramite l’ingestione di acqua o cibi contaminati da feci di individui infetti). Ha come sintomo caratteristico una diarrea acuta. Può presentarsi anche con febbre, brividi, sangue nelle feci. In presenza di questi sintomi, sia che ci si trovi ancora in viaggio sia che si presentino appena tornati a casa, è necessario rivolgersi immediatamente a un medico. Non esistono vaccinazioni nei confronti dell’amebiasi. Come per tutte le malattie a trasmissione oro-fecale, per prevenire la malattia è fondamentale il rispetto di norme igieniche. Colera È diffuso soprattutto in Asia (India e Bangladesh, per esempio) e in Africa. È causato da batteri appartenenti al genere vibrioni che producono una tossina in grado di danneggiare le cellule del rivestimento dell’intestino alterando così la loro capacità di assorbire le sostanze nutritive e i liquidi contenuti negli alimenti. Il colera si manifesta con molte scariche di diarrea acquosa, vomito, rapida disidratazione, abbassamento della temperatura. Nel caso insorgessero sintomi sospetti è necessario rivolgersi immediatamente a un medico. La perdita di grandi quantità di liquidi con il vomito e la diarrea può infatti provocare stato di shock e, se non opportunamente curato, la morte. Esistono vaccini per la prevenzione di questa malattia, ma la loro protezione è di molto inferiore al 100 per cento. Per questa ragione, resta fondamentale l’adozione delle norme igieniche per la prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale. Dengue La malattia è presenta allo stato endemico in gran parte del Sud est asiatico, in Africa, America Centrale e Meridionale e in alcune parti dell’Oceania. A causarla è un virus che viene trasmesso attraverso la puntura di zanzare. La dengue si manifesta in due forme: quella classica e quella emorragica. La dengue classica è la forma benigna della malattia: ha sintomi simili all’influenza (febbre, mal di testa, dolori osteoarticolari, disturbi gastrointestinali) e in alcuni casi, specie nei bambini, causa un’eruzione cutanea (simili a quelli del morbillo o della rosolia). La dengue emorragica, invece, si manifesta con febbre, arrossamento del viso, inappetenza, lievi disturbi gastrointestinali e delle vie aeree superiori. A questi sintomi fa seguito una fase di aggravamento della malattia caratterizzata, tra le altre cose, da fenomeni emorragici. La dengue emorragica si manifesta in genere al secondo episodio della malattia (a seguito di una reinfezione con un sierotipo diverso del virus), per cui chi ha già contratto una volta la dengue deve stare più attento. In caso di comparsa improvvisa di febbre, mentre si è ancora in viaggio o appena tornati a casa, è necessario rivolgersi a un medico evitando l’automedicazione, che può aggravare la situazione. Non sono disponibili vaccini contro la dengue né misure di profilassi. La prevenzione consiste nell’adozione di misure di protezione dalla puntura delle zanzare. Diarrea del viaggiatore È forse la malattia del viaggiatore più nota. È conosciuta con diversi nomi, il più comune dei quali è probabilmente “la vendetta di Montezuma”. A causarla possono essere sia batteri, sia virus sia parassiti. Ma possono influire, sebbene in misura minore, anche i cambiamenti di abitudini e delle condizioni climatiche. È caratterizzata da diarrea, che in genere si presenta con almeno tre scariche al giorno. Quando si presentano i sintomi è necessario rivolgersi a un medico, soprattutto per escludere la possibilità che si tratti di altre condizioni più serie. Non esistono modalità di prevenzione in grado di contrastare tutte le possibili fonti del disturbo. L’unica strategia efficace è il rispetto delle norme igieniche per prevenire le malattie a trasmissione oro-fecale. Shigellosi (dissenteria bacillare) È diffusa in tutti i paesi economicamente poco sviluppati. È causata da batteri appartenenti al genere Shigella. Si manifesta con diarrea (talvolta sanguinolenta), febbre, nausea, dolori addominali. La trasmissione è oro-fecale, quindi può essere contratta in seguito all’ingestione di acqua e alimenti contaminati da materiale fecale di persone infette. Quando si presentano i sintomi è necessario rivolgersi a un mendico. Il mancato trattamento può portare infatti in