“Gli uomini portano la terra che hanno dentro, nel paese che trovano, sovrappongono il paesaggio interno al paesaggio esterno e l’uno e l’altro si uniscono”.
Il concetto di spazio
L’architettura in che cosa si differenzia rispetto a tutte le atre arti? Al suo fondamento non stanno né effetti plastici, né valori pittorici e chiaroscurali o astratti che sono tipici della pittura. L’unica peculiarità costante dell’architettura è invece, la caratteristica di determinare uno spazio nel quale l’uomo vive e opera, cioè un interno senza il quale non ci sono decorazioni, facciate, colori dei muri che non dicono nulla.
Comunque sia oltre allo spazio architettonico esiste anche quello urbanistico. Le facciate di un edificio, una fila di alberi o anche una siepe, delimitano in realtà uno spazio della città e del paesaggio e quindi, alla fine, viene delimitato e circoscritto un ambiente quasi intimo, interno. Resta pur vero che delle belle facciate non rendono un’opera architettonica ben riuscita, e non crea un ambiente artistico, interessa quindi la funzione determinante dello spazio racchiuso. Normalmente percepiamo, gli oggetti, i pieni e vuoti che invece tendono a sfuggirci come il vuoto.
Ma cos’è il vuoto?
Il vuoto è come il nulla, ci da un senso di negatività, se pensiamo che il vuoto è l’assenza del pieno, la negazione della materia, della sostanza, ciò che non ha corpo, e proprio perché non è, il vuoto non dovrebbe esistere.
Ma in architettura il vuoto non si caratterizza in negativo, ma come la porzione di spazio che muri, pareti, modanature delimitano, cioè un volume uno spazio; esattamente come un cono, un cilindro una superficie che delimita è un volume che è delimitato, così in una architettura ci sarà un contenitore che racchiude e uno spazio interno che è racchiuso.
Sono i “buchi” comunque che fanno l’architettura, perché sono in queste cavità che si svolge la vita di relazione, si snodano i percorsi, sono possibili le attività di studio e di ricerca, mostrando che è possibile progettare con i vuoti; invece che assemblare i muri, il progettista penserà ad aggregare i volumi, cioè gli spazi tra loro.
Ma per l’architetto questo non è del tutto soddisfacente. Perché?
Perché il volume non restituisce l’effettiva qualità e requisito dello spazio di un ambiente. Il colore, i materiali adoperati, la grana, la temperatura lo determinano tanto quanto la sua forma geometrica: una fredda scatola di cartone è, per esempio, diversa da una di metallo pitturato di rosso e questa da una di gommapiuma calda.
L’esperienza fatta dall’uomo nel suo ambiente, come percezione dello spazio è un processo ampio, che racchiude parecchie variabili, esso non percepisce un universo comune a tutti, ma mondi diversi con motivazioni personali dovute pure da esperienze precedenti.
La creazione dello spazio espressivo fu sempre compito di tecnici specializzati, di addetti ai lavori, cioè di costruttori, architetti, progettisti; mentre lo spazio estetico e stato studiato dai teorici dell’architettura e dai filosofi della materia
Chiunque investa entro il suo ambiente, un luogo in cui stabilirsi e vivere, è creatore del suo spazio espressivo.
Quale sarà allora la relazione tra lo spazio architettonico e gli altri elementi del sistema?
Non c’è dubbio che lo spazio architettonico debba adattarsi ai bisogni dell’azione organica e facilitarne l’orientamento, attraverso la percezione. Lo spazio architettonico funziona soprattutto sugli schemi spaziali del mondo pubblico e individuale dell’uomo; ovviamente gli schemi individuali sono dai rapporti intercorrenti tra individuo e gli spazi architettonici esistenti, e se nel caso non lo soddisfino, quando cioè l’immagine risulta confusa o troppo instabile, la persona dovrà modificare lo spazio architettonico, che può essere quindi definito una concretizzazione dello spazio esistenziale dell’uomo.
In architettura si è spesso parlato del problema dello spazio, si possono pensare a tre concetti: il primo concetto di spazio architettonico che riguarda la capacità di emanare dei volumi, i loro rapporti e le loro interazioni, basti pensare l’evoluzione degli egiziani e quella dei greci. La cupola del Panteon di Adriano, all’inizio del secondo secolo, segnò l’avvento del secondo concetto spaziale, e il terzo concetto di spazio, l’influenza reciproca fra spazio interno ed esterno.
Ma quali sono gli elementi dello spazio architettonico?
Lo spazio architettonico può essere definito come una concretizzazione dello spazio esistenziale. Lo spazio esistenziale è un concetto psicologico che indica gli schemi sviluppati dall’uomo nell’interazione con l’ambiente, allo scopo di precedere in modo adeguato.