alcuni casi alla morte. Non esistono forme di prevenzione se non l’adozione delle norme di prevenzione delle malattie a trasmissione oro-fecale. Febbre gialla È un problema di sanità pubblica in molti paesi dell’Africa centrale e occidentale. È inoltre diffusa in alcune regioni equatoriali e tropicali dell’America centrale e meridionale. È dovuta a un virus trasmesso tramite le punture di zanzara. Si manifesta con febbre accompagnata da brividi, dolori muscolari, senso di prostrazione, nausea vomito. È possibile la comparsa di un colorito giallo della pelle; infatti, il virus colpisce il fegato. A volte possono comparire manifestazioni emorragiche. In caso di febbre, se ci si trova in una zona a rischio o si è appena ritornati da un viaggio in queste aree, è necessario rivolgersi a un medico. Se non opportunamente curata, la malattia può essere infatti letale. Contro la febbre gialla esiste un vaccino a base di virus viventi attenuati che ha un’efficacia protettiva superiore al 90 per cento. Utili sono comunque le misure per prevenire la puntura da parte delle zanzare. Febbre tifoide È diffusa in tutti i Paesi dalle condizioni igienico-sanitarie scadenti. È dovuta a un batterio trasmesso per via oro-fecale. Si manifesta con febbre alta, mal di testa, malessere generale, mancanza di appetito, rallentamento del battito cardiaco, presenza di macchie rossastre e rilevate sul tronco, tosse secca e disturbi gastrointestinali. Nel caso si manifestassero questi sintomi è opportuno rivolgersi immediatamente al medico che valuterà il trattamento più adeguato. Sono disponibili vaccini contenenti il batterio reso innocuo attraverso specifici procedimenti chimici. È comunque opportuno rispettare le misure igieniche necessarie a prevenire la trasmissione oro-fecale. Malaria È endemica in gran parte dell’Africa, nel sub-continente indiano, nel sud-est asiatico, in America latina e in una parte dell’America Centrale. È una delle più frequenti cause di febbre in chi ritorna da paesi endemici. È trasmessa dalla puntura di una zanzara del genere Anopheles. Si manifesta nella maggior parte dei casi con febbre accompagnata da brividi, mal di testa, mal di schiena, sudorazione, dolori muscolari, nausea, vomito, diarrea, tosse. In caso compaiano i sintomi è necessario rivolgersi immediatamente a un medico. Per difendersi dalla malaria è fondamentale adottare le misure che impediscono la puntura delle zanzare. Prima di recarsi in Paesi in cui la malattia è diffusa è anche possibile effettuare una profilassi con appositi farmaci che riducono ulteriormente il rischio della malattia. Esistono diversi regimi profilattici. È bene consultare il proprio medico o le strutture sanitarie preposte alla prevenzione delle malattie dei viaggiatori per ottenere indicazioni specifiche. Istruzioni per l’uso Prima di mettersi in viaggio è sempre opportuno consultare il proprio medico o le strutture sanitarie preposte alla prevenzione delle malattie dei viaggiatori, per ottenere indicazioni specifiche. Specie se si rientra tra le categorie più sensibili (donne in gravidanza, bambini, persone affette da particolari patologie). Esistono tuttavia, delle buone pratiche che possono aiutare a prevenire le malattie del viaggiatore. Quando la malattia arriva dagli alimenti Molte delle malattie del viaggiatore hanno trasmissione oro-fecale, si diffondono cioè da una persona all’altra tramite l’ingestione di acqua o cibi contaminati da feci di individui infetti. Non si tratta di un’eventualità rara: molti Paesi non hanno ancora un efficiente sistema di smaltimento delle acque reflue, in altri gli escrementi vengono utilizzati come fertilizzanti nel terreno. In tal modo non è remota la possibilità che microrganismi si trasferiscano dalle feci ai prodotti alimentari o alle acque. Per prevenire questa forma di trasmissione, l’Organizzazione mondiale della sanità ha stilato un decalogo che è valido in tutti i luoghi, ma ancor più in quelle aree in cui sono più diffuse le malattie del viaggiatore: scegliere i prodotti che abbiano subito trattamenti idonei ad assicurare l’innocuità (ad esempio latte pastorizzato o trattato ad alte temperature) cuocere bene i cibi in modo che tutte le parti, anche le più interne raggiungano una temperatura di almeno 70 gradi consumare gli alimenti immediatamente dopo la cottura gli alimenti cotti, se non vengono consumati subito, vanno immediatamente conservati in frigorifero. La permanenza in frigorifero deve essere limitata; se il cibo deve essere conservato per lungo tempo è preferibile congelarlo i cibi precedentemente cotti vanno riscaldati rapidamente e ad alta temperatura prima del consumo evitare ogni contatto tra cibi crudi e cotti curare l’igiene delle mani per la manipolazione degli alimenti fare in modo che tutte le superfici della cucina, gli utensili e i contenitori siano puliti proteggere gli alimenti dagli insetti, dai roditori e dagli altri animali utilizzare solo acqua potabile. Quando a trasmettere la malattia sono gli insetti Molte insidiose malattie infettive sono trasmesse dagli insetti, dalle zanzare in particolare, che succhiano il sangue delle persone infette e sono in grado di alimentare lo sviluppo dell’agente patogeno. Per questa ragione, i comportanti in grado di prevenire la puntura delle zanzare sono un’efficace strategia di protezione. Se ci si reca in Paesi in cui sono diffuse malattie che vengono trasmesse dalla puntura di zanzare, è opportuno: evitare, se possibile, di uscire tra il tramonto e l’alba (è il periodo in cui l’attività delle zanzare è più intensa) indossare abiti di colore chiaro, con maniche lunghe e pantaloni lunghi che coprano la maggior parte del corpo evitare l’uso di profumi che possono attirare gli insetti applicare repellenti per insetti sulle porzioni di pelle esposte. In tal caso occorre fare particolare attenzione se si impiegano sui bambini o su persone allergiche a specifici componenti alloggiare preferibilmente in stanze dotate di condizionatore d’aria o, in mancanza di questo, di zanzariere alle finestre usare zanzariere sopra il letto e impregnarle con insetticidi spruzzare insetticidi nelle stanze o usare diffusori di insetticida. Prevenzione su misura Sulla base delle proprie condizioni epidemiologiche, molti Paesi richiedono agli ospiti di eseguire alcune vaccinazioni prima di mettersi in viaggio. . Fonte: Salute.gov.it
Leggi l’etichetta e scegli l’alimento giusto
L’etichetta è la carta d’identità dell’alimento: riporta informazioni sul contenuto nutrizionale del prodotto e fornisce una serie di indicazioni per comprendere come i diversi alimenti concorrono ad una dieta corretta ed equilibrata. Saper leggere correttamente le etichette rappresenta un atto di responsabilità verso il nostro benessere e verso quello delle persone che mangiano le cose che acquistiamo. Ci aiuta, infatti, ad impostare una sana alimentazione. Ecco il decalogo del Ministero per orientarsi fra gli scaffali del supermercato ed evitare sorprese indesiderate a tavola. 10 regole d’oro Leggi tutto
Celiachia
Descrizione L’unica terapia attualmente disponibile per i soggetti celiaci è la completa e permanente esclusione dalla dieta di tutte le possibili fonti di glutine, anche quelle nascoste (il glutine può essere presente negli alimenti in scatola, nelle salse e nelle zuppe confezionate, ma anche nei cosmetici e nelle medicine). Normalmente la dieta priva di glutine (gluten-free) provoca una rapida scomparsa dei sintomi e la remissione dell’atrofia dei villi della mucosa duodenale. Seguire una dieta senza glutine è necessario per prevenire le complicanze della celiachia. Cause La celiachia è una condizione multifattoriale, per la cui comparsa clinica sono necessari due fattori: uno ambientale, la presenza nella dieta di cereali contenenti glutine, e uno genetico, gli alleli DQ2/8 del sistema di istocompatibilità di II classe. La predisposizione genetica della celiachia è confermata dall’osservazione che la frequenza della malattia è maggiore tra i familiari di primo grado dei soggetti affetti (10% rispetto al 1% della popolazione generale) e nei gemelli omozigoti la concordanza è dell’85%. Poiché solo il 30% della popolazione mondiale DQ2/8positiva sviluppa prima o poi la celiachia, sono necessari altri fattori scatenanti per la sua comparsa: in questo senso è stato ipotizzato un ruolo dell’esposizione troppo precoce al glutine o un infezione intestinale da rotavirus nell’infanzia. La celiachia si associa spesso