In altre parole l’architettura rende realista un’immagine che oltrepassa l’ambiente preesistente, e riflette sempre l’aspirazione a migliorare le condizioni umane. Lo spazio esistenziale è determinato quindi dalla struttura concreta dell’ambiente, mentre desideri ed esigenze creano degli effetti rovesci; un rapporto tra uomo e ambiente con un procedimento bivalente, una vera e propria interscambiabilità.
In nostro mondo privato si basa ovviamente su una serie di generalizzazioni, in quanto si è portato ad organizzare le proprie esperienze secondo le loro somiglianze, esempio l’idea che ci si fa di un albero, può consistere solo in un’idea generica relativa alla forma e al colore, ma sicuramente un floricoltore o un botanico ne avranno probabilmente un’immagine più completa.
Questo dipende dal fatto che dei mondi individuali, in un campo particolare, sono stati strutturati ad oltranza da nozioni specifiche, ma il concetto che l’uomo si fa dell’albero, è influenzato e dalla situazione particolare in cui rami, o l’azione di incidervi un cuore trafitto da una freccia l’interferenza a dare alle cose il colore singolo e la forma, e a far sì che il mondo diventi più di una pura reazione meccanica di stimoli.
Lo spazio architettonico è una forma simbolica ma in grado di trasmettere i significati più alti del mondo dell’uomo attraverso una certa similarità strutturale, cosicchè luoghi, percorsi, domini e livelli dello spazio esistenziale, trovino il loro corrispondente certo e fisico; una corrispondenza che dipende logicamente dalla questione dello spazio esistente.
Creare uno spazio architettonico significa quindi integrare all’ambiente una precisa forma di vita.
E l’arte antica si occupava del tempo? E l’arte contemporanea è assillata dallo spazio?
Basterebbe questo dittico a spiegare l’arte moderna e soprattutto quella contemporanea, che trova la sua massima essenza nel luogo specifico, non che l’arte antica non avesse la stessa particolarità, tutta l’arte parietale cioè eseguita su parete, dalle tombe egizie, alle basiliche, era realizzata appositamente per quel dato luogo e spazio. Gli affreschi di Michelangelo Buonarroti sono così acquisiti alla Cappella Sistina che difficilmente si possono pensare separati gli uni dall’altra.
Quindi la faccenda dello spazio ha ragioni storiche precise, basti pensare a quello della modernità tardo ottocentesca e poi delle avanguardie di inizio novecento, quando i pittori hanno smesso di guardare la realtà, o sono stati costretti a smettere di imitarla a causa della scoperta della fotografia, e cominciano a riflettere che la tela ha due dimensioni, abbandonando per sempre l’idea di prospettiva. Una superficie che dapprima è ben inquadrata dalla cornice, ma che tende ad aderire alla parete, o a dissolversi in essa; ed è appunto in questo momento che la parete dove si esporrà un quadro diventa importante quanto il quadro stesso, spesso di più.
Alle gallerie d’avanguardia si adattano presto i musei del contemporaneo, veri “duomi” che più che a conservare, servono a rendere “divine” opere, l’arte di esporre in una galleria e in un museo ha avuto i suoi grande interpreti, primo su tutti fu Carlo Scarpa, il campione della museografia del XX secolo, il massimo allestitore di mostre d’arte, i cui allestimenti spesso superavano per efficacia e poesia le opere esposte, ma senza arroganza, senza il desiderio di concepire sopra ad una precedente progettazione, che spesso coglie gli architetti quando si confrontano con gli artisti.
Come noi tutti sappiamo, uno degli aspetti più importanti nell’arte in genere, per poter riprodurre un’opera da parte di ogni artista, è quello di rappresentare lo spazio.
Lo spazio nell’arte contemporanea è un’ideologia, appunto tecnicamente in “complesso di credenze, opinioni, rappresentazioni, valori che orientano un determinato gruppo sociale”.
Dove per quest’ultimo si intende lo spettatore accorto, che appartiene a una casta esclusiva nata col modernismo, una sorta di seguace, fedele di una nuova “religione” chiamata” arte contemporanea.
Il luogo sacro è la galleria d’avanguardia, il white cube, che ha i connotati della chiesa medioevale costruita in base alle leggi rigorose e, poiché il mondo esterno deve restare fuori, le finestre sono sigillare, i muri dipinti di bianco, il soffitto diventa fonte di luce, una luce quanto più possibile gelida, senza ombre, impersonale. La dimensione sacrosanta dello spazio è evidente tanto che il contesto è diventato più importanti del contenuto, forse anche perché dopo Duchamp il contesto, cioè il luogo espositivo, è fondamentale per fornire lo status d’arte a un oggetto, che non ha caratteristiche delle opere d’arte.
Monica Isabella Bonaventura