nello stesso individuo ad altre malattie autoimmuni, quali diabete mellito di tipo 1, artrite reumatoide, tiroidite, ma anche a sindromi genetiche (Down, Turner). Sintomi e segni I sintomi e segni della malattia sono estremamente variabili per sede ed intensità. Nella cosiddetta forma classica di malattia celiaca (frequente in età pediatrica) dominano i sintomi e segni da malassorbimento che consistono in episodi di diarrea maleodorante (per presenza di grassi nelle feci), meteorismo (addome gonfio) anche marcato, con dolori addominali crampiformi e scarso accrescimento. La forma classica di celiachia è ormai diventata rara e sempre più frequentemente la celiachia si manifesta in età adulta con sintomi extra-intestinali quali: anemia da carenza di ferro osteoporosi debolezza muscolare disturbi della fertilità e ripetuti aborti spontanei alterazioni della coagulazione afte orali alopecia (negli adulti) parestesie delle estremità (formicolio a livello delle mani e dei piedi) convulsioni Spesso i sintomi sono sfumati e la diagnosi corretta richiede anni. Diagnosi Nei soggetti ad alto rischio di celiachia, per familiarità, sintomi o per la presenza di una malattia frequentemente associata, il primo esame che viene eseguito, ricorrendo ad un semplice prelievo di sangue, è il dosaggio degli anticorpi anti-transglutaminasi. I pazienti con anticorpi positivi sono inviati, per la conferma diagnostica, all’esecuzione della biopsia della mucosa dell’intestino tenue che documenti un appiattimento (scomparsa) dei villi intestinali. La biopsia viene realizzata nel corso di una esofago-gastroduodenoscopia. La predisposizione genetica, effettuata mediante l’analisi del dna rivela se si è predisposti alla malattia (viene ricercata la presenza dei geni predisponenti, i HLA-DQ2 e HLA-DQ8). Questo esame non va eseguito di routine e va riservato solo ai casi in cui il dosaggio anticorpale e la biopsia duodenale, oltre che il quadro clinico, non sono del tutto chiari. Complicanze I soggetti affetti da celiachia non trattata presentano un rischio maggiore di sviluppare complicanze, tra cui alcune forme neoplastiche: linfoma e carcinoma intestinale. Terapia L’unica terapia attualmente disponibile per i soggetti celiaci è la completa e permanente esclusione dalla dieta di tutte le possibili fonti di glutine, anche quelle nascoste (il glutine può essere presente negli alimenti in scatola, nelle salse e nelle zuppe confezionate, ma anche nei cosmetici e nelle medicine). Normalmente la dieta priva di glutine (gluten-free) provoca una rapida scomparsa dei sintomi e la remissione dell’atrofia dei villi della mucosa duodenale. Seguire una dieta senza glutine è necessario per prevenire le complicanze della celiachia. Fonte: Salute.gov.it
Febbre tifoide
La febbre tifoide è provocata da una batterio responsabile di infezioni e tossinfezioni a trasmissione alimentare La febbre tifoide, anche detta tifo addominale è provocata da una batterio, la Salmonella typhi, appartenente al numerosissimo genere Salmonella, di cui fanno parte anche le S. paratyphi A e B, responsabili dei paratifi, e le cosiddette salmonelle minori, responsabili di infezioni e tossinfezioni a trasmissione alimentare. La Salmonella typhi, infetta esclusivamente l’uomo. Paratifi e salmonelle minori infettano, invece, sia gli animali domestici che l’uomo. La febbre tifoide si trasmette attraverso l’ingestione di cibi o bevande contaminati da urine o feci delle persone infette. I sintomi di solito si presentano 1-3 settimane dopo l’esposizione, quali febbre alta, malessere generale, mal di testa, stitichezza o diarrea, esantema papuloso localizzato al tronco, ingrossamento della milza e del fegato e la malattia può assumere forma lieve o grave. A seguito della malattia acuta può instaurarsi lo stato di portatore sano. Le persone che sono state a contatto con un paziente affetto da febbre tifoide, in particolare i conviventi, vanno sottoposte a controllo sanitario per la ricerca di altri casi di infezione e della fonte di esposizione. . L’infezione è provocata dal consumo d’acqua e di alimenti contaminati. È talvolta possibile una trasmissione diretta fecale-orale. I molluschi raccolti in specchi d’acqua contaminati da scarichi fognari sono un’importante fonte di infezione. L’infezione può verificarsi anche mangiando frutta cruda e verdure fertilizzate con pozzi neri e attraverso l’ingestione di latte e prodotti caseari contaminati. Le salmonelle sono dotate di una notevole resistenza nell’ambiente esterno, soprattutto se contenute nei materiali organici e possono persistere per mesi nei liquami e nel fango; resistono a lungo anche nell’acqua e nel ghiaccio. Gli insetti, in particolar modo le mosche, possono fungere da vettori passivi dei germi patogeni e contaminare gli alimenti, che quindi possono causare malattia nell’uomo. L’inquinamento delle sorgenti d’acqua può essere all’origine delle epidemie di febbre tifoide se un elevato numero di persone si abbevera alla stessa sorgente. . È una malattia sistemica di severità variabile. I segni caratteristici dei casi gravi sono rappresentati da: febbre con esordio progressivo cefalea stato generale compromesso anoressia insonnia. La stipsi è più frequente della diarrea nell’adulto e nei bambini più grandi. . In assenza di trattamento alcuni pazienti sviluppano una febbre duratura, bradicardia, epatosplenomegalia, sintomi addominali, e in certi casi polmonite. Nei pazienti di pelle bianca, in più del 20% dei casi compaiono sulla pelle del tronco macchie rosacee, che si attenuano sotto la pressione delle dita e complicazioni cerebrali e gastro-intestinali che possono essere fatali nel 10-20% dei casi. I più alti tassi di fatalità sono riportati nei bambini di età inferiore ai 4 anni. Circa il 2-5% dei soggetti che contraggono la febbre tifoide diventa portatore cronico poiché i batteri persistono nelle vie biliari anche dopo la scomparsa dei sintomi. . La febbre tifoide può essere trattata con antibiotici. Tuttavia, la resistenza agli antibiotici comuni è molto diffusa. I portatori sani dovrebbero essere esclusi dalla manipolazione degli alimenti. . Vaccinazione Esistono 2 tipi di vaccino: Orale Ty21a, vaccino vivo, attenuato, ceppo mutante della Salmonella typhi Ty21a, in capsule, viene dato in 3 dosi, a giorni alterni (due giorni una dall’altra). L’immunità viene conferita 7 giorni dopo la terza dose. Iniettabile Vi CPS, vaccino polisaccaridico capsulare Vi (Vi CPS) contiene 25 μg microgrammi di polisaccaride per dose ed è dato i.m. in una singola dose. L’immunità viene conferita circa 7 giorni dopo l’iniezione. Nei paesi o aree a rischio, l’efficacia protettiva 1.5 anni dopo la vaccinazione è di circa il 72%. Entrambi i vaccini sono sicuri ed efficaci. In qualche paese è disponibile un vaccino combinato contro la febbre tifoide e l’epatite A. Diversi vaccini coniugati polisaccaridici capsulari Vi sono in fase di preparazione (o autorizzati a livello nazionale, ma non sul mercato internazionale) e si prevede la loro disponibilità in futuro per l’immunizzazione infantile. Precauzioni e controindicazioni Il proguanil, la meflochina e gli antibiotici devono essere sospesi da 3 giorni prima a 3 giorni dopo la somministrazione di Ty21a. Non sono state riportate serie manifestazioni avverse dopo la somministrazione di Ty21a o Vi CPS. Questi vaccini non sono raccomandati nei programmi di vaccinazione dell’infanzia a causa di informazioni insufficienti sulla loro efficacia nei bambini sotto i 2 anni di età. Rischio per i viaggiatori Il rischio è generalmente basso per tutti i viaggiatori, eccetto in parti dell’Africa settentrionale e occidentale, in Asia meridionale in parti dell’Indonesia e del Perù. Altrove i viaggiatori sono generalmente a rischio solo quando esposti a bassi standard di igiene.La vaccinazione contro la febbre tifoide può essere offerta a coloro che viaggiano in destinazioni dove il rischio di febbre tifoide è alto, specie se il loro soggiorno in aree endemiche abbia una durata superiore ad un mese o se avvenga in località dopo siano prevalenti ceppi di S.typhi resistenti agli antibiotici. La durata della protezione a seguito della vaccinazione con Ty21a non è ben definita e può variare con la dose del vaccino e forse con le successive esposizioni alla Salmonella Typhi(booster naturali). In Australia ed in Europa, le tre capsule sono date nei giorni 1, 3 e 5. Questo ciclo viene ripetuto ogni anno per gli individui che viaggiano da paesi non endemici a paesi endemici e ogni 3 anni per gli individui che vivono in paesi o aree a rischio. Anche i viaggiatori vaccinati devono prestare attenzione nell’evitare il consumo di cibi ed acqua potenzialmente contaminati poiché il vaccino anche se molto efficace non conferisce una protezione del 100%. Precauzioni Osservare tutte le precauzioni nei confronti delle infezioni veicolate dagli alimenti e dall’acqua. La sicurezza degli alimenti, delle bevande e dell’acqua da bere dipende principalmente dalle condizioni di igiene applicate localmente nella raccolta, preparazione e manipolazione. Nei paesi o aree con bassi livelli di igiene e scarse infrastrutture per il controllo della sicurezza dei cibi, delle bevande e delle acque da bere, esiste un alto rischio di contrarre la diarrea del viaggiatore. Per ridurre al minimo qualsiasi rischio di contrarre infezioni trasmesse da cibo o acqua in tali paesi, i viaggiatori devono prendere precauzioni con ogni cibo o bevanda, perfino se serviti in ristoranti o hotel di buona qualità. I rischi sono più grandi nei paesi poveri, ma locali con condizioni igieniche precarie possono essere presenti in qualsiasi paese. Norme di sicurezza alimentare per le malattie a trasmissione fecale-orale Evita il cibo che è stato tenuto a temperatura ambiente per parecchie ore, per esempio il cibo del buffet non coperto, il cibo dai venditori di strada o di spiaggia Evita gli alimenti crudi, ad eccezione della frutta e della verdura, che possono essere pelate e sbucciate e non mangiare frutta la cui buccia è alterata Evita il ghiaccio che non sia fatto con l’acqua potabile Evita i piatti contenenti uova crude o insufficientemente cotte Evita i gelati di origine dubbia, compresi quelli venduti per strada Evita di lavarti i denti con acqua non potabile Nei paesi in cui il pesce, i crostacei e molluschi possono contenere biotossine pericolose, farti consigliare dalla popolazione locale Fai bollire il latte non pastorizzato (crudo) prima di consumarlo Lava sempre bene le mani in tutte le sue parti con acqua e sapone prima di preparare o consumare cibo Fai bollire l’acqua da bere in caso di dubbio; se questo non è possibile, utilizza un filtro efficiente e ben conservato o un disinfettante Puoi bere le bevande imbottigliate: sono generalmente sicure se l’imballaggio è intatto Puoi consumare bevande e cibi interamente cotti serviti caldi: sono generalmente sicuri. Trattamento dell’acqua di qualità dubbia Portare l’acqua all’ebollizione per almeno un minuto è il modo più efficace per uccidere tutti i patogeni che causano malattie. La disinfezione chimica di acqua chiara non torbida è efficace per uccidere batteri e virus e alcuni protozoi (ma non per esempio il cryptosporidium). Un prodotto che combina la disinfezione con cloro alla coagulazione/flocculazione (per es. precipitazione chimica) rimuoverà significativi numeri di protozoi oltre ad uccidere batteri e virus. L’acqua torbida deve essere privata del materiale solido sospeso lasciandolo depositare o filtrandolo prima di operare la disinfezione chimica. Sono disponibili anche strumenti portabili pronto-uso testati per rimuovere protozoi e qualche batterio. Filtri di ceramica, a membrana e di carbone sono i tipi più comuni. É cruciale selezionare la più appropriata dimensione della porosità dei filtri. Una dimensione di 1 mm o meno per la porosità media del filtro è raccomandato per assicurare la rimozione del cryptosporidium nell’acqua chiara. Alcuni strumenti di filtraggio impiegano resine impregnate di iodio per incrementare la loro efficienza. A meno che l’acqua sia bollita, una combinazione di metodi (filtrazione seguita da disinfezione chimica) è raccomandata, poiché la maggior parte degli strumenti di filtrazione pronto-uso non rimuove né uccide i virus. L’osmosi inversa (filtrazione porosa molto sottile che trattiene i sali dissolti nell’acqua) e strumenti di ultrafiltrazione (filtrazione porosa fine che passa i sali disciolti ma trattiene i virus ed altri microbi) possono teoricamente rimuovere tutti i patogeni. Spesso dopo un trattamento chimico, si usa un filtro a carbone per migliorare il gusto; in caso di trattamento con iodio, per rimuovere l’eccesso di iodio. Fonte Salute.Gov